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Brexit, tutte le tappe dell’addio del Regno Unito all’Ue

Mondo
(Foto: archivio Ansa)

Dopo le dimissioni di Theresa May e le difficoltà incontrate dal suo successore Boris Johnson in Parlamento, il trionfo Tories al voto anticipato del 12 dicembre ha portato alla ratifica dell'intesa. Il 31 gennaio 2020 il divorzio è realtà ma si è dovuto aspettare fino al 24 dicembre 2020 per l'accordo di libero scambio che allontana l'incubo di un "no deal" commerciale

Rinvii, bocciature, ribaltoni politici, accordi raggiunti e poi caduti nel vuoto: l'addio del Regno Unito all'Europa si è rivelato molto più complicato del previsto. La data della Brexit doveva essere il 29 marzo, poi il 31 ottobre 2019, e si è poi concretizzata nel 31 gennaio 2020 (FOTOSTORIA). Un traguardo raggiunto dopo che il primo ministro conservatore Boris Johnson è stato costretto a chiedere a Bruxelles una seconda proroga del termine di uscita del Regno Unito dall'Unione europea, dopo che il Parlamento britannico non è riuscito ad approvare nemmeno l'ultimo accordo raggiunto da lui con l'Ue. Prima era ugualmente naufragata - per tre volte - l'intesa cercata dall'ex premier Theresa May e dal capo negoziatore europeo Michel Barnier. Il trionfo dei Conservatori alle elezioni anticipate ottenute da Johnson il 12 dicembre 2019, ha poi rafforzato sensibilmente la maggioranza dei Tories in Parlamento, portando infine alla ratifica dell'accordo e al voto del Parlamento europeo. Alla fine si è arrivati al 24 dicembre 2020, dopo mesi di negoziati, perché le due parti trovassero l'accordo di libero scambio che ha scongiurato l'incubo di un traumatico 'no deal' commerciale (LE REAZIONI INTERNAZIONALI). Ecco le tappe principali del processo che ha portato Londra a lasciare l'Unione europea (60 ANNI DI RAPPORTI TESI TRA UK E EUROPA).

Novembre 2018: via libera da governo May e Ue

Il via libera politico all'intesa Tra Ue e Gran Bretagna è arrivato il 14 novembre. Il 25 novembre è stata la volta dei sì anche da parte dei 27 Paesi Ue, che in un summit straordinario, hanno dato la loro certificazione politica del patto di divorzio consensuale tra Unione europea e Regno Unito. 

Dicembre 2018: la bozza dell'Ue

Il 13 dicembre, dopo il vertice dei capi di Stato e di governo, i 27 Paesi Ue hanno preparato una bozza di conclusioni sulla Brexit che è stata presentata a Theresa May. Nel testo è stato chiarito lo scopo e il funzionamento del "backstop", il meccanismo di garanzia sulle frontiere aperte in Irlanda, mantenendo l'impegno a fare tutto il possibile perché non entri mai in vigore, ed eventualmente duri il meno possibile. Sono state anche respinte le rassicurazioni vincolanti aggiuntive chieste dal primo ministro inglese.

15 Gennaio 2019: il voto alla Camera dei Comuni

Il voto alla Camera dei Comuni sulla Brexit, che inizialmente era previsto per il 10-11 dicembre, è slittato al 15 gennaio 2019. “Abbiamo il dovere di attuare la Brexit o sarà catastrofico per la democrazia", ha dichiarato May in un ultimo appello prima del voto parlamentare. May ha provato a giocarsi la carta delle rassicurazioni ricevute da Bruxelles con una lettera firmata dal Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e da quello della Commissione Jean Claude Juncker sul contestato meccanismo del backstop: il sistema a garanzia di un confine senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord, assicura l'Ue, entrerà in vigore "solo se strettamente necessario" e comunque sarà "temporaneo". Ma Westminster ha votato contro, con 432 voti a sfavore. Molti deputati Tory hanno voltato le spalle alla May, che ha dovuto affrontare una mozione di sfiducia presentata dai laburisti, superandola con 325 voti contrari e 306 a favore

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12 marzo 2019: bocciato nuovo accordo proposto da May

Dopo aver trovato una nuova intesa con Bruxelles, Theresa May non trova la sponda in Parlamento. Westminster boccia per la seconda volta, dopo quella di metà gennaio, la proposta della premier May con 391 voti contro 242, uno scarto di 149 deputati (erano stati 202 a metà gennaio).  

13 marzo 2019: il Parlamento boccia un'uscita senza accordo

Il giorno successivo, Westminster boccia anche un'uscita dall'Ue senza un accordo. La Camera dei Comuni, infatti, vota contro l'opzione di una Brexit "no deal". La mozione, ampiamente modificata da un emendamento di Tory moderati e laburisti, è passata contro il volere del governo. Si tratta di una nuova cocente sconfitta per Theresa May, che commenta: l'opzione di un "no deal" resta lo sbocco "di default" in mancanza di un accordo o di un rinvio.

