Nato a New York 55 anni fa, è stato giornalista “euroscettico”, sindaco di Londra per due mandati e ministro degli Esteri nel governo May. È leader del partito Conservatore e premier britannico. Ad aprile 2020 è stato ricoverato in terapia intensiva a causa del Covid-19
Giornalista e corrispondente euroscettico da Bruxelles, sindaco conservatore di Londra per due mandati, ministro degli Esteri e, infine, capo dei Tory e primo ministro britannico nominato dopo le dimissioni di Theresa May. La carriera di Boris Johnson ha seguito una linea tutta in ascesa, grazie anche alla sua capacità di diventare una delle figure di primo piano nella politica britannica degli ultimi anni. Noto soprattutto per le sue posizioni pro-Brexit, Johnson è il più famoso tra i cosiddetti “falchi”, vale a dire i “Brexiteers” più intransigenti e meno disposti al compromesso.
L’infanzia e gli studi
Nato a New York il 19 giugno 1964 da genitori inglesi (al tempo il padre Stanley Johnson era studente alla Columbia University), Alexander Boris de Pfeffel Johnson ottiene fin dalla nascita la doppia cittadinanza britannica e americana. Rinuncerà a quest’ultima nel 2016, ritenendo “non corretto” per un politico mantenere un doppio passaporto. Boris Johnson passa l’infanzia tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti (dove il padre lavora per alcuni anni alla Banca mondiale) e Bruxelles, dove la famiglia si stabilisce quando Stanley Johnson diventa funzionario della Commissione europea. Boris studia prima a Eton, uno dei più prestigiosi college inglesi, e successivamente all’università di Oxford. Dopo la laurea, Johnson diventa giornalista e il primo impiego è come stagista al The Times, da cui però viene licenziato perché accusato di aver inventato una dichiarazione contenuta in un articolo. Passa quindi al Daily Telegraph, per il quale lavora come corrispondente da Bruxelles dal 1989 al 1994, diventando uno dei primi giornalisti “euroscettici”. Qui, la sua fama non è delle più positive: verrà poco apprezzato sopratutto dai colleghi giornalisti perchè noto per i suoi articoli "oltraggiosi" e solo "parzialmente basati su fatti veri".
L’esordio in politica e i mandati da sindaco di Londra
Il suo esordio in politica risale al 2001, quando viene eletto al Parlamento inglese con i conservatori. Fin dall’inizio si distingue per posizioni più “liberali” rispetto ai colleghi Tories, soprattutto su immigrazione e diritti civili. Nel 2004 però viene licenziato dalla carica di vicepresidente del partito da Michael Howard, allora leader Tory, per avere mentito su una relazione extra-coniugale. Rimane nella Camera dei Comuni fino al 2008, periodo nel quale svolge anche le funzioni di ministro ombra della Cultura nel 2004, nel governo di Michael Howard, e dal 2005 dell'Istruzione, nel governo di David Cameron. Nel 2008 arriva la candidatura a sindaco di Londra: nel maggio di quell’anno batte al ballottaggio il laburista Ken Livingstone e diventa il primo cittadino della capitale. Si distingue per alcune novità soprattutto in fatto di “verde”: tra queste, il sistema di bike sharing cittadino, l’installazione di numerose stazioni di ricarica delle auto elettriche, oltre che un salario minimo più alto. Nel 2012 viene rieletto per un secondo mandato, nell’anno in cui la capitale britannica ospita le Olimpiadi. Al temine del suo incarico, nel 2016, il 52% dei londinesi è soddisfatta di Jonhson e ritiene che abbia fatto “un buon lavoro”. Nelle elezioni generali britanniche del maggio 2015, Johnson viene rieletto al Parlamento britannico, per il collegio di Uxbridge and South Ruislip.
