Facebook e privacy dopo Cambridge Analytica, le accuse e la difesa del social

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Il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg (Getty Images)

Dopo il datagate che ha travolto la società di Zuckerberg si sono susseguite rivelazioni e critiche sulla gestione di dati da parte del colosso di Menlo Park, fino alla maxi-multa da 5 miliardi che il social dovrà pagare per violazione delle norme sulla privacy

Il caso Cambridge Analytica, lo scandalo sulle decine di milioni di dati personali di utenti utilizzati per scopi politici venuto alla luce nel 2018, ha messo definitivamente Facebook e la gestione dei dati degli utenti sotto i riflettori. Il colosso di Menlo Park è stato al centro di rivelazioni e inchieste che si sono intrecciate anche con il coinvolgimento nel Russiagate, ammesso da Zuckerberg nel 2017. E anche nell'ultimo periodo, il social da oltre due miliardi di iscritti, che il 4 febbraio 2019 ha compiuto 15 anni, è stato protagonista di nuove accuse e critiche, sia per i temi relativi alla privacy che per le scelte sui contenuti ammessi sulla piattaforma. Fino ad arrivare alla maxi multa da 5 miliardi stabilita dalla Federal Trade Commission (Ftc), proprio per le violazioni delle norme sulla privacy nel caso Cambridge Analytica. 

Lo scandalo di Cambridge Analytica

Lo scandalo Cambridge Analytica travolge Facebook nel marzo del 2018. Le inchieste di New York Times e Guardian rivelano che i dati di 87 milioni di utenti Facebook - 214mila quelli italiani (la mappa dei profili tracciati in italia) - sono finiti nelle mani della società di analisi e consulenza politica britannica che ha lavorato alla campagna elettorale di Donald Trump. I dati erano stati raccolti nel 2013 da un ricercatore dell'università di Cambridge, Aleksandr Kogan, con un test sulla personalità sotto forma di app. L'applicazione era stata installata da circa 300mila utenti: accettando le condizioni, questi hanno condiviso con il ricercatore anche le informazioni dei propri contatti. Una pratica consentita da Facebook fino al 2014. Kogan ha però ceduto questo patrimonio di dati a Cambridge Analytica, andando contro i termini di utilizzo del social network che vietavano la condivisione con terzi di informazioni raccolte dagli sviluppatori. Zuckerberg sarebbe venuto a conoscenza della violazione nel 2015, ma avrebbe avuto la rassicurazione che quei dati sarebbero stati cancellati. Però, come hanno rivelato le inchieste, questo non è successo: quei dati infatti sarebbero stati utilizzati per condizionare, attraverso attività mirate su Fb, l'orientamento di voto dei cittadini Usa durante le ultime presidenziali. A maggio del 2018, Cambridge Analytica ha chiuso. Mentre due mesi dopo, Facebook è stata multata in Gran Bretagna dall'Information Commissioner's Office (Ico) per aver violato la legge non tutelando i propri utenti proprio nell’ambito dello scandalo di Cambridge Analytica.

Zuckerberg al Congresso Usa e al Parlamento Ue

Lo scandalo di Cambridge Analytica ha portato il fondatore del social network davanti al Congresso Usa, nell’aprile 2018. "È stato un mio errore e mi scuso", ha detto Zuckerberg ammettendo le proprie responsabilità. Un mese dopo, a maggio, si è presentato davanti al Parlamento europeo per un’audizione: "Ci scusiamo per l'errore commesso, ci vorrà del tempo ma il nostro impegno è quello di rimediare", ha ribadito in quell’occasione. L'attenzione dell’Ue sulla vicenda è particolarmente alta soprattutto alla luce dell'entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo sulla privacy (Gdpr). Zuckerberg ha poi ricevuto un altro invito a riferire: quello del Senato russo. Per il fondatore della compagnia sarebbe il terzo intervento pubblico in una sede istituzionale dopo quelli tenuti al Senato degli Stati Uniti e al Parlamento Europeo. Quello del fronte russo resta un tema particolarmente delicato per il social network visto che lo scandalo di Facebook si intreccia anche con il Russiagate.

