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Dieci anni dal naufragio della Costa Concordia, cosa accadde nell'incidente. VIDEO

Cronaca
©IPA/Fotogramma

La sera del 13 gennaio 2012, la nave da crociera comandata da Schettino urtò contro gli scogli al largo dell'Isola del Giglio: nella tragedia persero la vita 32 persone. Dai primi soccorsi alla ricerca dei dispersi, dalla rimozione del relitto al processo: ecco la cronaca di uno dei più grandi naufragi della storia italiana

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Sono passati dieci anni dal naufragio della Costa Concordia, la nave da crociera che il 13 gennaio 2012 urtò le Scole, un gruppo di scogli vicino all'Isola del Giglio, riportando un grosso squarcio lungo 70 metri sul lato sinistro. Dopo l'impatto, la navigazione si interruppe bruscamente e l'imbarcazione si incagliò sul fondale, fino ad affondare parzialmente. La situazione fu aggravata dal ritardo con cui fu lanciato l'allarme. Nel naufragio morirono 32 persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio, e altre 157 rimasero ferite. Francesco Schettino, comandante della nave, è stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione, che sta scontando nel carcere di Rebibbia. Dai primi minuti dopo l'incidente agli avvenimenti successivi, ecco cosa accadde dieci anni fa in uno dei più grandi naufragi della storia italiana (LO SPECIALE DI SKY TG24 - IL RACCONTO IN 25 FOTO).

L'inchino e l'impatto con gli scogli

La nave Concordia, di proprietà della Costa Crociere, salpò dal porto di Civitavecchia nel tardo pomeriggio del 13 gennaio 2012 e si diresse verso Savona per l'ultima tappa della crociera "Profumo d'agrumi". Aveva 4.229 persone a bordo tra passeggeri ed equipaggio. Poco dopo le 21, la nave lasciò la rotta predefinita per avvicinarsi all'Isola del Giglio ed effettuare il cosiddetto "inchino", una serie di manovre che vengono compiute nelle vicinanze di insediamenti costieri per salutare chi guarda dalla terraferma. Non si trattò di un evento eccezionale: l'inchino, come sottolineò l'allora ministro dell'Ambiente Corrado Clini, era una consuetudine della tradizione marinara, anche se molto pericolosa. Quella sera, alcune valutazioni e manovre sbagliate dal comandante Schettino e dal suo equipaggio portarono alla collisione con gli scogli e al conseguente naufragio. Alle 21:45 la nave urtò il più piccolo degli scogli delle Scole, a 96 metri dalla riva dell'Isola del Giglio.

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Il mancato allarme e le rassicurazioni

La Costa Concordia a quel punto subì un brusco rallentamento e iniziò a imbarcare acqua, che mise fuori uso i motori elettrici principali e i generatori, causando un blackout. Nel frattempo, i passeggeri allarmati si recarono ai punti di ritrovo. Il blackout gettò molti nel panico, ma dopo pochi minuti dagli altoparlanti arrivarono le prime rassicurazioni: lo staff comunicò che c'era stato un problema tecnico e gli addetti stavano lavorando per risolverlo. Nessuno fece riferimento alla falla e all'allagamento. Dopo quasi un'ora, alle 22:20 circa, fu attivato il generatore d'emergenza e fu detto ai passeggeri di ritornare nelle cabine.

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Le comunicazioni con la Capitaneria 

Verso le 22, la Costa Concordia fu contattata dalla Capitaneria di porto di Civitavecchia, che chiedeva informazioni sullo stato della nave. Fu richiesto l'invio di un rimorchiatore, sostenendo che era in corso un blackout. Alle 22:09, la Concordia venne contattata anche dal Circomare di Porto Santo Stefano, cui fu sempre risposto che era in corso un blackout. Dopo circa mezz'ora dall'urto, la Capitaneria di porto di Livorno chiamò la Costa Concordia per assicurarsi dello stato dell'imbarcazione. Dalla nave ammisero di avere qualche difficoltà risolvibile in breve tempo. Alle 22:25 Schettino riferì della falla alla Capitaneria di Livorno. Il capitano chiese l'invio di rimorchiatori, sostenendo che tutti i passeggeri avevano indossato i giubbotti salvagente. Al contrario, l'ordine di indossare i giubbotti di salvataggio e di dirigersi alle cosiddette "muster station", cioè i punti di raccolta, arrivò solo tre quarti d'ora dopo l'impatto, alle 22:33. L'ordine di abbandonare la nave arrivò solo alle 22:54.