29 marzo 2019: bocciato per la terza volta il piano May

Dopo aver offerto le sue dimissioni, in cambio del sì all'accordo di divorzio dall'Ue, Theresa May sottopone per la terza volta alla Camera dei comuni l'intesa con Bruxelles. E viene sconfitta ancora, con 344 no contro 286 sì. Tramonta così la possibilità offerta dalla Ue di far slittare la Brexit dal 29 marzo al 22 maggio. Lo scenario del "no deal" è sempre più probabile, con la data chiave fissata al 12 aprile. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, intanto convoca un vertice per il 10 aprile.

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11 aprile 2019: intesa tra Ue e May, proroga al 31 ottobre

Per scongiurare una "hard Brexit" senza accordo e chiedere a Bruxelles ancora "una breve estensione" del rinvio al 22 maggio, May avvia un dialogo con l'opposizione laburista. Si cerca quindi un "accordo condiviso" che possa passare l'esame di Westminster. Il 4 aprile passa per un soffio (313 sì e 312 no) una legge che obbliga il governo May a evitare il no deal e a chiedere un'ulteriore proroga della Brexit all’Ue. L'11 aprile, i 27 Capi di Stato e di governo trovano a Bruxelles una nuova intesa: altri sei mesi per trovare un accordo per l’uscita dall’Ue con termine ultimo il 31 ottobre.

7 maggio 2019: il Regno Unito deve partecipare alle elezioni Ue

Dopo settimane di dubbi e incertezze, arriva l'ufficialità: la partecipazione del Regno Unito alle elezioni Europee del 23 maggio è inevitabile, essendo impossibile approvare un'intesa - ancora da raggiungere - prima di luglio (REPORTAGE DEL VOTO). Nel frattempo, continuano i negoziati tra i Tory di Theresa May e l'opposizione laburista di Jeremy Corbyn alla ricerca di una "Brexit-soft". L'obiettivo è quello di chiudere entro il "2 luglio", prima che l'Europarlamento s'insedi. Il 21 maggio, però, la premier May apre alla possibilità della Camera dei Comuni di votare su un emendamento per un secondo referendum sulla Brexit. L’apertura di May si inserisce nell'ambito dell'approvazione della legge quadro sull'uscita di Londra dall'Ue che dovrebbe essere presentata a Westminster a inizio giugno. Immediata la reazione del leader labour Jeremy Corbyn che ha confermato il suo "no" alla premier Tory.

24 maggio 2019: l'annuncio delle dimissioni di May

Il 24 maggio 2019 Theresa May annuncia le dimissioni, formalizzate il7 giugno. "Ho fatto il possibile per trovare un accordo per la Brexit e ho il rammarico di non esserci riuscita", dice (FOTO). May resta in sella fino a quando non sarà indicato il nuovo leader dei Tories. Il successore alla guida del partito le subentrerà anche come primo ministro a Downing Street. La decisione arriva dopo giorni di fuoco incrociato contro la premier, culminati con l'abbandono della ministra per i Rapporti con il Parlamento, Andrea Leadsom, figura di spicco fra i componenti brexiteer del governo.

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Theresa May, dalla Brexit alle dimissioni. FOTOSTORIA

7 giugno 2019: il giorno delle dimissioni

Come preannunciato, Theresa May il 7 giugno 2019 lascia la guida del partito conservatore - anche se resta come premier a Downing Street fino a quando un nuovo leader non sarà nominato - e apre ufficialmente la corsa per trovare il suo successore. Fin da subito è chiaro chi siano i più papabili: tra questi, Boris Johnson, accesso brexiteer, il ministro dell'Ambiente Michael Gove e Jeremy Hunt. 

23-24 luglio 2019: Johnson nominato leader Tory e nuovo premier

Dato per super favorito, il "falco" della Brexit Boris Johnson viene eletto il 23 luglio 2019 a capo del partito conservatore (CHI È). L’ex ministro degli Esteri, 55 anni, sconfigge grazie al voto degli iscritti al partito lo sfidante Jeremy Hunt, ministro degli Esteri in carica, suo successore. Il giorno successivo, il 24 luglio, Johnson viene nominato ufficialmente primo ministro del Regno Unito, dopo che Elisabetta II gli chiede di formare un governo. È il 14esimo premier nel lungo regno di Elisabetta. Il neo primo ministro, convinto sostenitore della "hard Brexit", annuncia subito "un nuovo e migliore accordo" con l'Ue e assicura che il Regno Unito uscirà entro il 31 ottobre. 

19 agosto 2019: firmato il decreto che cancella le leggi Ue nel Regno Unito

Sempre il 31 ottobre entrerà inoltre in vigore un decreto che cancella l'European Communities Act, l'atto del 1972 che sanciva l'adozione delle leggi europee da parte del Regno Unito. Il decreto viene firmato il 19 agosto 2019 dal ministro britannico per la Brexit, Steve Barclay, ed è un passaggio burocratico necessario ma anche dal forte valore simbolico: l'European Communities Act consentiva infatti alle leggi europee di confluire direttamente nel sistema normativo britannico. Downing Street definisce l'annullamento di questa legge "un passo storico per il ritorno dei poteri legislativi da Bruxelles al Regno Unito". 

