Scontro Usa-Ue, cosa può fare l'Europa? Dalla Difesa ai rapporti con Londra, gli scenari

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Introduzione

La nuova National Security Strategy del presidente americano Donald Trump non fa che certificare il disimpegno americano dal Vecchio Continente. Washington pare non essere più intenzionata a coprire le vulnerabilità dell'Europa, che, ha riassunto il ministro della Difesa Guido Crosetto, non possiede "risorse naturali particolarmente rilevanti o utili" e sta "perdendo la competizione sull'innovazione e la tecnologia", oltre a "non avere potere militare". Cosa deve fare dunque l'Ue? Quali sono gli scenari che ci aspettano?

Quello che devi sapere

Il Fondo da 150 miliardi

Partiamo dall’aspetto più materiale, quello dei soldi. L’Europa ha già reagito all’America First di Trump con un "grimaldello" chiamato Safe, o Security Action for Europe. Si tratta di uno strumento da 150 miliardi di euro disegnato apposta per incoraggiare investimenti per la difesa e appalti congiunti. Tradotto, maggiore collaborazione tra Stati europei nonché con i partner più prossimi (come Regno Unito e Norvegia, con soluzioni ancora da trovare). 

 

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I nodi sugli investimenti

Restano però alcuni nodi. Anzitutto, cosa faranno le capitali con i loro quattrini, persino se generati dal maggior debito permesso dalle deroghe al Patto di stabilità, resta affar loro. Dunque, nonostante il Safe rappresenti una reazione all’America First, i Paesi dell’Ue, con quei soldi, potrebbero acquistare americano. Non solo: lo stesso governo britannico di Keir Starmer ha risposto picche alla richiesta della Commissione europea di pagare un contributo fino a 6,75 miliardi di euro per aderire al Fondo comune europeo per la difesa. Un rifiuto, quello di Starmer, che minaccia di rallentare il reset con Bruxelles e anche di indebolire la prospettiva di una risposta  "dissuasiva" congiunta alla Russia in tema di riarmo. 

 

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Il fronte (allargato) anti-Putin

Da un punto di vista politico, invece, l'Europa potrebbe puntare forte sul Nordic-Baltic Eight (NB8), il club che include Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia. Il Regno Unito sta rafforzando le relazioni con il gruppo, nel solco della necessità di creare un'ampia alleanza anti-Putin. Cosa che, peraltro, ha riavvicinato la stessa Londra con Roma, Parigi e Berlino. E, come sottolinea il Corriere della Sera, anche realtà come Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda hanno dato segnali di vicinanza all'Europa.

 

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La "posizione di forza" sull'Ucraina

Il Nordic-Baltic Eight, peraltro, si sta già muovendo in funzione anti-Putin. "Stiamo discutendo con l'Ucraina, gli Stati Uniti e tutti i nostri alleati della Nato e partner  dell'Ue su come raggiungere la pace attraverso una posizione di forza. Ci impegniamo pienamente per la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina, alla quale dovrebbero essere date forti garanzie di sicurezza", ha fatto sapere il club degli 8. "L'Ucraina e l'Europa devono essere coinvolte in qualsiasi negoziato per raggiungere una pace giusta e duratura", hanno aggiunto i membri del NB8, ossia Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia.

 

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Le priorità del 2025

Non è un mistero che il Nordic-Baltic Eight, quest'anno, si stia dedicando soprattutto alla minaccia russa. Nel febbraio scorso, a Riga, capitale della Lettonia (presidente di turno del gruppo) si è tenuta una riunione del gruppo presieduta da Iveta Stanislavska, direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Affari esteri lituano, che ha presentato ai suoi colleghi le priorità del NB8. Quali sono? Come affermato da Stanislavska, nel corso di quest'anno la massima attenzione si sarebbe concentrata al rafforzamento della sicurezza comune della regione in risposta alla guerra della Russia contro l'Ucraina e degli strumenti di deterrenza. Non solo: durante l'incontro si era anche discusso di sicurezza energetica e sostegno all'Ucraina.

 

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I rapporti con Africa, Golfo e Asia

A proposito di alleanze politiche allargate, un altro aiuto all'Europa potrebbe giungere dal consolidamento, avvenuto negli ultimi anni, di una grande quantità di rapporti bilaterali. Con quali realtà? Africa, Golfo, Asia, Sud America, Australia. E perché loro? Perché servono "a garantire e rafforzare la sicurezza economica, energetica e di approvvigionamenti strategici", spiega il ministro della Difesa Guido Crosetto, secondo cui "abbiamo contribuito a dare un piccolo impulso positivo a un’Europa che aveva perso il contatto con le traiettorie del mondo pensando di poterlo plasmare a sua immagine e somiglianza". Il futuro, quindi, potrebbe non essere nero. Ma l'Europa deve cambiare, e deve farlo in fretta.

 

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I tre pilasti del futuro

"La pessima notizia", ha aggiunto Crosetto, è che dovremmo pensare a ciò che finora ci avevano fornito, gratuitamente, i nostri alleati statunitensi: la sicurezza, la difesa e la deterrenza. Non parlo solo di quelle militari". E ancora: "È questo scenario quello nel quale devono essere definite le scelte, le decisioni, le strategie delle nazioni più piccole (come noi)", ha aggiunto il ministro. E questo perché "anche noi abbiamo bisogno di risorse. Perché anche noi abbiamo bisogno di tecnologie. Perché anche noi abbiamo bisogno di far crescere la nostra economia e difendere il nostro spazio di ricchezza. Non per esercitare una supremazia su qualcuno, ma per garantirci futuro". 

 

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Il "peccato originale"

Ciò che l'Europa non deve fare è crogiolarsi nell'autocompiacenza. È questo il "peccato originale" dell'Unione, come sentenziato dall'ex presidente della Bce Mario Draghi, che a un anno dalla scossa lanciata dal podio di Palazzo Berlaymont, è tornato a Bruxelles con un altro monito. In 12 mesi, l'Europa ha raccolto solo una manciata delle 383 raccomandazioni contenute nel suo report - dall'energia fino alla difesa - rassegnandosi a guardare da lontano la corsa di Usa e Cina e alimentando la "crescente frustrazione" dei cittadini.

 

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Cosa non va secondo Draghi

Condensata in poche frasi di un discorso durato oltre mezz’ora, la diagnosi di Draghi è sostenuta da alcuni numeri: un debito pubblico destinato a salire di dieci punti in due lustri (fino a sfiorare il livello monstre del 93% del Pil), fabbisogni d'investimento cresciuti da 800 a 1.200 miliardi l'anno, con 510 miliardi a carico delle finanze pubbliche. Troppo, ha denunciato l'ex premier, per un'Unione che resta prigioniera dell’inerzia dell'unanimità tra i Ventisette, "nascondendosi dietro "scuse per la propria lentezza" e spacciandola talvolta "per rispetto dello Stato di diritto". 

 

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I terreni d'azione

Al contrario, l'imperativo è accelerare: "spingere sulle riforme", mobilitare "capitale privato" e "abbattere tabù di lunga data" per ottenere "risultati entro mesi, non anni". Puntando anche, ha osato Draghi, sulla "cooperazione rafforzata tra Paesi volenterosi" nei settori cruciali come la difesa. Una via che, ha rilanciato l'ex presidente della Bce, potrebbe aprire anche all'inedita ipotesi di debito comune tra alleanze di Stati - se a 27 non fosse possibile - per finanziare progetti d'interesse collettivo. Il terreno d'azione è vasto: energia, Intelligenza artificiale, aiuti di Stato e fusioni. Sta all'Europa farlo fruttare al meglio.

 

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