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I primi soccorsi

Subito dopo aver appreso della falla, la Capitaneria di Livorno, su ordine del capitano Gregorio de Falco, dispose il dirottamento sul luogo di tutte le navi presenti in zona per aiutare i soccorsi. Nel frattempo, la nave iniziò a inclinarsi verso destra. Le prime lance di salvataggio, cariche di passeggeri, furono calate in mare alle 22:47, ma il loro movimento accentuò lo sbandamento della nave. Anche il generatore d'emergenza saltò, lasciando al buio chi era a bordo. I passeggeri della Costa Concordia furono evacuati per la maggior parte dall'equipaggio mediante le lance, e per il resto da navi civili, tra cui il traghetto Aegilium della Toremar, presente nel porto dell'isola, e mezzi di soccorso della Guardia costiera, dei Vigili del fuoco, dei Carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia di Stato e dell'Aeronautica militare. I primi soccorsi a terra furono portati dalla popolazione dell'Isola del Giglio, che spontaneamente si mise a disposizione con la messa in mare di alcune barche e l'assistenza alle persone che raggiungevano la riva con i mezzi di salvataggio. Un primo punto di raccolta dei naufraghi fu allestito nella chiesa della Madonna del Giglio, altri nelle scuole, nei negozi e negli alberghi, oltre che nelle stesse case dei gigliesi.

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Il comandante Schettino abbandona la nave

Il Codice di navigazione prevede che il comandante della nave, se questa è in avaria, scenda sempre per ultimo dall'imbarcazione, e punisce con la reclusione chi viola le norme. In quell'occasione Schettino venne meno al suo dovere: mise piede a terra quando ancora la maggior parte delle persone era a bordo, e si rifiutò di tornare sulla nave. Non ci tornò nemmeno quando Gregorio de Falco, allora comandante della Capitaneria di Livorno, lo invitò esplicitamente a farlo. L'episodio è diventato molto famoso perché fu diffuso l'audio della chiamata tra i due risalente a quella notte. Nella conversazione si sentì Schettino dire, mentendo, che stava coordinando i soccorsi da una lancia. De Falco rispose: "Adesso lei va lì con la sua scialuppa. Sotto la prua della nave, lato dritto, c'è una biscaggina (una scaletta di corda, ndr). Lei sale su quella biscaggina e va a bordo della nave, e mi riporta quante persone ci sono. Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza, e mi dice il numero di queste categorie". Come poi si accerterà dalla testimonianza di Roberto Galli, comandante della Polizia municipale dell'Isola del Giglio, prima delle 00:42 Schettino era già a terra, sugli scogli, e non era impegnato in alcun soccorso.

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La corsa contro il tempo

Le operazioni di soccorso andarono avanti per svariate ore durante quella notte, e non furono semplici. Il ritardo con cui fu dato l'allarme e il progressivo affondamento della nave da crociera, che arrivò a inclinarsi quasi a 90° verso destra, resero alcune scialuppe inutilizzabili. Diverse persone si buttarono in mare per cercare di salvarsi e alcune finirono risucchiate dal gorgo della nave che si inclinava. Altre rimasero intrappolate mortalmente nei corridoi e nei vani ascensori ormai invasi dall'acqua. Le lance, dopo aver messo a terra i passeggeri nel porto e imbarcato alcuni gigliesi giunti per dare aiuto (tra cui il vicesindaco Mario Pellegrini), tornarono verso la nave. Sul lato che stava affondando c'erano passeggeri che saltavano a bordo delle scialuppe direttamente dal ponte 3, ormai quasi al livello del mare. Altri, sul lato di sinistra, usavano la scaletta di corda per camminare sullo scafo e arrivare alle imbarcazioni. Verso le 3 del mattino erano almeno un centinaio le persone ancora a bordo della Concordia, con l'acqua che progressivamente invadeva gli ambienti. Molti passeggeri tratti in salvo vennero portati a Porto Santo Stefano, dove nel frattempo arrivò anche il direttore della Costa Crociere, Gianni Onorato.

