L'attacco del 7 ottobre 2023 lanciato da Hamas contro Israele ha riacceso i riflettori su una contrapposizione che va avanti da decenni e su cui non si riesce a trovare una soluzione. Anche se, negli anni, qualche tentativo è stato fatto
Con la situazione sul campo in costante evoluzione, abbiamo deciso di raccogliere qui alcune informazioni che permettano di farsi un'idea del contesto più ampio attraverso mappe, schede e approfondimenti.
L'attacco da parte delle milizie di Hamas contro Israele iniziato il 7 ottobre 2023 ha riportato l’attenzione sull'ostilità tra Israele e Palestina. Tensioni radicate nel tempo hanno generato episodi di violenza e portato nei decenni scorsi a una serie di guerre che hanno coinvolto anche altri Paesi. I motivi di questo contrasto sono molto complessi, si intrecciano a questioni religiose e, con gli anni, hanno finito per mescolarsi anche ad altri interessi. Alla base c’è però una disputa territoriale, scoppiata con la creazione dello Stato di Israele e ulteriormente complicatasi con la cosiddetta "guerra dei sei giorni". Da ricordare però che Hamas non è sinonimo di Palestina: si tratta di un'organizzazione religiosa islamica palestinese, di stampo paramilitare e politico, considerata un gruppo terroristico non solo da Israele ma anche dal fronte delle potenze occidentali. Quindi: se è vero che Hamas ha radici palestinesi, non si può dire che tutti i Palestinesi si riconoscano nei metodi della lotta armata di Hamas (IL RAGAZZO MANDATO A UCCIDERE: NUOVO PODCAST DI PAOLO TRINCIA).
Le origini del conflitto
Quando si parla del conflitto israelo-palestinese, si prende spesso come ‘punto di partenza’ la cosiddetta dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917. Quel giorno, con un testo di appena 67 parole, il governo inglese, per bocca del ministro degli Esteri Arthur Balfour, informò Lord Walter Rothschild, uno dei principali leader della comunità ebraica nel Paese, che vedeva “con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico” e si sarebbe adoperato “per facilitare il raggiungimento di questo scopo”. La lettera, che nascondeva anche interessi strategici, fu scritta in un periodo in cui alcuni sostenevano che gli ebrei dovessero tornare ad abitare in Terra Santa. Al tempo stesso, precisava che non andava fatto nulla che pregiudicasse “i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”. Negli anni successivi, diversi ebrei si spostarono in questa zona, ma questa ipotesi rimase in stand by fino a che, dopo la Seconda guerra mondiale, l’Assemblea generale dell’Onu approvò un piano di partizione della Palestina. Nacque così lo Stato di Israele, che fu proclamato il 14 maggio 1948.
Le guerre
La costituzione di Israele fu subito messa in discussione e diversi Paesi arabi decisero di attaccare per contrastare il nuovo Stato. Nonostante Israele fosse stato creato da poco, si preparava da tempo a un conflitto e riuscì a vincerlo l’anno dopo, conquistando un territorio più ampio di quello che il piano dell’Onu gli aveva assegnato. I palestinesi commemorano ogni anno questa sconfitta nel giorno della ‘Nakba’ (catastrofe), che cade il 15 maggio. Nel 1956 Israele oltrepassò poi il confine egiziano con il sostegno di Francia e Regno Unito, facendo esplodere la cosiddetta crisi di Suez. Nel 1967 scoppiò la Guerra dei sei giorni, un conflitto nato per ragioni simili a quelle che avevano contribuito alle tensioni del 1949 e portò Israele a conquistare altri territori, compresa la Cisgiordania. Contrariamente a quanto era successo in precedenza, la comunità internazionale non riconobbe le conquiste territoriali: Israele continuò però a controllarle, motivo per cui da allora si parla di 'territori occupati'. Le ostilità mai sopite fecero scoppiare un nuovo conflitto nel 1973, noto come la guerra dello Yom Kippur, che vide prevalere Israele ancora una volta. In ognuno di questi conflitti, il neo Stato si era confrontato anche con l’Egitto. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, i rapporti tra i due Paesi iniziarono però a normalizzarsi, grazie agli accordi di Camp David. L'Egitto divenne così il primo Paese arabo a riconoscere Israele, ma il trattato di pace non fu ben visto da tutti. Il presidente Sadat, che aveva iniziato la guerra del '73 per riconquistare la penisola del Sinai e "ristabilire i diritti del popolo palestinese", fu bollato come un traditore e ucciso da alcuni integralisti islamici. Il suo Paese venne poi espulso dalla Lega araba.
