Il social avrebbe stipulato accordi con aziende come Apple, Amazon, BlackBerry, Microsoft, Samsung per permettere loro di accedere a dati di migliaia di persone e dei loro contatti. Replica Fb: “Chiesto consenso, no abusi”. Ex manager: fino a 2015 app accedevano a tutto
A pochi mesi dallo scandalo Cambridge Analytica, Facebook è colpita da una nuova accusa sul fronte della violazione della privacy. Secondo il New York Times, il social network di Mark Zuckerberg avrebbe stipulato accordi con almeno 60 produttori di smartphone, tablet e altri dispositivi mobili permettendo loro di accedere ai dati personali di migliaia di utenti e dei loro contatti senza esplicito consenso. Tra i gruppi con cui il colosso di Menlo Park negli ultimi dieci anni avrebbe siglato intese ci sarebbero Apple, Amazon, BlackBerry, Microsoft e Samsung. Secondo il Nyt, i vertici di Menlo Park hanno sempre parlato di una stretta sulla raccolta di dati personali a partire dal 2015, ma avrebbero omesso di svelare alcune eccezioni, tra cui proprio quella riguardante l'esenzione per i produttori di dispositivi hardware. Facebook, però, spiega che i dati non sarebbero mai stati usati per scopi diversi da quello preposto, ovvero portare il social sugli smartphone in tempi in cui non esistevano i negozi di app.
Ex manager: fino al 2015 app potevano accedere a tutto
Del caso sollevato dal New York Times ha parlato anche Sandy Parakilas, ex manager operativo di Facebook nel 2011 e 2012. "Fino al 2015, le app di Facebook potevano avere accesso non solo ai dati degli utenti che le installavano ma anche dei loro amici. In media gli utenti di Facebook hanno tra i 200 e i 300 amici, quindi parliamo di un aumento esponenziale", ha detto davanti a quattro commissioni congiunte del Parlamento europeo. "Il problema è che Facebook non aveva nessuna capacità di controllare questi programmatori terzi con i dati che avevano raccolto", ha aggiunto. E poi ha spiegato: "I programmatori potevano avere molti dati degli utenti: le azioni, le attività, i post, rapporti sulle relazioni, la religione, gli orientamenti politici. E anche quelli dei loro amici". "In alcuni casi - ha sottolineato - questo consentiva persino di leggere i messaggi privati degli utenti". E ha concluso: "Il problema è che Facebook non aveva nessuna capacità di controllare questi programmatori terzi con i dati che avevano raccolto".
Servizi in cambio di dati
Secondo il New York Times, comunque, la maggior parte degli accordi basati sulla condivisione dei dati personali sarebbe ancora in vigore: Facebook avrebbe lasciato i produttori di dispositivi mobili liberi di offrire e diffondere ai propri utenti alcuni dei servizi più popolari del social, come quello di messaggistica, in cambio dell’accesso alle informazioni personali dei propri utenti e dei loro “amici” sulla piattaforma social, anche nei casi in cui questi ultimi erano convinti di aver negato ogni condivisione dei propri dati. "I dirigenti di Facebook - scrive il quotidiano americano - hanno detto che il tipo di accesso sfruttato da Cambridge Analytica nel 2014 sarebbe stato chiuso entro l'anno successivo, quando la società proibì agli sviluppatori (di app, ndr) di raccogliere informazioni sugli amici degli utenti. Ma non aveva rivelato di aver esentato i produttori di smartphone, tablet e altri dispositivi da tali restrizioni".
La replica di Facebook
A intervenire sulla vicenda è il vicepresidente di Facebook Ime Archibong, che spiega l’obiettivo di quegli accordi e assicura che i costruttori non hanno mai usato le informazioni per scopi diversi. "Nei primi giorni del 'mobile' - ricorda Archibong - non c'erano negozi di app, quindi aziende come Facebook, Google, Twitter e YouTube dovevano lavorare direttamente con i produttori di sistemi operativi e dispositivi per portare i loro prodotti nelle mani delle persone". Quindi, spiega, "abbiamo creato una serie di API (interfacce di programmazione di una app, ndr) che hanno consentito alle aziende" di portare Facebook sugli smartphone, utilizzati negli ultimi 10 anni da "circa 60 aziende tra cui Amazon, Apple, Blackberry, HTC, Microsoft e Samsung". I partner, aggiunge Archibong, "hanno firmato accordi che impedivano l'utilizzo delle informazioni degli utenti per qualsiasi altro scopo che non fosse ricreare l'esperienza Facebook", e “non potevano integrare le informazioni nei dispositivi senza il permesso dell'utente". "Contrariamente alle affermazioni del New York Times - conclude - le informazioni degli amici, come le foto, erano accessibili sui dispositivi solo quando le persone decidevano di condividere le proprie informazioni con quegli amici. Non siamo a conoscenza di eventuali abusi da parte di queste aziende". Facebook ha poi detto, in una nota, di aver comunque già chiuso 22 di queste partnership e di stare lavorando per fornire modi alternativi per usare il suo servizio.
Facebook nel mirino
L’azienda di Zuckerberg rischia quindi di trovarsi di nuovo al centro delle polemiche dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, che ha riguardato il “furto” di decine di milioni di dati personali di utenti Facebook utilizzati per scopi politici. L’azienda di Zuckerberg rischia quindi di trovarsi di nuovo al centro delle polemiche dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, che ha riguardato il “furto” di decine di milioni di dati personali di utenti Facebook utilizzati per scopi politici. La Commissione federale per il commercio Usa (FTC) sta indagando per capire se l'azienda abbia o meno violato un precedente accordo sulla privacy degli utenti. Ma anche l'Unione europea, che ha da poco ascoltato il Ceo Mark Zuckerberg in un incontro coi suoi parlamentari, è sul piede di guerra, specie ora che è pienamente effettivo il nuovo Regolamento europeo sulla privacy (GDPR).