Il quotidiano, con decine di interviste, ha ricostruito la strategia del colosso nella gestione di scandali come le interferenze russe pre-elezioni e il caso Cambridge Analytica. Fb avrebbe anche screditato persone come Soros per distogliere l’attenzione dai propri guai
“Ritardare, negare e sviare”. Secondo un'inchiesta del New York Times, è questa la tattica usata dai vertici di Facebook durante le varie crisi attraversate dal social network, dalle interferenze russe alla condivisione dei dati. Il quotidiano statunitense, sulla base di interviste con decine di dipendenti ed ex dipendenti di Facebook, scrive che l'amministratore delegato Mark Zuckerberg e il chief operating officer Sheryl Sandberg si sono concentrati sulla crescita e hanno ignorato i segnali d'allarme, per poi cercare di nasconderli (LA REPLICA DI ZUCKERBERG E SANDBERG: ACCUSE FALSE).Tra le indiscrezioni rivelate dal Nyt, Facebook viene anche accusata di aver usato tattiche subdole quando è finita sotto pressione per le interferenze russe: il social avrebbe impiegato l'agenzia di consulenza e analisi Definers Public Affairs per diffondere cattive informazioni sui suoi rivali e screditare i manifestanti attivisti, in parte collegandoli al finanziere George Soros, nell'ambito di una strategia per distrarre l'attenzione dai suoi problemi. Inoltre avrebbe fatto un fitto lavoro di lobbying sui membri del Congresso. Tutte queste rivelazioni hanno fatto sprofondare Facebook a Wall Street, dove è in calo dall’apertura (TUTTI I CASI IN CUI È STATA COINVOLTA FACEBOOK).
Le falle di Facebook
L'inchiesta pubblicata dal New York Times è basata sulle interviste fatte a 50 persone, tra cui alcuni dirigenti e dipendenti, ex ed attuali, dell'azienda; legislatori e funzionari governativi; lobbisti e membri del personale del Congresso. “In alcuni dei momenti critici negli ultimi tre anni, Zuckerberg e Sandberg erano distratti da progetti personali, passavano le decisioni sulla sicurezza e quelle riguardanti la politica a dei sottoposti”, dice il Nyt nel suo articolo. Secondo quanto scrive il quotidiano newyorkese, solo nel settembre 2017, un anno dopo i primi segnali degli interventi russi nelle elezioni Usa attraverso il social network, Zuckerberg e Sandberg hanno preso in mano il problema. E quando nella scorsa primavera è scoppiato lo scandalo di Cambridge Analytica l'azienda ha cercato di deviare le colpe e mascherare il problema, per passare poi in seconda fase all'attacco. Mentre Zuckerberg era impegnato in un tour globale di scuse pubbliche, Sandberg ha supervisionato una campagna di lobbying aggressiva per combattere i critici di Facebook, spostare la rabbia dell'opinione pubblica verso le compagnie rivali e scongiurare una regolamentazione dannosa.
Le accuse di diffamazione a Soros
Secondo le ricostruzioni del New York Times, il social media è stato coinvolto nella campagna di insulti e calunnie contro il fondatore dell'organizzazione no-profit, George Soros. Il Financial Times ha riportato il commento della Open Society Foundation che accusa Facebook di mettere a rischio i valori della democrazia. "Sono rimasto scioccato dall’apprendere che Fb ha assunto una società di ricerca repubblicana per alimentare gli animi contro Soros”, afferma Patrick Gaspard, il presidente di Open Society Foundations, in una lettera a Sheryl Sandberg, il chief operating officer di Facebook. "Mi ha deluso vedere i fallimenti" di Facebook nel "monitorare la cattiva informazione sulla sua piattaforma. Venire a sapere che" Facebook "ha avuto un ruolo attivo nel promuovere queste distorsioni va oltre ogni limite" aggiunge Gaspard, mettendo in evidenza come gli sforzi di Facebook in questo senso rientravano in una "strategia deliberata per distrarre" l'attenzione dai problemi della società.
La replica del colosso
Zuckerberg e Sandberg hanno rifiutato di commentare i risultati dell’indagine ma in una dichiarazione il colosso di Menlo Park riconosce la lentezza nell'affrontare i problemi emersi, facendo comunque notare i progressi fatti da allora. "È stato un momento difficile per Facebook e l'intero team di gestione si è concentrato sull'affrontare i problemi che affrontiamo”, si legge nella dichiarazione. "Stiamo lavorando duramente per garantire che le persone trovino i nostri prodotti utili e per proteggere la nostra comunità da cattivi elementi". Sulla questione delle interferenze russe su Facebook, la società nega di essere venuta a conoscenza "delle attività russe già dall’inizio del 2016", come affermato dal Nyt. Per quanto riguarda l’operato della società Definers Public Affairs con lo scopo di screditare George Soros, il colosso di Menlo Park sostiene di non aver mai chiesto all'azienda di scrivere, o pagare perché venissero scritti articoli per conto di Facebook o per diffondere disinformazione. Per il social l'intento era spingere i giornalisti a smascherare l’ingerenza di un "noto critico dell’azienda", e cioè proprio Soros (anche se non viene nominato) nella campagna “Freedom from Facebook”, che i media dipingevano invece come "un’iniziativa dal basso". "Suggerire che questo fosse un attacco antisemita è riprovevole e incorretto", si legge ancora nella risposta dell’azienda.
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