Introduzione
L’accordo per una tregua tra Israele e Hamas sembra sempre più vicino: l’annuncio ufficiale, riportano vari media internazionali, dovrebbe arrivare nelle prossime ore, salvo colpi di scena dell’ultimo minuto (GLI AGGIORNAMENTI LIVE). Intanto, non si fermano i raid israeliani a Gaza.
Già il fatto che sembri esserci in linea di principio una comunione d’intenti tra lo Stato ebraico e Hamas sarebbe un successo, data l’estrema fragilità della situazione non solo dal 7 ottobre 2023 – quando è iniziata la guerra ancora in corso nella Striscia di Gaza – ma da decenni.
Proprio questo quadro impone però prudenza nel guardare all’accordo come a una risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Le variabili che possono intervenire in corso d’opera sono molte e le ambizioni di Israele e di Hamas restano comunque contrastanti tra loro
Quello che devi sapere
Gaza, la tregua in tre fasi: ostaggi e prigionieri
- L’accordo prevede tre fasi. Durante la prima, di 42 giorni, ci sarebbe un graduale rilascio dei primi 33 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas e l’inizio della ritirata di Israele dalle aeree popolate della Striscia di Gaza. Secondo quanto riporta Channel 12, citando alcune fonti, si inizierebbe domenica prossima (19 gennaio), con la liberazione di tre ostaggi. Israele avrebbe accettato di liberare in tutto almeno mille detenuti palestinesi condannati per terrorismo durante questa fase.
- Al sedicesimo giorno dell'accordo dovrebbero poi partire i colloqui per la definizione delle fasi successive: nella seconda dovrebbero essere rilasciati tutti i rimanenti ostaggi maschi e le forze israeliane dovrebbero ritirarsi quasi completamente dalla Striscia. Una terza fase vedrebbe la restituzione dei corpi degli ostaggi uccisi mentre erano detenuti a Gaza e la creazione di un piano di ricostruzione e di una nuova struttura di governo.
Per approfondire: Cos'è Hamas, l'organizzazione che si scontra da oltre 30 anni con Israele
La presenza di Israele nella Striscia di Gaza
- Nello specifico, guardando alla presenza di Israele sul territorio palestinese si prevede che veicoli e altri mezzi di trasporto potranno attraversare un passaggio adiacente alla Salah al-Din Road, monitorato da una macchina a raggi X gestita da un team di sicurezza qatariota-egiziano. L'accordo prevedrebbe che le forze israeliane nella prima fase rimangano nel corridoio Filadelfia, che separa Gaza dal Sinai egiziano a Sud della Striscia, mantenendo una zona cuscinetto di circa 800 metri lungo i confini orientali e settentrionali. Solo successivamente dovrebbero liberare la zona. Le forze israeliane dovrebbero ritirarsi invece fin da subito dal corridoio di Netzarim, che divide la Striscia in due e conduce fino al Mediterraneo. Nel mentre, i residenti nel nord della Striscia potranno tornare alle loro case (dal 22esimo giorno della tregua)
Le fragilità della tregua
- Nel guardare al successo dell’accordo bisogna innanzitutto mettere in conto che è possibile che Israele o Hamas non rispettino anche solamente una parte di quanto stabilito. Se succedesse, è quasi certo che tutti i passi successivi non verrebbero più seguiti.
- Come riporta la CNN, ci sono molti dubbi sull'effettiva riuscita dell'accordo anche tra i piani alti israeliani. Gershon Baskin - veterano nel processo di negoziazione del rilascio di ostaggio - sottolinea come l'accordo sia "essenzialmente lo stesso che è stato proposto sin da maggio: era un cattivo accordo allora e lo è ancora, perché sarà attuato in un arco di tempo troppo lungo, tra due e tre mesi". Non solo. "L'accordo restituirà solo 33 ostaggi nei primi 42 giorni e il resto solo successivamente, senza alcuna certezza", dice Baskin
Il ruolo dell’Anp e la riunificazione Gaza-Cisgiordania
- Guardando più in là, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha parlato del piano per la ricostruzione di Gaza, facendo riferimento alla presenza di un'amministrazione civile ad interim nella Striscia, guidata dall'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen con l'aiuto dell'Onu. Poi si dovrebbe arrivare fino alla nascita di un vero e proprio Stato palestinese "indipendente", che comprenda sia la Striscia di Gaza che la Cisgiordania. Israele, ha aggiunto, ne “dovrà accettare la riunificazione”
Il no di Israele
- Su questo è già arrivato il primo no di Israele. Il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar (in foto con Antonio Tajani, in viaggio a Roma) ha chiuso categoricamente a entrambi i punti principali evocati da Blinken. "Nella situazione attuale, creare uno Stato palestinese vorrebbe dire creare uno Stato con Hamas", ha detto. Poi ha aggiunto che nemmeno la guida dell'Anp potrebbe funzionare. Prima, ha spiegato, "l'Autorità palestinese deve smettere di proteggere i terroristi". Intervistato dal Corriere della Sera, Sa’ar ha precisato che Israele ha “solo” due condizioni. E cioè che “quanti gestiranno la Striscia di Gaza non siano coinvolti in terrorismo e che i suoi incoraggiamenti non incitino contro Israele e gli ebrei"
Il ruolo di Hamas
- E Hamas? È difficile pensare che i suoi uomini spariscano del tutto da Gaza. Un punto difficile dei negoziati, ha detto sempre Sa’ar, riguarda proprio la richiesta di “rilasciare simboli del terrore” – e cioè esponenti di Hamas – che “potrebbe incoraggiare il terrorismo". Ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu su questo è sempre stato chiaro: la guerra finirà quando Hamas non esisterà più in nessuna forma. Difficile prevedere come questo sia possibile
La presenza di Israele in Cisgiordania
- Per ottenere una pace duratura, bisognerebbe poi che Israele abbandonasse per sempre le sue rivendicazioni sulla Cisgiordania, territorio che ancora oggi vede la presenza di coloni e di cui lo Stato ebraico ha sempre ventilato una possibile annessione. Non può esistere pace duratura tra il popolo palestinese e Israele se questi piani rimarranno sul tavolo.
Per approfondire: Hezbollah, cosa sapere sul gruppo antisionista libanese