La Brexit e il "Leave"
Poco dopo il suo rientro in Parlamento, Johnson diventa una delle figure più importanti a favore del “Leave” nella campagna per il referendum su Brexit (tenutosi il 23 giugno 2016). Con la vittoria della Brexit, l’ex premier Cameron è costretto a dimettersi, mentre Johnson viene nominato ministro degli Esteri nel nuovo governo di Theresa May. Un idillio che dura poco però: nel luglio 2018 Johnson si dimette da ministro per protesta contro la linea "morbida" per l'uscita dall'Unione europea sostenuta dal governo May. Come suo successore agli Esteri viene nominato Jeremy Hunt, mentre Johnson inzia a preparare il terreno per la mossa che tutti aspettavano: la sua candidatura alla guida del Partito conservatore. Una mossa che si concretizza a maggio 2019, alla vigilia delle dimissioni di May, quando Johnson ufficializza la sua corsa alla leadership dei Tories. Fin da subito è chiaro che Boris è il favorito, premiato dalla linea che vuole tenere aperta l’opzione di una uscita senza accordo dall’Ue e rifiutando l’accordo sul “backstop” del confine irlandese. A sfidarlo, nelle primarie del partito, è proprio il suo successore alla poltrona di ministro Jeremy Hunt, anche lui tra i più oltranzisti sul tema Brexit.
L'elezione a leader dei Tories
Il 23 luglio 2019 Johnson stravince come da pronostico la sfida con Hunt, ottenendo oltre 90.000 voti degli iscritti al partito contro gli oltre 40.000 del rivale. L'ex sindaco di Londra diventa così automaticamente primo ministro britannico da nuovo leader del partito Conservatore. Johnson annuncia subito "un nuovo e migliore accordo" con l'Ue per la Brexit, prevista in quel momento per il 31 ottobre 2019. A settembre la sua decisione di chiudere il Parlamento fino a una data a ridosso del 31 ottobre, per ridurre il tempo a disposizione del fronte trasversale dei deputati contrari al No deal, scatena l'ira di Westminster. A fine settembre la Corte Suprema giudicherà illegale la sospensione voluta da Johnson.
L'accordo con l'Ue sulla Brexit
Intanto in Parlamento passa una mozione voluta dai Laburisti che impedisce il No deal, e Johnson espelle dal partito 21 dissidenti. Il premier riesce nel frattempo a ottenere un nuovo accordo con l'Unione europea, ma nemmeno questo - come accaduto per tre volte a Theresa May - riesce a ottenere il via libera del Parlamento britannico. Johnson è quindi costretto a chiedere all’Unione europea un secondo rinvio della Brexit al 31 gennaio 2020 per scongiurare il no deal. Il premier riesce però a ottenere a Westminster il via libera a elezioni anticipate il 12 dicembre 2019.
Il trionfo alle elezioni del dicembre 2019
Le elezioni segnano un trionfo per Johnson e per i Conservatori, che ottengono la maggioranza in Parlamento con un numero di seggi ampiamente superiore a quello necessario per governare senza dover stringere alleanze con altri partiti.
L'accordo di recesso del Regno Unito
Il 30 gennaio il Consiglio dell'Ue approva l'accordo di recesso del Regno Unito, proposto proprio da Johnson. L'intesa prevede un periodo di transizione fino a dicembre 2020, anche se il Paese, dal febbraio 2020, non fa più parte dell'Unione.
Boris Johnson positivo al Coronavirus
A fine febbraio 2020, in Europa, è iniziata la diffusione della pandemia di Coronavirus che ha avuto origine in Cina con i primi casi a Wuhan a fine dicembre. Tra gli affetti da Covid-19 c'è anche il premier Johnson che, dopo dieci giorni di autoisolamento a Downing Street, il 6 aprile 2020 è stato ricoverato in terapia intensiva. Quando il coronavirus ha iniziato a dilagare in Europa, il primo ministro britannico aveva preso in considerazione l'ipotesi dell'immunità di gregge per il Regno Unito e inizialmente l'approccio del governo verso il contenimento del virus era stato 'soft', con le scuole e le attività commerciali che non avevano chiuso. Johnson aveva comunque avvertito i cittadini: "Voglio essere onesto con voi, onesto col popolo britannico: molte famiglie, molte altre famiglie perderanno prematuramente dei loro cari" a causa del coronavirus. Poi, con il passare delle settimane e l'aumento dei contagi in Uk, è arrivato il cambio di tendenza con misure più restrittive, la chiusura di scuole e negozi e l'appello al popolo britannico: “Dovete restare a casa”.