Chi è l'uomo che ha siglato l'accordo con l'Europa continuando a sfidarla, e che sogna per il proprio Paese un ritorno "imperiale" sulla scena internazionale
Si è preso il partito con una promessa: "Get Brexit done", uno slogan semplice e di sicura presa su chi delle trattative con l'Unione europea non voleva più sentirne parlare dopo anni di tira e molla. Ha portato i conservatori a una clamorosa e inequivocabile vittoria nelle elezioni anticipate del dicembre 2019. Un anno dopo, alla vigilia di Natale, ha firmato l'accordo sulla Brexit. I detrattori si dividono tra quelli che affermano che non sapeva che cosa stesse sottoscrivendo e quelli che sono convinti che lo sapesse benissimo, e calcolasse di rinegoziare il protocollo nordirlandese dopo un breve periodo necessario a dimostrare ai "pedanti" e "rigidi" europei (specie i francesi) che l'accordo così non poteva reggere senza mettere a rischio la pace sociale in Irlanda del Nord. E quindi sì, a soli 10 mesi dall'intesa, la "Global Britain" di Alexander Boris de Pfeffel Johnson, nato a New York nel giugno del '64, si ritrova a parlare di Brexit.
Una vita vissuta "pericolosamente"
Da quando è diventato primo ministro ha anche affrontato rivoluzioni sul piano personale. Conosciuto per la sua rocambolesca vita privata, a inizio 2020 ha firmato il divorzio dalla seconda moglie Marina Wheeler, madre di 4 dei suoi 6 figli, ha portato a Downing Street la sua giovane compagna, Carrie Symonds, diventata poi madre di suo figlio Wilfred, ha vissuto il dramma di un aborto della fidanzata - che ha poi sposato durante l'estate in gran segreto - e ora è in attesa del suo settimo erede.
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Ha anche visto la morte in faccia, quando, dopo essersi fatto vedere che stringeva mani a pandemia in corso e raccontava ai britannici il Covid-19 come un fatto ineluttabile, è stato a sua volta ricoverato all'ospedale St. Thomas di Londra dopo aver contratto la malattia. Lo scrittore e giornalista Tom Bower, autore della biografia "The Gambler" dedicata al primo ministro, racconta nel libro i momenti drammatici in cui la Wheeler e i figli furono chiamati in ospedale. Johnson superò la malattia, tornò in sella, rifece errori che portarono a una seconda, ancora più importante, ondata di contagi e di morti (con punte di 1800 decessi in un giorno), prima di far partire una campagna vaccinale che è stata additata ad esempio da molti nel mondo. Ora sta facendo i conti con una risalita dei contagi frutto della scelta di abolire, nel cuore dell'estate, ogni forma di restrizione.
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Da giornalista a primo ministro
Prima di farsi strada all'interno nel partito conservatore, Johnson è stato giornalista e corrispondente da quella Bruxelles che ha cominciato presto a ricoprire di critiche e attacchi. Come sindaco di Londra si è distinto per una certa sensibilità verso i temi ambientali, rendendo più pulito il parterre dei mezzi di trasporto pubblico locale e rendendo disponibili in gran numero le biciclette pubbliche (conosciute anche come Boris Bikes), ma ha anche sbloccato il via libera per la costruzione di enormi blocchi residenziali. Sotto il suo mandato la città ha anche conosciuto un abbassamento del livello di criminalità. Ma Johnson è e resta un personaggio controverso: accusato di elitismo (ha studiato a Eton e Oxford ed è un classicista), è famoso per le sue ripetute gaffe dal sapore razzista. E soprattutto è considerato, dai suoi critici, un "buffone", un "disonesto" e un "bugiardo", come ci spiegò bene, un anno fa, anche la sua prima suocera, Gaia Servadio. Ma si sa: non sempre i rapporti con la suocera sono dei migliori.
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L'inverno del discontento
Archiviata la parentesi Cop26 prevista a partire dal 31 ottobre, dovrà concentrare tutti i suoi sforzi su quello che si preannuncia come un nuovo "inverno del discontento", caratterizzato dalla mancanza di personale in settori chiave dell'economia, problemi alla catena di approvvigionamento, rincaro dei prezzi al consumo. Ma per Johnson lo slogan resta uno solo: Build Back Better, ricostruire meglio. Dopo Brexit, naturalmente. Grande è anche lo sforzo di riposizionamento sullo scacchiere internazionale, con grande attenzione all'Oriente, anche come alleato chiave degli Stati Uniti (vedi l'accordo Aukus). Londra punta poi a diventare una sorta di Singapore alle porte dell'Europa. Difficile che Bruxelles resti a guardare.