Salvini-Di Maio, i difficili rapporti tra i ministri del governo Conte: la cronologia

Politica

Ambra Orengo

Liti, tensioni, frecciatine: i due vicepremier non si sono risparmiati alcun tipo di scontro nel corso dei 14 mesi di governo insieme. Dai termovalorizzatori alla Tav, dalla “manina” nel decreto fiscale al caso Siri: ecco i principali temi su cui i due si sono divisi

Sono passati 14 mesi da quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno deciso di provare ad andare d’accordo per costituire insieme il “governo del cambiamento”. Fin da subito, però, è apparso chiaro che non sarebbe stato semplice unire le due anime – quella leghista e quella pentastellata – del governo gialloverde. Nonostante i periodi di tregua e i numerosi compromessi raggiunti – vedi il caso Diciotti e le diverse leggi bandiera approvate – i litigi, le battute al vetriolo e le incomprensioni tra i due vicepremier si sono moltiplicate nel tempo, fino ad arrivare alla crisi. Spesso, sono stati coinvolti negli screzi anche gli altri esponenti dei due partiti di maggioranza, con il premier Giuseppe Conte e il suo ruolo da mediatore in testa. Ma è nelle parole dei due leader che si legge la deriva assunta da questo rapporto che ormai sembra giunto alla fine.

La "manina"

Forse il primo vero scontro tra i due vicepremier arriva con l’episodio della “manina”. Il 17 ottobre 2018 il governo sta discutendo il decreto fiscale e si presenta lo scoglio della depenalizzazione dei reati di auto-riciclaggio: Di Maio ottiene da Salvini un compromesso per farla sparire. Nella versione definitiva del testo, però, la depenalizzazione ricompare. Di Maio accusa proprio il suo alleato di averci messo la “manina” per modificare il decreto. Ma Salvini non ci sta e risponde: "La pazienza ha un limite. O non hanno capito, o non hanno letto, o hanno cambiato idea. Se qualcosa non andava bene, non c’era bisogno di un tale cancan: si alzava il telefono e si cambiava tutto. Però adesso per scemo non passo. Inizio ad arrabbiarmi”. Di Maio, dal canto suo, dice di non voler “passare per bugiardo”: “Quella roba dello scudo penale per l’auto-riciclaggio non serve, e siccome non serve sistemeremo la norma”.

I termovalorizzatori

Non passa nemmeno un mese e tra i due si riaccende lo scontro. Questa volta oggetto del contendere sono i termovalorizzatori. “Occorre il coraggio di dire che serve un termovalorizzatore per ogni provincia perché se produci rifiuti li devi smaltire", dice il ministro dell’Interno da Napoli il 15 novembre 2018. Parole a cui, a stretto giro, risponde il collega pentastellato. “Quando si viene in Campania e si parla di terra dei fuochi si dovrebbero tener presenti la storia e le difficoltà di questo popolo. La terra dei fuochi è un disastro legato ai rifiuti industriali (provenienti da tutta Italia), non a quelli domestici. Quindi gli inceneritori non c'entrano una beneamata ceppa e tra l'altro non sono nel contratto di governo", scrive Di Maio su Facebook. Insomma, sul tema i due alleati si schierano su posizioni opposte. E non sarà l’unico.

L’ecotassa

Nel dicembre 2018, l'ecotassa crea tensioni tra Lega e M5S già quando viene annunciata. Il 6 dicembre, il vicepremier Salvini spiega infatti di essere contrario "a ogni ipotesi di nuove tasse sull'auto, che è già uno dei beni più tassati", chiarendo che è necessario "tutelare l'ambiente ma senza imporre nuove tasse". Il collega Di Maio assicura che le auto delle famiglie non saranno tassate, ma non cede: “L’ecotassa si farà”.

Il caso Sea Watch

Si arriva così all’inizio del 2019, dopo i primi mesi di governo in cui i due leader di partito battibeccano e si scontrano poi fanno pace e trovano compromessi. Per il momento non c’è aria di vera crisi in casa gialloverde e l’esecutivo va avanti. Ma le tensioni non scompaiono. Sul tema dell’immigrazione, cavallo di battaglia del leader leghista, i 5 stelle cercano per lo più di lasciare campo libero all’alleato. Anzi, gli danno anche man forte, quando serve (come nel caso Diciotti e del mancato processo contro Salvini). Eppure in alcune occasioni non possono tacere. Come nel caso della nave Sea Watch che nel gennaio 2019 rimane oltre 2 settimane a largo delle coste europee senza il permesso di sbarcare. Mentre per il ministro dell’Interno il divieto di attraccare è assoluto e senza eccezioni, Di Maio – insieme al premier Conte – assicura che l’Italia è pronta “ad accogliere donne e bambini”. Un’apertura che però non fa cambiare idea al collega leghista che ribadisce: “I porti restano chiusi”. Più tardi, il 15 aprile 2019, su questo arriverà la stoccata di Di Maio: “Quella dei porti chiusi è una misura solo occasionale".

