La conferma ufficiale è arrivata dal vicepremier David Lidington: prima del voto è ormai "malauguratamente impossibile portare a compimento la procedura legale" dell'uscita dall'Ue, che non è prevista prima di luglio
Mancava solo l’ufficialità: nonostante i quasi 3 anni trascorsi dal referendum che ha decretato la Brexit, la partecipazione del Regno Unito alle elezioni Europee del 23 maggio (TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE) è ormai "malauguratamente" inevitabile. Lo ha dichiarato oggi il vicepremier di fatto del governo Tory di Theresa May, David Lidington, a margine di una nuova sessione di negoziati con l'opposizione laburista di Jeremy Corbyn alla ricerca di un accordo di compromesso sull'uscita dall'Ue in grado di ottenere la ratifica del Parlamento. Intesa che, se anche dovesse essere trovata, secondo il vicepremier non potrebbe essere a questo punto approvata prima di luglio.
Lidington: obiettivo del governo è rendere il rinvio il più breve possibile
Lidington ha insistito che l'intesa con il Labour resta possibile, ma ha ammesso che, "dato il poco tempo rimasto" prima del 23 maggio, è ormai "malauguratamente impossibile portare a compimento la procedura legale" dell'uscita dall'Ue "prima delle elezioni Europee". Anche laddove la quadratura del cerchio su una Brexit soft - che il vertice laburista vuole ancorare alla permanenza definitiva di Londra nell'unione doganale, non alla prospettiva temporanea cui la May è parsa finora disposta al massimo a piegarsi - fosse trovata nei prossimi giorni. Nel contempo, il vicepremier ha ribadito che obiettivo del governo rimane quello di rendere il rinvio "il più breve possibile", attraverso l'impegno a "raddoppiare gli sforzi" del dialogo con l'opposizione ripreso oggi. E di non arrivare a utilizzare l'intera proroga concessa dal Consiglio Europeo (dal 29 marzo previsto al 31 ottobre). L'indicazione diventa ora quella del "2 luglio", nelle speranze di Lidington, che consentirebbe se non altro di chiudere i giochi prima che l'Europarlamento s'insedi.
Il voto europeo e le ripercussioni interne
Il voto europeo è destinato in qualche modo a trasformarsi, sulla scena politica interna, in un sottoprodotto dagli sbocchi imprevedibili di quel referendum bis che il fronte filo-Ue britannico invoca da tempo. Ma è anche destinato paradossalmente - come testimonia l'irritazione verso "gli inglesi" del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker - a condizionare in sede comunitaria chissà per quanto il funzionamento del prossimo Parlamento di Strasburgo. L'appuntamento più temuto per i due partiti maggiori è atteso invece come un’opportunità dalle formazioni monotematiche sia filo sia anti Brexit: da un lato il nuovo Brexit Party di Nigel Farage, dall'altro il frastagliato schieramento di forze come i Liberaldemocratici, i Verdi o Change Uk, neonato gruppo trasversale di transfughi centristi ed europeisti di Labour e Tory. Il tutto sullo sfondo di sondaggi che oggi sorridono soprattutto alla lista compatta di Farage e alleati, accreditata dall'istituto YouGov di un 30% che se fosse confermato non solo schiaccerebbe al minimo storico del 13-15% i conservatori, ma rappresenterebbe un macigno contro qualsiasi ipotesi di rivincita sulla Brexit.