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Dalla pace con Kim allo shutdown: il secondo anno di Trump alla Casa Bianca in 5 punti

Mondo

Domenico Motisi

Foto: Getty

Il 20 gennaio 2017 il tycoon si insediava a Washington con la moglie Melania. In questi ultimi 12 mesi la sua presidenza è stata molto attiva: dalla pace con Pyongyang in politica estera alle elezioni di midterm, passando per il tema immigrazione e lo shutdown

Poca diplomazia, tante polemiche e la caratteristica politica di rottura già adottata in campagna elettorale e durante il primo anno alla Casa Bianca. Il 20 gennaio 2017 Donald Trump (LA FOTOSTORIA) si insediava a Washington, ma anche i secondi 12 mesi del tycoon alla guida degli Stati Uniti sono stati particolarmente significativi: dalla questione Corea del Nord ai dazi, passando per le elezioni di midterm, il tema immigrazione e lo shutdown, ecco i cinque punti salienti del suo secondo anno da presidente.

Il dialogo con la Corea del Nord e la pace con Kim Jong-un

Donald Trump e il presidente della Corea del Nord, Kim Jong-un, avevano concluso il 2017 con uno scambio di insulti piuttosto pesante e anche il 2018 non era iniziato sotto i migliori auspici (TUTTI GLI INSULTI TRA KIM E TRUMP). Proprio quando iniziava il secondo anno del tycoon alla Casa Bianca, Kim aveva dichiarato: "Ho un bottone nucleare sul tavolo nel mio studio. Tutto il territorio degli Stati Uniti è alla portata di un nostro attacco nucleare". Una minaccia alla quale Trump aveva risposto immediatamente: "Anche io ho un bottone nucleare, che è molto più grande e potente del suo, e il mio funziona". Pochi giorni dopo, però, una sorprendente apertura: "Probabilmente ho un ottimo rapporto con Kim Jong-un", diceva il presidente. Ma sono state le Olimpiadi invernali di PyeongChang a favorire il disgelo. "Abbiamo la possibilità di fare qualcosa di speciale", dirà Trump a marzo. La svolta arriva il 10 maggio 2018, quando vengono ufficializzate sede e data di un incontro storico. Trump dà l'annuncio con un tweet: "Avrà luogo a Singapore il 12 giugno". Così, sul patio del Capella Hotel, sull'isola di Sentosa, Donald Trump e Kim Jong-un si incontrano, si stringono la mano e firmano un documento comune sui negoziati per la "denuclearizzazione completa della penisola coreana". "Siamo orgogliosi dell'incontro, la nostra relazione sarà molto diversa rispetto al passato (LE FOTO). Abbiamo raggiunto risultati migliori di quanto ci aspettavamo", dice il tycoon dopo il summit. Relazioni che si mantengono piuttosto buone anche successivamente: "Mi ha scritto belle lettere. E poi ci siamo innamorati", dice Trump a settembre, mentre a fine 2018 viene annunciato un possibile nuovo incontro tra i due che, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbe tenersi in Vietnam a marzo o ad aprile. (DALLE MINACCE ALL’INCONTRO: FOTOSTORIA)

I dazi con la Cina

Restando in politica estera, Trump ha dovuto affrontare anche la questione dei dazi, in particolare quelli con la Cina. Il primo passo verso lo scontro con Pechino arriva l’8 marzo. In aperta rottura con la comunità internazionale, i mercati e le istituzioni finanziarie, Trump annuncia i dazi sull'acciaio e sull'alluminio: il vero bersaglio è proprio la Cina accusata da Washington di eccesso di produzione sovvenzionata di acciaio. Un provvedimento al quale il governo cinese reagisce duramente: il 2 aprile, dunque, Pechino annuncia i dazi su 128 beni importati dagli Stati Uniti, per un valore di mercato di 3 miliardi di dollari. Soltanto nelle settimane successive Usa e Cina provano a raggiungere un accordo: le delegazioni si incontrano a Pechino nei primi giorni di maggio, con l’obiettivo di scongiurare una guerra commerciale. Ne viene fuori un nulla di fatto. Così, a metà giugno 2018, il presidente americano Donald Trump approva i dazi su una lunga lista di prodotti di Pechino, per un valore di circa 50 miliardi di dollari. Dopo gli ulteriori provvedimenti, pari a 200 miliardi di dollari di dazi da parte del presidente americano, la vera tregua arriva soltanto a dicembre, a margine del G20, quando il tycoon e Xi Jinping sanciscono un patto e annunciano uno stop dei dazi che durerà 90 giorni. Per sbloccare la situazione, Trump conferma la sospensione dell'aumento al 25% delle tariffe su una serie di prodotti made in China dal valore complessivo di 200 miliardi di dollari. In cambio il leader cinese si impegna ad acquistare "immediatamente" dagli Stati Uniti prodotti agricoli, industriali e nel settore energetico. Una tregua confermata anche nel 2019, con l’ufficializzazione da parte di Pechino della visita di una delegazione americana il 7 e l’8 gennaio (LE TAPPE DELLA GUERRA COMMERCIALE).