Le trivelle

Passano pochi giorni e, il 10 gennaio 2019, lo scontro tra Salvini e Di Maio si sposta su un altro tema, quello delle trivellazioni in mare. Mentre il vicepremier Di Maio vorrebbe fermare le concessioni rilasciate nello Ionio, Salvini replica: “Non possiamo far finta che il mondo si sia fermato". Lo stop alle trivelle deve essere inserito nel dl Semplificazioni e Di Maio si dice fermamente di convinto di farlo. Ma, ancora una volta, Salvini lo frena: "Trivellare vicino alla costa no, ma dire di no a ricerche in mezzo al mare per partito preso rimettendo in discussione contratti già fatti non mi sembra molto intelligente”.

La flat tax

Non sempre tra i due alleati lo scontro è diretto. A volte le tensioni sono più sottili e si giocano sul filo delle concessioni. Come nel caso della flat tax, ad esempio. Il cavallo di battaglia fiscale della Lega non ha ricevuto “no” assoluti dall’alleato grillino. Eppure il vicepremier Di Maio si è espresso più volte in maniera dubbiosa sulla misura e le sue coperture. A cominciare dal 7 aprile 2019 quando  il leader della Lega ribadisce che la misura "è una nostra priorità ed è nel programma di Governo". Poi avverte gli alleati: "Abbiamo votato il reddito di cittadinanza, che non è nel dna della Lega, ora pretendiamo rispetto". Dall’altra parte, il leader M5s Luigi Di Maio non dice no alla flat tax che “si deve fare” ma, sottolinea “non deve aiutare i ricchi”. Non uno scontro, insomma, ma un avvertimento per ribadire ancora una volta le distanze tra i due.

Congresso di Verona

Un tema su cui il capo politico dei 5S si è espresso più duramente contro l’alleato leghista è quello del Congresso di Verona e delle relative posizioni sul tema della donna e della famiglia. Di Maio, infatti, il 30 marzo 2019 dice che a Verona ci sono “i fanatici con l'odio verso il prossimo e la discriminazione”. Parole che Salvini non accoglie bene: "Se parlare di mamme e papà vuol dire essere sfigati, io sono orgoglioso di esserlo. Odio? Sì fuori c’è odio. Di Maio sbaglia piazza".

Le elezioni europee

È quindi aprile e si affacciano alla politica di tutti i Paesi Ue le elezioni per l’europarlamento del mese successivo. Di Maio, già critico nei confronti dei leghisti per le posizioni espresse a Verona, il 5 aprile rincara la dose: "Mi preoccupa questa deriva di ultradestra a livello europeo con forze politiche che faranno parte del gruppo con cui si alleerà la Lega, che addirittura, in alcuni casi, negano l'Olocausto", attacca. "Io lavoro, io rispondo col lavoro, con i fatti. Questa gente che cerca fascisti, comunisti, nazisti, marziani, venusiani... i ministri sono pagati per lavorare", è la replica di Salvini, che aggiunge: “Se invece di polemizzare si lavorasse di più, si sbloccassero cantieri fermi, l'Italia sarebbe un Paese migliore”. Parole che, secondo Di Maio, denotano il “nervosismo” dei leghisti e che anticipano settimane in cui, in campagna elettorale, le frecciatine tra i due alleati si moltiplicano. Sullo sfondo, anche i temi del decreto sicurezza bis e del conflitto di interessi dividono Salvini e Di Maio.

Il caso Siri

Aprile è anche il mese dello scontro sul sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione. Il 18 aprile 2019 Di Maio fa da portavoce a tutto il Movimento chiedendo le dimissioni di Siri: "Un sottosegretario indagato per fatti legati alla mafia è un fatto grave”. Ma Salvini e i suoi fanno quadrato intorno al loro esponente: "Siri non si deve dimettere. C’è solo un'iscrizione nel registro degli indagati e solo se sarà poi condannato dovrà mettersi da parte”, dice Salvini. "Non ho mai chiesto - aggiunge - di far dimettere la Raggi o parlamentari dei Cinquestelle quando anch'essi sono stati indagati”. Con questa vicenda tornano a soffiare venti di crisi, con Di Maio che dice che “la Lega minaccia di far cadere il governo” e Salvini che replica: “Macchè. È solo nella sua testa”. "Sulla questione morale il M5S non fa passi indietro e alla Lega chiediamo di tirare fuori le palle su Siri e farlo dimettere", continua il Movimento. E Salvini torna a usare l’arma della minaccia: "Gli amici dell'M5s pesino le parole. Se dall'opposizione insulti e critiche sono ovvie, da chi dovrebbe essere alleato no. A chi mi attacca dico tappatevi la bocca, lavorate e smettete di minacciare il prossimo. È l'ultimo avviso".

