Facebook ha incentivato i bambini a spendere soldi nei giochi online

Tecnologia
Immagine di archivio (Getty Images)

L'azienda sarebbe stata al corrente del problema, ma avrebbe deciso di non intervenire. Anzi: avrebbe spinto gli sviluppatori a non fornire ai piccoli alcuna protezione

Alcuni documenti relativi a una causa contro Facebook, pubblicati da Reveal, indicano che, per anni, il social media avrebbe spinto i bambini a spendere soldi nei giochi online, all’insaputa dei genitori. Pur essendo consapevole del problema, per lungo tempo la compagnia di Menlo Park ha scelto di non intervenire. Gli sviluppatori sono stati spinti a non introdurre delle funzioni volte a tutelare i minorenni, portando avanti quella che nei documenti viene definita una ‘frode amichevole’. Nel 2011, Facebook mise da parte la soluzione proposta da alcuni dipendenti per evitare un impatto negativo sui ricavi. Solo nel 2016 il social media ha deciso di aggiornare i termini di utilizzo e di fornire risorse dedicate per le richieste di rimborso relative agli acquisti effettuati dai minori.

La ‘frode amichevole’ di Facebook

La causa contro Facebook è iniziata nel 2012, quando una famiglia di Phoenix ha denunciato le attività illecite del social media. Nel 2014 si è trasformata in una class action. I documenti relativi al caso sono stati tenuti nascosti dagli avvocati della compagnia di Menlo Park per alcuni anni, ma ora sono stati resi pubblici su richiesta di Reveal. Le 135 pagine divulgate rivelano che Facebook memorizzava i dati della carta di credito che i bambini utilizzavano per effettuare una singola transizione, approvata dai genitori, in giochi come Angry Birds, PetVille e Ninja Saga. I successivi acquisti dei piccoli, spesso effettuati senza realizzare di spendere dei soldi veri, contribuivano a incrementare la spesa.

Facebook ha volutamente ignorato il problema

Un rapporto interno rivela che tra il 12 ottobre 2010 e il 12 gennaio 2012, furono spesi 3,6 milioni di dollari da utenti minorenni. Quasi un genitore su dieci provò a contattare Facebook o i gestori delle carte di credito per contestare la spesa involontaria. Il social media declinò sempre ogni responsabilità. Gli elevati tassi di contestazione spinsero Rovio, la software house che ha creato Angry Birds, a chiedere chiarimenti a Facebook tramite email. Il social media avviò un’analisi e scoprì che il 93% delle contestazioni era effettivamente legato a degli acquisti inconsapevoli. "In quasi tutti i casi, i genitori sapevano che il loro bambino stava giocando ad Angry Birds, ma non pensavano che gli sarebbe stato permesso di comprare qualcosa senza la password", spiegò a Rovio un impiegato di Facebook. Nonostante fosse consapevole del problema, Facebook non agì mai per contrastarlo, temendo di perdere un’ingente fonte di guadagno. Nel 2011, Tara Stewart, all’epoca neoassunta nella divisione ‘Rischi e Pagamenti’, testò assieme ai suoi colleghi un nuovo sistema di sicurezza, il quale obbligava gli utenti a digitare le prime sei cifre della carta di credito prima di portare a termine ogni transazione. Nonostante la sua efficacia, il metodo fu bocciato dal social media. 

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