Le elezioni midterm

Dal punto di vista politico, le elezioni midterm del 7 novembre sono state l’appuntamento più importante di questo secondo anno alla Casa Bianca per Donald Trump. Se è vero che le elezioni di metà mandato sono storicamente sfavorevoli ai presidenti in carica, è altrettanto vero che il tycoon è riuscito a limitare quella che alla vigilia era pronosticata come una debacle. Al termine del voto (I RISULTATI), il tycoon viene definito "lame duck", un’anatra zoppa, ovvero un presidente che non ha la maggioranza al Congresso. Le urne, infatti, decretano la vittoria dei democratici alla Camera, lasciando ai repubblicani solo il controllo del Senato, che comunque detiene la prerogativa delle nomine, tra cui quelle cruciali della Corte Suprema. Lo stesso Trump, a risultati acquisiti, dichiara: "È stata una grande notte e un grande successo nonostante i media ostili". Poi l’apertura ai democratici: "Ora lavoriamo insieme".

La stretta sui migranti

È stato uno dei temi principali durante la campagna elettorale alle presidenziali, e anche in questo secondo anno alla Casa Bianca la questione migranti è stata prioritaria per Trump. A far discutere, in particolare, sono stati alcuni provvedimenti voluti dalla sua amministrazione per contrastare gli arrivi irregolari di migranti centroamericani al confine tra Stati Uniti e Messico. Rafforzare i controlli, concedere meno visti, ma soprattutto costruire il muro per separare gli Usa dall’America latina: questi gli obiettivi, mai nascosti, del tycoon. La politica repressiva ha raggiunto il culmine delle polemiche quando i media americani, citando i dati del Dipartimento di sicurezza, hanno fatto sapere che circa 2000 bambini sono stati separati dalle loro famiglie al confine Usa-Messico dal 19 aprile al 31 maggio, dopo l'entrata in vigore della politica di "tolleranza zero" dell'amministrazione Trump (LA RISPOSTA DELL’ONU). Critiche, quelle nei confronti del tycoon, che si sono fatte ancora più dure quando un video pubblicato dall'Ufficio per la protezione dei confini doganali degli Stati Uniti ha mostrato decine di migranti, fra i quali anche molti bambini, tenuti nelle gabbie, con coperte di emergenza per tenersi al caldo o accartocciate e usate come scarpe. Il tutto all'interno dello US Border Patrol Central Processing Center di McAllen, in Texas, un centro di detenzione al confine con il Messico, dove è stato registrato il maggior numero di separazioni dei minori dalle loro famiglie (LE FOTO). Una crisi, quella dei migranti, che non si arresta, e anzi si aggrava quando a fine ottobre una carovana di circa 7mila persone provenienti dall’America latina si avvicina al confine con gli Stati Uniti (LA CAROVANA VERSO GLI USA: FOTO). "Questa è un’invasione del nostro Paese e il nostro esercito vi sta aspettando!", scrive Trump su Twitter. Poi, il 9 novembre, annuncia di aver firmato l'ordine esecutivo che esclude i migranti irregolari dalla richiesta di asilo: "Vogliamo che le persone vengano nel nostro Paese, ma devono venire nel Paese legalmente".

Lo shutdown

Legato al tema immigrazione è anche lo shutdown: il blocco delle amministrazioni previsto dall'Antideficiency Act che avviene quando il Congresso degli Stati Uniti non approva la legge che rifinanzia le attività amministrative federali. Un provvedimento che è scattato lo scorso 22 dicembre a causa dei 5 miliardi di dollari reclamati dal presidente Donald Trump nel bilancio per la costruzione del muro al confine con il Messico. In pieno shutdown, lo stesso Trump ha minacciato addirittura di dichiarare l’emergenza nazionale per ottenere i fondi per la realizzazione del muro con il Messico, salvo fare poi marcia indietro (COSA SIGNIFICA). "La barriera d'acciaio, o il muro, avrebbe dovuto essere costruita dalle precedenti amministrazioni molto tempo fa - ha detto il presidente - Non lo hanno fatto, io lo farò". Intanto, nel giorno del suo secondo anniversario alla Casa Bianca, lo stop raggiunge i 30 giorni: è record di sempre per gli Stati Uniti. L'ultimo, nel gennaio 2018, era durato appena tre giorni. In quel caso repubblicani e democratici non riuscirono a trovare un accordo sui cosiddetti "dreamer", i migranti entrati illegalmente negli Usa da minori. Prima di questo, lo stop di ottobre 2013 si era invece protratto per 16 giorni, mentre nel 1995 con l’amministrazione Clinton ci fu un blocco di 21 giorni.

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