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Brexit, May in bilico: si dimette la ministra Leadsom

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La ministra per i Rapporti con il Parlamento ha detto di non poter sostenere la legge sulla Brexit illustrata dalla premier. Il testo non piace a conservatori e opposizioni e Corbyn parla di una May "senza più autorità". Domani il Regno vota per le Europee

La ministra britannica per i Rapporti con il Parlamento (Leader of the House), Andrea Leadsom, figura di spicco fra i componenti brexiteer del governo Tory, ha annunciato stasera le dimissioni in polemica con le concessioni fatte dalla premier Theresa May alle opposizioni nel testo della legge d'attuazione della Brexit. Il tutto mentre una Gran Bretagna in stallo parlamentare sulla Brexit apre domani la tornata delle elezioni europee del 2019: appuntamento al quale il Regno non avrebbe neppure dovuto partecipare a ben tre anni dal referendum che sulla carta - nel giugno 2016 - ne aveva suggellato l'addio all'Ue. Ma l’addio di Leadsom, oggi in prima fila nelle riunioni organizzate in seno al partito per cercare di ottenere le dimissioni della May, è solo l’ultimo capitolo della crisi politica che si sta scatenando a Londra. (IL REPORTAGE DA LONDRA DI SKY TG24)

La lettera di Leadsom

Quelle di Andrea Leadsom sono le dimissioni numero 36 nella storia del governo May. La ministra, in una lettera piuttosto dura alla premier, sottolinea di essere consapevole che domani "ci sono le elezioni" Europee nel Regno, ma spiega, malgrado la tempistica, di non poter sostenere la legge sulla Brexit illustrata oggi. Una legge che a suo dire non garantisce più "il rispetto del risultato del referendum" del 2016. Leadsom sostiene che i cambiamenti introdotti dalla May per provare a venire incontro alle opposizioni non assicurano più che il Regno Unito torni davvero "sovrano" dopo l'uscita dall'Ue, e contesta le aperture su un ipotetico secondo referendum che sarebbe "pericolosamente divisivo" e rischierebbe di "minare l'unità nazionale". Leadsom, infine, accusa la premier d'aver tollerato le posizioni di altri ministri "a favore di politiche contrarie" a quelle ufficiali del governo che hanno finito per produrre "un completo collasso della responsabilità collettiva" del gabinetto.

Fuoco incrociato su Theresa May

L’ennesimo tentativo di compromesso della May per provare a riproporre a Westminster entro il 7 giugno la partita della ratifica della Brexit - dopo le bocciature e i veti incrociati dei mesi scorsi - sembra aver scontentato tutti. I "10 punti di novità" del testo della legge di attuazione del recesso (Withdrawal Agreement Bill), illustrati ieri dalla premier in pubblico e presentati oggi nella Camera dei Comuni, sono stati accolti da un clima a metà fra l'ostilità e il disinteresse. Concessioni eccessive per larga parte dei conservatori e non solo tra i falchi brexiteer ribelli, cosmetiche invece per le opposizioni. Con il “no” del leader laburista Jeremy Corbyn, contrario nel merito e convinto di avere ormai un’interlocutrice incapace di garantire la sopravvivenza di "qualunque intesa di compromesso" sullo sfondo della "sfida alla sua leadership" in casa Tory. Una premier "senza più autorità" che, nel giudizio di Corbyn, dovrebbe passare la mano a elezioni politiche anticipate e che tuttavia per ora, e almeno fino a venerdì, non si dimette.

I ministri contro la premier

Ed è nel quadro della crisi interna al partito della May e al suo stesso gabinetto che si inseriscono le dimissioni di Andrea Leadsom. Chiusa a Downing Street, la premier oggi pomeriggio ha resistito per ore alle richieste di vari ministri di essere ricevuti, dal titolare degli Esteri Jeremy Hunt a quello dell'Interno Sajid Javid, a quello della Scozia David Mundell. Tutti, probabilmente, avrebbero voluto intimarle la resa o almeno discutere un percorso verso un addio. A spingere in questa direzione sono diversi deputati, riunitisi nel Comitato 1922, organo chiave per l'elezione dei leader conservatori. Ma soprattutto gli aspiranti successori come Andrea Leadsom, pronta alla sfida come alternativa d'apparato all'ipotesi d'una competizione allargata dinanzi alla base degli iscritti in cui il netto favorito sarebbe Boris Johnson.

Il sondaggio: Farage al 37%

Proprio in questo clima la Gran Bretagna deve scegliere 73 eurodeputati isolani a Strasburgo: tutti sub iudice e destinati a uscire di scena nel momento in cui il divorzio dall’Ue fosse finalmente formalizzato. Sullo sfondo un ultimo sondaggio pre voto europeo che indica nel Regno l'ennesimo record del nuovo Brexit Party di Nigel Farage, indicato ora sino al 37% dei consensi. Poi Labour in pesante calo al 13, scavalcato al 19 degli europeisti irriducibili in maggiore ascesa, i LibDen, e insidiato al 12 anche dai Verdi. E con i conservatori addirittura intorno a un potenziale 7%.

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