La sera del 13 gennaio 2012, il comandante de Falco coordinò le operazioni di soccorso dopo l'impatto della nave. Ricorda tutto come se fosse stato ieri, anche se sono passati dieci anni. Ripete che si poteva e si doveva salvare tutti. E non pronuncia mai il nome di Schettino: "Non lo nomino perché non ha fatto il suo dovere"
Il comandante Gregorio de Falco, la sera del 13 gennaio del 2012, era nei suoi alloggi a ridosso della Capitaneria di porto di Livorno, quando poco dopo le 21:45 (ora dell'impatto della Concordia) lo chiamano dalla sala operativa per comunicargli la presenza di una nave in avaria. Pochi minuti dopo, de Falco è lì insieme ai suoi uomini, una squadra di tre, e con il passare dei minuti viene a sapere che la nave da crociera non è lungo la costa livornese ma a 75 miglia, all'isola del Giglio. Che non si tratta di una normale avaria, che la nave ha imbarcato acqua e che ci sono più di 4mila persone a bordo. Un allarme anomalo, secondo de Falco, perché le notizie arrivano poco alla volta e imprecise. De Falco ricorda gli errori compiuti sulla nave, le scialuppe fatte scendere dal lato sbagliato, le notizie sulla dinamica dell'incidente (CHI ERANO LE VITTIME - IL NAUFRAGIO IN 25 FOTO - LA NAVE PRIMA E DOPO IL DISASTRO).
Il ricordo delle vittime
De Falco ricorda tutto come se fosse stato ieri. Sono passati dieci anni, ma quegli attimi sono impressi nella sua memoria. Ne parla con lo sguardo profondo, con gli occhi umidi di chi sta per commuoversi. Lo fa quando, elencando gli sbagli che sono stati commessi in quella notte da chi nelle funzioni di comando non è stato in grado di gestire l'emergenza, rammenta che si poteva e si doveva salvare tutti. Ricorda alcune delle vittime, sono state 32 quella notte, e i suoi occhi diventano lucidi e si deve fermare. Ricorda la piccola Dayana che aveva solo cinque anni: si trovava nel lato inclinato della nave quando la Concordia si è andata miracolosamente a speronare su due scogli di granito. Bastava solo che si adagiasse pochi metri più in là dove c'era uno strapiombo di più di 70 metri e la Concordia si sarebbe inabissata, divorata dalle acque. E quella che avremmo dovuto raccontare sarebbe stata la tragedia più grande di tutti i tempi. La piccola Dayana, nell'impatto, scivola nella tromba dell'ascensore allagata, il padre si tuffa per salvarla. Entrambi perdono la vita. E non sono i soli, purtroppo. Ricorda Giuseppe Girolamo, batterista della band che suonava sulla nave: cede il suo posto nella scialuppa a una mamma con il figlio. Giuseppe non sa nuotare. Lo dice con rabbia de Falco, perché una persona in più su quella scialuppa che doveva percorrere solo 36 metri fino al porto del Giglio ci poteva e ci doveva andare. Chi doveva deciderlo non ha saputo prendere la giusta decisione. Giuseppe Girolamo ha perso la vita (REBELLO: "MIO FRATELLO TROVATO DOPO TRE ANNI - GABRIELLI: "RESPONSABILITÀ SISTEMICHE)
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Su Schettino: "Non lo nomino perché non ha fatto il suo dovere"
Poi de Falco riprende fiato. I suoi occhi si illuminano quando parla del vicesindaco del Giglio, il primo a salire a bordo, parla del suo coraggio e della sua umanità nel prestare i primi soccorsi. Ricorda Roberto Gallo, comandante della polizia municipale dell'isola del Giglio: quella notte era sugli scogli davanti alla nave, anche lui ha soccorso tanti naufraghi. Ed è proprio sugli scogli della Gabbianara che ha incontrato Schettino, l'uomo che de Falco non chiama mai per nome. "Non lo nomino perché non ha fatto il suo dovere", perché doveva essere lì a salvare le vite umane, doveva essere l'ultimo ad andarsene, invece è scappato. De Falco non lo riconosce come comandante, non lo stima. Per lui non è degno di essere nominato.
