Covid, sempre meno casi ma si temono i focolai dalla guerra

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Ne ha parlato, in un’intervista concessa all’agenzia Ansa, l’epidemiologo Cesare Cislaghi. Secondo l’esperto, infatti, il conflitto attualmente in corso in Ucraina potrebbe “rappresentare anche una 'miccia' per una nuova ed imprevedibile fase epidemica di Covid-19 in quel Paese, con rischi anche per il resto dell'Europa”, ha detto

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In Italia risultano sempre più in calo i casi di Covid-19, con una diminuzione dei nuovi contagi pari al 20% circa a settimana. Il trend che conferma il raffreddamento dell'epidemia si riscontra particolarmente negli ospedali, dove l'occupazione delle terapie intensive da parte dei pazienti Covid a livello nazionale è in discesa di un punto percentuale e torna al 7%, anche se tre Regioni superano ancora la soglia di allerta del 10% (Marche, Sardegna e Lazio. Lo riportano i recenti dati del monitoraggio dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), in base ai quali resta invece al 16% l'occupazione dei posti nei reparti ospedalieri di area non critica. E, tra l’altro, si può concretizzare “la possibilità di arrivare nel mese di marzo a chiudere le aree Covid negli ospedali pediatrici”, come sottolineato dal presidente dell'Associazione degli ospedali pediatrici italiani (Aopi), Alberto Zanobini. Ma se nel nostro Paese la situazione sanitaria continua a manifestare segnali di miglioramento, preoccupa il quadro internazionale relativo alla guerra in Ucraina che, secondo l'epidemiologo Cesare Cislaghi, potrebbe innescare nuovi focolai epidemici. (DIRETTA Guerra Ucraina-Russia)

La decrescita dei casi Covid

Ne ha parlato, in un’intervista concessa all’agenzia Ansa, lo stesso esperto. Sottolineando come il trend di decrescita dei casi di Covid nel nostro Paese sia ad oggi “costante, senza accelerazioni o decelerazioni”. E' un andamento che va analizzato con fiducia anche se, ad esempio, “va considerato il fatto che si stanno effettuando nelle ultime settimane un minor numero di tamponi”. Notizie incoraggianti arrivano anche considerando il fattore della letalità, “ovvero il numero di decessi in un determinato giorno rispetto ai contagi registrati tre settimane prima, che è il tempo di latenza medio del virus”. Attualmente, ha spiegato Cislaghi, “registra un calo ed è pari al 2 per mille, quindi un valore basso, stabile da 20 giorni. A dicembre 2021 era pari all'1% e a metà dello scorso anno era al 3%”, ha detto. Questo però non toglie che “il numero dei casi è ancora abbastanza elevato ed è dunque ancora necessaria prudenza, perchè nuove filiere di contagio possono nuovamente innescarsi”, ha specificato l’epidemiologo. E questo, anche in riferimento al conflitto in Ucraina. (Dalla Guerra fredda alle tensioni sull'Ucraina: i rapporti Usa-Russia degli ultimi 30 anni)

I possibili focolai in Ucraina

Secondo Cislaghi, infatti, pur non rappresentando questo aspetto “la priorità, considerata la tragedia che il popolo ucraino sta vivendo”, il conflitto attualmente in corso potrebbe “rappresentare anche una 'miccia' per una nuova ed imprevedibile fase epidemica di Covid-19 in quel Paese, con rischi anche per il resto dell'Europa”, con la possibilità che la “ripresa dei contagi possa essere innescata proprio dalla vita militare e tra i soldati”, ha spiegato ancora. Sicuramente, ha rilevato ulteriormente l’esperto, “la promiscuità della vita militare favorisce i contagi di una pandemia che si trasmette attraverso le vie respiratorie”. (Guerra in Ucraina, le voci di chi è riuscito a fuggire da Mariupol. VIDEO)

Un'immagine del reparto di terapia intensiva all'ospedale Poliambulanza di Brescia, reparto Covid, 25 gennaio 2022. ANSA/FILIPPO VENEZIA

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