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La mattina dopo

Le operazioni di soccorso nella notte tra il 13 e il 14 gennaio portarono al salvataggio di 3.188 passeggeri e 1.006 membri dell'equipaggio. Mancarono all'appello 35 persone. Già nella notte furono recuperati in mare tre corpi. Nella mattina del 14 gennaio ebbero inizio le operazioni di ricerca dei dispersi a bordo del relitto, che era semisommerso. Tra gli ultimi a essere salvati ci furono due passeggeri coreani intorno alla mezzanotte del 14 gennaio, circa 24 ore dopo il naufragio: erano rimasti bloccati in una cabina al ponte 8. Tra le 7 e le 8 del mattino del 15 gennaio fu individuato un terzo superstite, il capo commissario di bordo Manrico Giampedroni, che si trovava sul ponte 3 della nave da crociera: era rimasto bloccato per oltre un giorno a causa di una gamba rotta e con una parte del corpo sommersa dall'acqua. L'uomo fu portato in salvo verso le 12 del 15 gennaio. Giampedroni è stata l'ultima persona trovata viva sul relitto.

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Le 32 vittime

Nel naufragio morirono 32 persone. L'ultimo corpo ritrovato fu quello di Russel Rebello, un cameriere indiano nato a Mumbai che faceva parte dell'equipaggio della Costa Concordia. I suoi resti vennero scoperti il 3 novembre 2014 all'interno di una cabina del ponte 8 che si era deformata nell'impatto con il fondale. La vittima più giovane della tragedia si chiamava Dayana Arlotti e aveva 5 anni. Era in vacanza con suo padre Williams, anche lui morto nell'incidente. La bambina non trovò posto sulle scialuppe perché a causa del panico tutti i protocolli saltarono e non venne rispettato l'ordine di imbarco prioritario. Persero la vita nel naufragio anche Elisabeth Bauer, Michael Blemand, Tomás Alberto Costilla Mendoza, Maria D'Introno, Sándor Fehér, Horst Galle, Christina Mathilde Ganz, Norbert Josef Ganz, Giuseppe Girolamo, Jeanne Yvonne Gregoire, Pierre André Émile Gregoire, Gabriele Maria Grube, Guillermo Gual Buades, Barbara Ann Heil, Gerald Frank Heil, Egon Martin Hoer, Mylene Lisiane Marie Théreèse Litzler, Giovanni Masia, Jean Pierre Micheaud, Margarethe Neth, Inge Schall, Johanna Margrit Schroeter, Francis Servel, Erika Fani Soria Molina, Siglinde Stumpf, Maria Grazia Trecarichi, Luisa Antonia Virzì, Brunhild Werp e Josef Werp (LA FIACCOLATA IN LORO RICORDO).

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Il rischio di disastro ambientale

Nei giorni successivi al naufragio, le autorità iniziarono a preoccuparsi anche dello svuotamento dei serbatoi della nave, dove c'erano 2.400 tonnellate di carburante che rischiavano di causare un ulteriore disastro ambientale. Prima di pensare al recupero del relitto, bisognava dunque svuotare i serbatoi senza far fuoriuscire l'olio combustibile. I lavori cominciarono verso la fine di gennaio e terminarono due mesi dopo, il 24 marzo. L'operazione venne affidata all'associazione di imprese Neri e Smit, che dopo le fasi preparatorie diede il via al pompaggio. In via precauzionale, il tratto di mare circostante venne attrezzato con panne assorbenti antinquinamento.

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La rimozione della nave

Le operazioni di rimozione e smaltimento del relitto richiesero diversi anni di lavoro. Tra le fasi più delicate ci fu il "raddrizzamento" della nave, iniziato il 16 dicembre 2013 e terminato dopo 19 ore. Questa prima operazione fu seguita dall'operazione di "refloating", ovvero la riemersione del relitto. La Concordia tornò a galleggiare il 14 luglio 2014. La nave fu sollevata e spostata di una trentina di metri grazie a una serie di cassoni applicati lungo i fianchi. Il 23 luglio, grazie a due rimorchiatori la nave iniziò il suo ultimo viaggio verso Genova, dove è poi avvenuta la demolizione. Le operazioni di smaltimento si conclusero tre anni dopo, a luglio 2017.

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Il processo a Schettino

Chiuse le indagini, si arrivò al processo con Schettino unico imputato. Quattro ufficiali della Concordia e un dirigente della compagnia Costa Crociere patteggiarono e uscirono dal procedimento con pene confermate in Cassazione (da 1 anno e 11 mesi di reclusione a 2 anni e 6 mesi). L'1 febbraio 2015 Schettino venne condannato in primo grado a 16 anni per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave. La sentenza fu poi confermata dalla Corte d'Appello di Firenze il 31 maggio 2016 e in via definitiva dalla Cassazione il 12 maggio 2017. L'ex comandante fu anche interdetto per sempre dai pubblici uffici. Oggi sta scontando la pena nel carcere di Rebibbia a Roma.

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