Dieci anni dopo quel 13 gennaio 2012, Matteo Caccia ci racconta di come la tragedia abbia cambiato profondamente la vita della comunità dell'isola del Giglio
"Prima avevano iniziato a scendere un po' di persone, che poi erano tutte persone anziane, persone in carrozzina... Mi ricordo che poi gli detti il giaccone che avevo, lo usarono come coperta. Infatti mi ricorderò sempre lo sguardo di questa signora, che mi ha guardato come dire... Accidenti, ti levi una cosa di te! A me, in quel momento mi sembrava una cosa normalissima. A parte non ne avevo bisogno, ma se c'è chi ha più bisogno di te è ovvio che viene spontaneo".
Lui è Giovanni Rossi. Nella vita, prima di fare il vino, è stato commercialista e tabaccaio. Ma forse il meglio di sé lo ha dato al timone delle scialuppe di salvataggio della Costa Concordia, perché la notte del 13 gennaio 2012, lui come tutti i gigliesi è uscito di casa ed è andato ad aiutare i naufraghi. Al timone delle scialuppe ha salvato centinaia di persone di ogni nazionalità, facendo la spola tra la nave e il porto (LO SPECIALE - LE VITTIME - IL FOTORACCONTO - IL RUOLO DEI SUB).
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"Abbandonavano lì le scialuppe e se ne andavano. Io e altri come me abbiamo preso questa scialuppa e abbiamo iniziato a fare la spola con la nave".
Sono passati dieci anni da quando la Costa Concordia si è scontrata con uno scoglio dell'isola del Giglio. Questo racconto è tratto da un podcast che s'intitola "Il mondo addosso", e racconta le storie intime e private che ho raccolto in una settimana trascorsa sull'isola. Sono le storie dei gigliesi, e di come poche centinaia di persone abbiano prima soccorso 4mila naufraghi, e poi ospitato le migliaia di persone che per due anni e mezzo hanno vissuto sull'isola, per salvare l'isola dal relitto della nave. Ma soprattutto questa è la storia di cosa ci insegna quell'evento, che ha cambiato le loro vite (IL SALVAGE MASTER - IL DISPERSO TROVATO DOPO TRE ANNI - IL RICORDO DEI GIGLIESI).
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"Queste sono le cose che erano qui per terra. C'è una cima, un pezzo della roccia che c'era dentro, di quella che ha preso... un pezzo dello scoglio di granito del Giglio. Quello che si usa per fare tutte quelle cose... quell'altare lì, sono tutte robe fatte con il granito del Giglio. Questo era un casco che era lì, l'ho trovato qui. Tutte queste robe sacre erano nella cappellina della nave, erano a bordo. Quindi c'era il tabernacolo... C'era appena stato Natale, eravamo subito dopo Natale. Il 13 gennaio. Quindi c'era Gesù Bambino, il tabernacolo con dentro le ostie, la croce e la Madonna".
Nel 2012 don Lorenzo è parroco al Giglio da pochi mesi, e quando vede la nave in difficoltà, la prima cosa che fa è aprire le porte della chiesa. All'interno le persone si raggruppano per nazionalità, alcune persone che sono medici soccorrono altre persone sdraiandole sull'altare, altre ancora prendono i paramenti sacri per coprirsi o usarli come giaciglio. Le famiglie con i bambini vengono invece mandate in un posto più caldo, più accogliente (GLI INTERNI PRIMA E DOPO LA TRAGEDIA - LA RIMOZIONE DEL RELITTO - CHE FINE HA FATTO LA NAVE - IL COMANDANTE SCHETTINO).
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Costa Concordia, l'interno della nave dopo il rigalleggiamento. VIDEO
"Poi hanno cominciato a organizzarsi i gigliesi e a distribuire le persone. Quindi sono venuti da me, e hanno detto che le famiglie giovani con i bambini le hanno mandate dalle suore".