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28 agosto 2019: Johnson annuncia la chiusura del Parlamento

Johnson a fine agosto annuncia la chiusura del Parlamento inglese fino al 14 ottobre. Una mossa che nei piani del premier britannico punta a ridurre il tempo a disposizione del fronte trasversale dei deputati contrari al No deal per cercare di neutralizzare con una legge i piani del governo per una 'hard Brexit'. La decisione scatena l'ira dei parlamentari britannici. Viene inoltre lanciata una petizione online, che raccoglie più di un milione di firme contro la chiusura di Westminster. 

3-4 settembre 2019: passa la mozione anti no-deal

Con 328 voti a favore e 301 contrari, il Parlamento britannico approva la calendarizzazione nell'ordine dei lavori della legge - voluta dai laburisti - contro una Brexit senza accordo e per cercare d'imporre al recalcitrante governo la richiesta di un rinvio oltre la scadenza del 31 ottobre. Johnson espelle 21 Tory dissidenti dal partito. Il 4 settembre la Camera dei Comuni approva la legge anti-no deal, con 327 sì. Fallisce inoltre il piano del premier di ottenere le elezioni anticipate. Il 6 settembre anche la Camera dei Lord approva il provvedimento. 

24 settembre 2019: la Corte Suprema giudica illegale la sospensione del Parlamento

La Corte Suprema britannica il 24 settembre punisce Boris Johnson con una decisione che i media inglesi hanno definito "storica": la sentenza, che ottiene un verdetto unanime, giudica illegale la sospensione del Parlamento.

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17 ottobre 2019: trovato un accordo Johnson-Ue

Il 17 ottobre Unione europea e Johnson comunicano di aver raggiunto una nuova intesa. "Abbiamo un grande nuovo accordo - sottolinea Johnson -, che ci restituirà il controllo del nostro Paese". È un accordo "bilanciato ed equo per l'Ue e Gb e testimonia il nostro impegno a trovare soluzioni. Raccomando che il Consiglio Europeo faccia sua l'intesa", le parole del presidente della Commissione Ue Juncker.

La bocciatura dell’accordo e le elezioni il 12 dicembre 2019

Nemmeno l’ultimo accordo raggiunto in extremis da Londra e Bruxelles viene approvato in tempi utili dal Parlamento britannico. Johnson è quindi costretto a chiedere all’Unione europea un secondo rinvio della Brexit al 31 gennaio 2020, necessario per evitare il verificarsi di uno scenario di no deal, cioè di uscita senza intesa. Il 28 ottobre il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, annuncia il "sì" europeo al rinvio, che però è un rinvio “flessibile” perché permette al Regno Unito di lasciare l’Ue in anticipo se riuscisse a trovare un accordo. Una sconfitta per Johnson, che aveva promesso la Brexit al 31 ottobre. Ma contestualmente il primo ministro conservatore riesce a ottenere dal Parlamento il via libera a elezioni anticipate il 12 dicembre.

Il trionfo dei Tories alle elezioni di dicembre

La speranza di Johnson di uscire dalle urne del 12 dicembre 2019 con una maggioranza più forte si realizza: i Tories ottengono una vittoria schiacciante sul Labour, conquistando un numero di seggi ben oltre la soglia dei 326 necessari per governare senza necessità di alleanze con altri partiti. "Con questo mandato finalmente realizzeremo la Brexit", ha detto Johnson dopo la vittoria. 

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A gennaio l’ok del Parlamento e la firma della Regina

Il 22 gennaio 2020, il Parlamento britannico chiude l'iter per la ratifica della legge attuativa dell'accordo sull'uscita dall'Ue, aprendo definitivamente la via alla Brexit alla scadenza del 31 gennaio. Il giorno successivo arriva l'atto dovuto della firma della regina, il Royal Assent, che sancisce nero su bianco il divorzio dall’Ue per le 23 esatte del 31 gennaio, ora del meridiano di Greenwich. Il 24 gennaio, arrivano anche le firme di Boris Johnson e dei presidenti di Consiglio europeo, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

Il voto del Parlamento europeo

Il 29 gennaio 2020 il Parlamento europeo approva a larghissima maggioranza l'accordo sulla Brexit, con 621 sì, 49 contrari e 13 astenuti. Dopo quasi tre anni e mezzo, da quando è stato indetto il referendum, gli eurodeputati di Sua Maestà lasciano Bruxelles e Strasburgo, e si apre la seconda fase dei negoziati sulle relazioni future fra Londra e Bruxelles.

24 dicembre 2020: arriva l'accordo commerciale

Da marzo 2020 è iniziata la seconda fase dei negoziati per raggiungere l’accordo di libero scambio ed evitare il ritorno di dazi e controlli doganali. Il 24 dicembre 2020, dopo mesi di rinvii che hanno visto crescere il rischio di un “no deal”, la trattativa è arrivata alla svolta finale. E alla vigilia di Natale, tra Ue e Regno Unito è arrivata la fumata bianca. Londra e Bruxelles hanno formalizzato il via libera al compromesso finale su un accordo di libero scambio che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2021, scadenza della fase di transizione post divorzio

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