A quel punto gli ricordo la telefonata, la famosa telefonata che ha fatto il giro del mondo, quegli attimi in cui de Falco intima ripetutamente e con veemenza a Schettino di ritornare a bordo per poter guidare i soccorsi. "Che sensazione prova a risentire questa telefonata?", gli chiedo. Rammarico, dice. Non rabbia, non rancore, solo rammarico per le vite umane che potevano essere salvate e che invece non ce l'hanno fatta. "Quella notte con tante persone ho stabilito un rapporto forte di collaborazione, interazione, cooperazione. È nata grande stima e rispetto. Ma non con lui che non è stato in grado di dimostrarsi all'altezza della situazione. E non soltanto perché ha abbandonato la nave, ma perché non ha salvato tutte le vite umane che dovevano essere salvate a tutti i costi" (LE TAPPE DEL PROCESSO - SCHETTINO DAL NAUFRAGIO AD OGGI)
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Il ricordo dei soccorritori
Ricorda i suoi uomini de Falco, i mezzi che quella notte hanno prestato servizio, l'elisoccorso che ha tratto in salvo tanti passeggeri. Li nomina uno a uno e con orgoglio ricorda tutte le medaglie che hanno ricevuto per il lavoro svolto quella notte. Si ferma per essere sicuro di averli nominati tutti. Ha portato dei fogli per essere sicuro di citare tutti. Li scorre con gli occhi. Solo dopo essersi sincerato che non ha tralasciato nessuno procede con il suo racconto. Di ognuno ci tiene a spiegare la storia e ciò che quella notte ha fatto. Lo ascoltiamo con rispetto. Perché l’orgoglio che prova per i suoi uomini quasi ci intenerisce. De Falco ricorda anche il coraggio e la determinazione della signora Serra, ufficiale di bordo che aveva in cura le persone con disabilità presenti sulla nave. Ricorda che con il suo cellulare ha chiamato ripetutamente i soccorsi e li ha guidati nel punto esatto della nave dove hanno poi tratto in salvo tutte le persone che Serra aveva custodia. De Falco non ha mai conosciuto la signora Serra, le ha soltanto parlato per telefono quella sera. Ma la sua voce è rimasta inconfondibile nella sua mente.
Il ricordo più bello è quello di Giuseppe, un bimbo piccolo sulla Concordia insieme ai genitori. De Falco ricorda che l'episodio del bimbo gli è stato raccontato dai nonni di Giuseppe, che ha incontrato al Giglio in occasione del primo anniversario della tragedia. De Falco racconta come il piccolo piangesse disperato mentre in braccio al padre scendeva la famosa biscaggina di poppa. A un certo punto Giuseppe sfugge di mano al papà e per fortuna precipita su una delle scialuppe che erano state poste dai soccorritori sotto la scala di legno. Giuseppe è salvo. De Falco lo racconta con orgoglio ed emozione (CHE FINE HA FATTO LA NAVE - LA RIMOZIONE DEL RELITTO - IL RUOLO CRUCIALE DEI SOMMOZZATORI).
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"Rifarei tutto quanto"
"C'è qualcosa che non rifarebbe?", gli chiedo. "Rifarei tutto quanto, tutto ciò che ho fatto quella notte". Risponde senza esitare, senza pensarci sopra il senatore de Falco, che aggiunge: "Nessuno quella notte ha chiesto soccorso dalla Concordia, ma noi abbiamo capito che bisognava intervenire subito e prestare soccorso immediatamente, e così abbiamo fatto. Il modo in cui abbiamo operato era l'unico modo in cui si doveva agire" (IL SOCCORRITORE: "NON ERAVAMO CERTI DI SOPRAVVIVERE").
De Falco sta parlando da più di un'ora, lucido, calmo, preciso. Puntuale. Finora è sempre rimasto appoggiato allo schienale della sua poltrona. Ora invece si scosta, e quasi cercando di avvicinarsi a noi e alle telecamere precisa: "Le cose non basta farle bene, bisogna farle nel migliore dei modi. Bisogna andare oltre per essere sicuri di aver fatto il proprio dovere, e non solo quello". Ricorda gli encomi ricevuti dalle autorità degli Stati Uniti per come sono stati gestiti i soccorsi quella notte. E prima di lasciarci ci chiede il permesso di ricordare un film, La Grande Bellezza. Inizia con un incidente a Ischia: un motoscafo va troppo veloce, troppo vicino alla riva e per miracolo non uccide uno dei protagonisti che sta facendo il bagno. De Falco parla di scelleratezza e paragona le due scelleratezze. Quella del film, con il naufragio della Concordia, una nave di 30 metri spinta imprudentemente a velocità troppo elevata troppo vicino a una minuscola isola dell'arcipelago toscano. Parla con il cuore de Falco, dopo aver parlato con onore da ex ufficiale della Marina. E ora, con orgoglio, da senatore della Repubblica italiana.