La prima Intifada
Né il caso dell'Egitto né gli insuccessi militari degli altri Paesi misero a tacere le rivendicazioni palestinesi che, negli anni successivi, vennero portate avanti anche da nuove realtà, come appunto Hamas, e assunsero anche la forma della lotta armata. La tensione tornò ad alzarsi a livelli preoccupanti il 9 dicembre del 1987, quando il malcontento fece esplodere la prima “intifada delle pietre” e i manifestanti iniziarono a lanciare sassi e molotov contro le forze dell’ordine israeliane. Ufficialmente, il casus belli fu un incidente in cui un autotreno delle forze militari israeliane colpì due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabaliyya, un campo profughi di 60mila persone, uccidendo quattro palestinesi. Dietro la sommossa, si nascondeva però un crescente malcontento dovuto anche all’occupazione da parte di Israele dei territori conquistati con la guerra del 1967.
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Israele-Palestina, da Oslo a Trump: i piani di pace falliti negli anni
Gli Accordi di Oslo
La situazione tra Israele e Palestina non si è mai risolta. Ci sono però stati momenti in cui un accordo - se non di pace, almeno di convivenza - è sembrato più vicino. Ad esempio: il 13 settembre del 1993 Ytzhak Rabin, primo ministro israeliano, e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), firmarono nel cortile della Casa Bianca gli accordi di Oslo. La data fu storica perché, per la prima volta, Israele riconobbe all’Olp il diritto di governare su alcuni dei territori che aveva occupato e quest’ultima riconobbe a sua volta il diritto di Israele a esistere e promise di rinunciare all’uso della violenza per creare uno Stato palestinese. Nel 1995, i due leader firmarono un’altra serie di accordi, noti come Oslo II, ma il processo di pace si interruppe. Nello stesso anno, Rabin venne infatti ucciso da un fanatico religioso, l'Olp venne accusata di essere complice della lotta armata e l’anno dopo, in Israele, divenne premier un politico che aveva più volte definito quei compromessi un errore: si trattava di Benjamin Netanyahu.
Gli anni Duemila
Nel 2000 la tensione tornò ad alzarsi. A luglio fallì un nuovo round di negoziati a Camp David e circa tre mesi dopo il leader israeliano Ariel Sharon si recò alla spianata delle Moschee, luogo storicamente rivendicato dagli arabi e considerato sacro. La sua presenza fu interpretata come una provocazione e il 28 settembre ci fu una nuova protesta che diede il via alla seconda intifada, con nuove azioni di guerriglia e attentati terroristici. Nel 2014 esplose un vero e proprio conflitto, che causò tra l’altro 100mila sfollati, mentre di una nuova intifada si tornò a parlare nel 2015 a causa di un’altra serie di scontri, che si intensificarono a causa del fallimento di nuovi colloqui di pace e causarono altre vittime. Si temette una nuova escalation anche nel 2017 quando l’allora presidente americano Donald Trump annunciò l’intenzione di voler spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, riconoscendola di fatto come capitale di Israele. Il rischio tornò poi ad alzarsi nel giugno del 2020, quando il premier Benjamin Netanyahu annunciò un piano per annettere le colonie israeliane in Cisgiordania che andava nella direzione contraria a quella intrapresa con gli accordi di Oslo e ostacolava la “soluzione dei due Stati”. Come in passato, ci furono nuove tensioni intervallate da momenti di pace. Nel 2021 si tornò invece a combattere. Questa volta, la scintilla fu il rischio che alcune famiglie palestinesi fossero sfrattate da Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est. La guerra che ne seguì durò 11 giorni, ma provocò più di 200 morti.