Facebook e il Russiagate

Ma già prima di Cambridge Analytica i problemi per il social network non erano mancati. Zuckerberg ha impiegato 10 mesi, dal giorno del voto Usa, per ammettere il coinvolgimento di Mosca nelle presidenziali americane del 2016. Secondo quanto emerso, l'intelligence russa ha creato profili falsi impersonando cittadini americani e diffondendo fake news: i loro post, tendenzialmente a favore di Trump, sarebbero comparsi sul newsfeed di circa 126 milioni di utenti, pari a quasi metà della popolazione adulta americana. Per condurre questa campagna di disinformazione l'intelligence russa ha speso in pubblicità, tra Facebook e Instagram, circa 100mila dollari. Gli account finti sono stati chiusi nell'agosto del 2017. Nuove accuse sono piovute sul colosso di Menlo Park nel novembre 2018, in seguito a un'inchiesta del New York Times. Zuckerberg ha rispedito al mittente gli attacchi.

I rapporti coi colossi tech

Dopo Cambridge Analytica, le accuse contro il social network si sono moltiplicate. Tra le ultime, la rivelazione del Nyt sugli accordi che Facebook avrebbe siglato per la condivisione dei dati con almeno quattro società cinesi di elettronica, tra cui Huawei. Ma, pochi giorni prima, sempre il quotidiano della Grande Mela aveva svelato altri accordi: quelli per la condivisione dei dati con giganti tech del calibro di Amazon, Apple, Blackberry e Samsung. Il social di Mark Zuckerberg avrebbe stipulato accordi con almeno 60 produttori permettendo loro di accedere ai dati personali di migliaia di utenti e dei loro contatti, senza esplicito consenso. Quasi immediata la replica di Tim Cook - Ceo di Apple - che ha garantito: mai chiesti dati privati degli utenti a Facebook.

Post "privati" visibili a tutti, il bug

Nuovi problemi sul fronte della privacy si sono poi verificati per un bug che ha reso visibili a tutti alcuni post che invece gli utenti avevano impostato come privati tra il 18 e il 27 maggio 2018. Un difetto che ha interessato 14 milioni di iscritti e per il quale il social network si è subito scusato, correndo ai ripari.

Il progetto per tracciare informazioni dei pazienti in ospedale

A inizio aprile un'altra indiscrezione, questa volta nel campo della sanità. Secondo quanto rivelato da Cnbc, il social network avrebbe chiesto ad alcuni dei maggiori ospedali americani di condividere dati in forma anonima dei loro pazienti, per un progetto di ricerca. Lo scopo era associare le informazioni dei pazienti ai dati raccolti dagli utenti del social, per aiutare le strutture sanitarie a intercettare particolari bisogni ed esigenze dei pazienti. Facebook aveva ammesso di aver discusso questa possibilità con alcune istituzioni, ma aveva anche precisato che il progetto era stato sospeso, dopo il "datagate".

Le accuse di Six4Three e un'altra "fuga" di dati

A metà maggio un'inchiesta del settimanale New Scientist ha rivelato che Facebook starebbe indagando su una "fuga" di dati simile a quella svelata proprio con il caso Cambridge Analytica. A fine maggio un'altra accusa: Six4Three, una startup americana, ha presentato una denuncia a un tribunale californiano sostenendo che il colosso dei social media avrebbe "raccolto dati in forma fraudolenta sugli utenti e i loro amici" per utilizzarli per fini commerciali. Secondo le accuse di queste operazioni sarebbe stato al corrente lo stesso Zuckerberg. 

Le polemiche sul diritto di negare l'Olocausto sul social

Due mesi dopo, a luglio del 2018, il social è stato protagonista di altre critiche. Questa volta non si tratta della gestione dei dati, ma del fatto che Facebook difenda il "diritto degli utenti di sbagliare, anche quando si tratta di negare l'Olocausto". A dirlo è stato proprio Zuckerberg, in un'intervista. Le parole del fondatore di Fb sono arrivate a commento della decisione di consentire contenuti controversi sulla piattaforma, a patto che non si traducano in danni reali, fisici o in attacchi a individui. Dopo le polemiche nate dalla sua dichiarazione, però, lui stesso ha precisato: "Ritengo la negazione dell'Olocausto profondamente offensiva, e non volevo assolutamente difendere le persone che lo negano".