Il 25 aprile

Aprile non è dunque un mese facile per l’esecutivo gialloverde e la tensione continua il 25, giorno della Liberazione. A iniziare la querelle è il leader del M5s che in un post su Facebook scrive: "Leggo che qualcuno oggi arriva persino a negare il 25 aprile, il giorno della Liberazione. Lo trovo grave. Non è alzando le spalle e sbuffando che questo Paese cresce. E poi è curioso che coloro che oggi negano il 25 aprile siano gli stessi che però hanno aderito al congresso di Verona, passeggiando mano per la mano con gli antiabortisti". Immediata la replica del ministro Salvini: "Io sarò a Corleone con chi combatte contro la mafia. Le polemiche le lascio ad altri".

Le europee e i provvedimenti al vaglio del governo

A maggio la situazione non migliora. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee si fa sempre più incerta la stabilità del governo post voto. “Non occorre essere uno scienziato per capire che la Lega molto probabilmente sarà il primo partito in Italia, ma userò questo consenso per cambiare l'Europa, non chiederò mezzo sottosegretario in più”, assicura Salvini il 22 maggio in risposta alle preoccupazioni di Di Maio. Ma il capo pentastellato non è convinto: "La Lega chiede un voto per l'Europa o per la crisi di governo? Io credo che parte della Lega abbia nostalgia dei governi con Berlusconi". Intanto, i vari decreti al vaglio del governo non fanno dormire sonni tranquilli ai due vicepremier. Ci sono il dl sicurezza bis e quello sulla famiglia che non mettono d’accordo gli schieramenti. E poi, il 23 maggio, Salvini aggiunge un nuovo argomento allo scontro: "Toglierei l'abuso d'ufficio: non posso bloccare 8000 sindaci per la paura che uno possa essere indagato. Ci sono sindaci che non firmano niente per paura di essere indagati”. Una proposta che il vicepremier Di Maio rispedisce al mittente. "Qualcuno vuole abolire il reato di abuso d'ufficio ma io non voglio tornare indietro ai podestà che facevano quello che volevano. Chi vuole farlo troverà in noi un muro".

Il caso dei fondi russi

Nella seconda estate al governo insieme i due vicepremier devono affrontare anche una questione che riguarda il partito di Matteo Salvini. La vicenda sui presunti fondi russi alla Lega scatena polemiche e preoccupazioni, tanto che Di Maio il 16 luglio 2019 va all’attacco e chiede – dopo Conte - all’alleato di governo di riferire in Parlamento. Salvini assicura che ci andrà ma poi si nega. Da qui alla crisi il passo sembra breve. Il leader leghista dice di voler lasciare a Di Maio “i suoi sfoghi” e di aver “preso atto della svolta storica dei 5s che hanno votato assieme a Merkel, Macron, Berlusconi e Renzi” (nell’elezione del Presidente della nuova Commissione Europea). Di Maio, dall’altra parte, attacca in diretta Facebook: "Se la Lega vuole far cadere il governo lo dica chiaramente e se ne prenda la responsabilità”. E Salvini continua a “minacciare” i colleghi di governo: “Su autonomia, riforma della giustizia e manovra devono arrivare tre sì. Altrimenti cambia tutto”.

La Tav

La questione su cui forse le due forze di governo hanno discusso più a lungo è quella della Tav, l’alta velocità Torino-Lione. Nei primi mesi dell’esecutivo le acque sono abbastanza calme perché entrambi gli schieramenti si mantengono sulla linea del contratto di governo e cioè quella di una “ridiscussione” dell’opera. Ma a mano a mano che si avvicina il momento della decisione, si moltiplicano le occasioni in cui Salvini e Di Maio si fronteggiano a distanza, portando avanti istanze del tutto opposte. Ad esempio, il 2 febbraio 2019, Di Maio, in una diretta Facebook assicura che "finché ci saranno i 5 Stelle al governo, la Torino-Lione non si farà". Dall'altra parte, il ministro dell'Interno Salvini rimane fermo sulla sua posizione: "Troveremo un'intesa, l'opera si farà, con una scelta senza pregiudizi". Parole ripetute da entrambi i vicepremier anche l’indomani. La tensione non accenna a placarsi e anzi, il 7 marzo 2019, Di Maio assicura ai parlamentari M5s di "non essere disposto a mettere in discussione il No" e sottolinea che i bandi per la Tav "vanno sospesi". Ma Salvini non ci sta e inizia a ventilare aria di crisi: “Se i No diventano troppi, il governo non va avanti. È la crisi? Se c'è il No alla Tav, vado fino in fondo”. Una minaccia che il vicepremier leghista ripeterà spesso nei mesi successivi, fino alla decisione definitiva in Senato, il 7 agosto 2019: la mozione anti-Tav del M5S viene bocciata, passano invece quelle favorevoli. È la goccia che fa traboccare un vaso già colmo e porta all’annuncio di crisi.

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