Gli Accordi di Abramo
Senza mai riuscire a risolvere la questione palestinese, nel 2020 si era tentato di normalizzare quantomeno i rapporti tra Israele e i Paesi arabi. Più nel dettaglio, nel settembre di quell'anno Israele, Emirati Arabi e Bahrein hanno firmato i cosiddetti Accordi di Abramo sotto l'egida degli Stati Uniti. Secondo l'allora presidente Donald Trump, quell'accordo segnava "l'alba di un nuovo Medio Oriente" anche perché, per la prima volta, due Paesi del golfo riconoscevano Israele.
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Cosa è successo nel 2022
La tensione tra Israele e Palesina è tornata altissima nei primi mesi del 2022 perché, a partire da metà marzo, ci sono stati alcuni attacchi terroristici molto ravvicinati ai danni di Israele e le forze israeliane hanno tra l'altro ucciso tre palestinesi in Cisgiordania sostenendo che fossero armati. Naftali Bennet, ai tempi premier israeliano, invitò gli israeliani a portare in giro con sé armi per difendersi. Violenti scontri con la polizia israeliana sono poi scoppiati anche sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, con centinaia di feriti. Le tensioni hanno portato anche a un nuovo scambio di accuse tra le parti e al bombardamento di un sito nella Striscia di Gaza, avvenuto in risposta al lancio di un missile da parte di Hamas.
La crisi del 2023
Il 7 ottobre 2023 dalla Striscia di Gaza parte un massiccio lancio di migliaia di razzi verso Israele che raggiungono anche Tel Aviv e Gerusalemme. Dietro all’attacco c’è Hamas: viene lanciata l’Operazione al-Aqsa, per “mettere fine ai crimini” di Israele. Miliziani del gruppo sfondano le barriere fisiche che separano la Striscia dal territorio di Israele, entrano nei kibbutz e a un festival musicale e sparano ai presenti. Alcuni israeliani vengono rapiti e portati a Gaza. Le vittime degli attacchi sono stimate in circa 1.400. Dopo l'attacco, il governo israeliano risponde con un’operazione militare che chiama “Spade di ferro”. Decine di migliaia di riservisti vengono richiamati nell’esercito e Netanyahu – rieletto primo ministro nel dicembre 2022 – annuncia ai cittadini: “Siamo in guerra e vinceremo”. In molti hanno sottolineato come la debolezza del governo di Netanyahu e le falle nell’intelligence israeliana abbiano aiutato la controparte a sferrare un attacco di cui non si immaginava l’entità. Si sospetta che Hamas sia stato supportato da altri Stati, come ad esempio l’Iran (che però ha smentito in via ufficiale il suo coinvolgimento, pur dicendo di appoggiare “orgogliosamente e incrollabilmente la Palestina”). Il conflitto è scoppiato in un momento in cui si è entrati nel vivo nei negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, sempre sotto l’egida degli Stati Uniti e sempre nel contesto degli Accordi di Abramo del 2020. Dopo gli attacchi di Hamas, la risposta di Israele si è concentrata su Gaza, con bombardamenti e, solo successivamente, con un'offensiva anche di terra che ha portato a grandi evacuazioni nella Striscia (PERCHÉ SI RISCHIA LA CATASTROFE UMANITARIA). A fine novembre c'è stata una tregua e diversi Paesi hanno provato, e ancora stanno provando, a mediare tra le due parti. Netanyahu intanto incalza: "Andremo avanti fino alla vittoria".