Falla nella sicurezza, coinvolti 50 milioni di utenti

A settembre 2018 è la volta di una falla nella sicurezza che compromette 50 milioni di account di Facebook e costringe circa 90 milioni di utenti a a disconnettersi e a riconnettersi al social per precauzione. Gli hacker hanno sfruttato una vulnerabilità che ha permesso loro di "rubare" i token di accesso degli utenti (che permettono a chi ha effettuato l'accesso di non reinserire ogni volta la password) e di prendere il controllo dei loro account. Facebook ha diffuso la notizia il 28 settembre, tre giorni dopo la violazione, spiegando di aver risolto il problema e di averlo segnalato alle forze dell'ordine.

Nyt: "Ignorati allarmi su russi, Cambridge Analytica e Soros"

Nel novembre 2018, il Nyt riaccende i fari sul social network con un'inchiesta basata sulle testimonianze di 50 tra dipendenti ed ex del colosso di Menlo Park. Secondo il quotidiano statunitense, Zuckerberg e il suo braccio destro Sheryl Sandberg non solo hanno ignorato i segnali di allarme sui russi e su Cambridge Analytica, ma hanno poi ripetutamente negato, arrivando a sviare l'attenzione dai problemi della società alimentando la disinformazione, anche quella contro George Soros. Facebook respinge le accuse: "Semplicemente false".

Zuckerberg: “Risolvere problemi sfida che durerà anni”

In un lungo post di fine 2018, Zuckerberg ha sottolineato che la società ha fatto tutto il possibile per rimediare alle problematiche della piattaforma, ma servirà ancora tempo: "Per essere chiari, risolvere i problemi non è una sfida che durerà un anno. Alcuni di questi, come le interferenze nelle elezioni o gli incitamenti all'odio, non potranno mai essere risolti pienamente”.

L'accusa sui giochi online

Ma il 2019 si apre con un altro nodo per il social di Menlo Park. A gennaio, alcuni documenti relativi a una causa contro Facebook, pubblicati da Reveal, indicano che, per anni, il social media avrebbe spinto i bambini a spendere soldi nei giochi online, come Angry Birds, PetVille e Ninja Saga, all’insaputa dei genitori. Per lungo tempo il social, pur essendo consapevole, avrebbe scelto di non intervenire per non perdere una fonte di guadagno. Gli sviluppatori sarebbero stati spinti a non introdurre delle funzioni volte a tutelare i minorenni, portando avanti quella che nei documenti viene definita una ‘frode amichevole’. Solo nel 2016, Menlo Park ha deciso di aggiornare i termini di utilizzo e di fornire risorse dedicate per le richieste di rimborso relative agli acquisti effettuati dai minori.

TechCrunch: utenti pagati per installare app-spia

A gettare un'altra ombra su Facebook, a fine gennaio 2019, è il portale TechCrunch secondo il quale il social pagherebbe 20 dollari al mese alcuni utenti per l’installazione di app-spia. Facebook sarebbe interessato a conoscere con precisione le preferenze dei propri utenti e avrebbe fatto installare sui telefoni dei volontari l’app Facebook Research, una VPN che registra e manda a Menlo Park dati riguardo all’utilizzo del device, compreso tutto ciò che viene fatto sul web. Ma Facebook respinge le accuse: "Non si tratta di spiare, dal momento che tutti coloro che si sono iscritti hanno seguito una chiara procedura di registrazione che chiedeva il loro consenso".

La maxi-multa da 5 miliardi di dollari

Il caso Cambridge Analytica torna sotto i riflettori nel luglio 2019, quando Facebook viene colpita da una multa senza precedenti: 5 miliardi di dollari. È questa la cifra che il social network dovrà pagare, in base a quanto stabilito dalla Federal Trade Commission (Ftc), per violazione delle norme sulla privacy. Una sanzione, questa, che Zuckerberg si aspettava e per cui aveva messo da parte tra i 3 e i 5 miliardi di dollari nell'ambito degli ultimi conti trimestrali. A giugno, al colosso era arrivata anche una multa da un 1 milione di euro da parte del Garante per la privacy sempre per gli illeciti compiuti nel caso Cambridge Analytica. La sanzione, comminata in base al vecchio Codice Privacy, aveva fatto seguito al provvedimento del Garante dello scorso gennaio con cui l’autorità aveva vietato a Facebook di continuare a trattare i dati degli utenti italiani. 

 

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