"Allora, noi siamo stati chiamati che eravamo a letto. Ci chiamarono per dirci 'Alzatevi e aprite le porte ché la nave sta affondando'. Qui abbiamo ospitato 250 persone, la maggior parte genitori con bambini. Hanno occupato i nostri letti, le nostre stanze. Noi siamo scesi e loro, dove trovavano un posto, lì mettemmo le reti, mettemmo materassi. Insomma... alla meglio".
Quella notte passa in un lampo e la mattina dopo i naufraghi sono ormai tutti trasportati sulla costa, dove li accolgono, li smistano e li fanno tornare a casa. L'isola, all'alba del 14 gennaio, si risveglia sola e con quel mostro adagiato a poche centinaia di metri dal porticciolo. Tutti si domandano "Ora, che cosa succederà?". Quello che succede è che, dopo la prima invasione dei naufraghi, il Giglio riceverà una nuova e prolungata invasione, quella dei giornalisti, quella delle forze dell'ordine e poi quella degli operai che lavoreranno al relitto. E tutti hanno bisogno di essere accolti, e sfamati.
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La campana trafugata della Costa Concordia. VIDEO
Argentino è uno dei marinai più anziani dell'isola, e dopo aver navigato i mari del mondo, ha deciso di tornare a guardarlo dalla sua isola. Anche se non immaginava che, in una notte di gennaio, quel mondo gli sarebbe arrivato addosso. Argentino, da uomo abituato alla solitudine del mare, è anche uomo in grado di leggere a fondo l'essere umano.
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"Siamo un po' strani anche perché, dal modo in cui vivemmo, il padre per esempio viveva poco a casa... partivano. La gente faceva un anno via da casa, 8 mesi, 14 mesi... Io un imbarco l'ho fatto di 18 mesi. E la gente che tirava roba giù dalle finestre... lenzuola, coperte, maglie, maglioni... perché la gente era infreddolita. Ho pianto in quel momento".
Sono molti i gigliesi che mi hanno raccontato la loro esperienza di quella notte e di questi anni. Potrei raccontarvi la storia di Caterina, che in casa sua ha ospitato quasi 50 persone. O quella di Mario, l'eroe dell'isola, la persona che è salita a bordo della nave che affondava. C'è la storia di Silvano, il proprietario dell'unico bar aperto al Giglio, da cui sono passati tutti i passeggeri, per un thè caldo o una brioche. O quella di Roberto, il capo della polizia municipale, che ha incrociato Schettino su uno scoglio, e ha gestito l'emergenza al posto suo. C'è il sindaco dell'isola, che ha tenuto dritta la barra del timone, anche quando l'isola diventava tristemente l'isola più famosa del mondo. Oppure potrei raccontarvi la storia di Luca ed Eleonora, che grazie alla Concordia si sono conosciuti, si sono sposati, e oggi hanno un figlio.
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Ma in fondo questa non è una storia di singole persone, questa è la storia di una comunità. Perché se ogni gigliese mi ha raccontato la sua storia, in fondo questa è la storia collettiva di un'isola che oggi è presa come caso di studio dalle Protezioni civili di tutto il mondo. Un'isola che ha saputo reagire a un imprevisto in una maniera straordinaria. Il Giglio, se ci pensate, in fondo è un piccolo laboratorio in cui poter studiare come reagiamo. Come reagisce l'essere umano quando l'imprevisto entra nelle nostre vite. Che abbia la forma di un lutto o di un amore, di una malattia o di una nascita, di una nave da crociera o di una pandemia. Che cosa facciamo quando l'imponderabile piomba nella nostra vita? Ecco... loro una risposta ce l'hanno. E forse, a dieci anni di distanza, dovremmo fare un po' più di silenzio intorno... tendere l'orecchio in quella direzione per ascoltarla... e magari per metterla in pratica. La risposta è: dobbiamo unirci e non dividerci, dobbiamo agire insieme e non separati. In due parole: fare comunità.