Justin Bieber e il nuovo pop intimo da Beyoncé a Frank Ocean
Musica Photo credits - Instagram @lilbieberCon Swag, Justin Bieber entra in una nuova stagione del pop contemporaneo, dove l'autenticità prevale sull'immagine patinata. Dal country di Beyoncé all’introspezione di Adele, fino al silenzio di Frank Ocean, un'ondata di artisti globali ridefinisce i confini tra celebrità, intimità e racconto personale
C’è stato un tempo in cui Justin Bieber sembrava progettato in laboratorio. Look ineccepibile, capelli a caschetto, melodie catchy, video a tempo con l’estetica di YouTube, uno stuolo di coreografi e stylist pronti a mantenere viva l’illusione della popstar perfetta, intoccabile, al centro del mondo. Poi sono arrivati gli anni della crisi, della saturazione, della verità, fino all'ultimo cameo sul palco a Los Angeles con SZA. Il Justin di oggi non è più un ragazzo prodigio: è un uomo e Swag è il disco che racconta questa storia fatta di confessioni sussurrate, di gesti piccoli, di fragilità dichiarata. E non è il solo ad averlo fatto. Un tempo il pop era un’illusione ben confezionata, fatta di evasione e perfezione. Era così per Beyoncé, regina di immagini inarrivabili. Per Harry Styles, che danzava tra piume e luci teatrali. Per Kanye West, demiurgo del proprio ego, e perfino per Adele, signora delle ballad senza tempo. Era così, ovviamente, anche per Justin Bieber prima di questa nuova stagione del pop – più vera, più fragile, più umana – in cui, forse, non vuole più interpretare, ma esserci.
Il nuovo credo delle popstar "umane"
L’11 luglio 2025 Justin Bieber ha pubblicato a sorpresa Swag, un disco che ha rotto con anni di silenzio e con ogni aspettativa da classifica. Nessuna campagna tradizionale, solo billboard minimali tra Times Square e Reykjavík e una serie di video acustici dallo studio di casa: voce nuda, chitarra, un tappeto. Swag è un album che si muove tra intimità e ironia, paternità e vulnerabilità, articolato in tre sezioni: una prima parte emotiva e terapeutica, con brani come “Therapy Session”, una seconda giocata sull’ironia virale e la satira dello star system (tra meme e tabloid), e una terza a tinte urban, con ospiti come Gunna, Sexyy Red e Cash Cobain. Nessuna hit costruita, ma storytelling puro: Bieber racconta la propria crescita, il matrimonio, il diventare padre, la terapia, il bisogno di sottrarsi. Non c’è più la voce patinata dell’idolo pop: ci sono suoni grezzi, testi quasi diaristici, silenzi più eloquenti delle melodie. Il lancio stesso – tra merch minimale e totale assenza di videoclip – rafforza un’identità nuova: quella di un artista che non cerca più l’approvazione, ma la presenza. Con Swag, Bieber si inserisce nel solco tracciato da Beyoncé con Cowboy Carter, Adele con 30, Frank Ocean con Blonde e Harry Styles con Harry’s House: popstar che hanno scelto di raccontare se stesse con strumenti più imperfetti, ma infinitamente più umani.
Beyoncé – Cowboy Carter (2024): la queen diventa umanna
Con Cowboy Carter, Beyoncé ha spiazzato tutti: niente coreografie monumentali, niente videoclip. Solo un disco country, con radici ben piantate nel terreno della storia americana, afrodiscendente e personale. Un ritorno alla terra, alla narrazione orale, alla verità di chi si riconnette con il proprio passato.
Come Bieber, anche Beyoncé abbandona la performance iper-produttiva per indossare panni nuovi, imprevisti. Il genere scelto – il country – diventa strumento di rivendicazione e riscrittura identitaria. Indicative le dichiarazioni dirette di Beyoncé all’uscita del disco (29 marzo 2024), in cui ha spiegato come Cowboy Carter sia il frutto di un percorso identitario e di risposta al rifiuto ricevuto anni prima nei circuiti country. La stessa su Instagram a fine marzo 2024, aveva scritto: "Questo non è un album country. Questo è un album di Beyoncé. È nato da un'esperienza in cui non mi sono sentita la benvenuta".
Harry Styles – Harry’s House (2022): il concerto in salotto
Con Harry’s House, Styles ha messo in pausa lo stadio per entrare in cucina. Il disco è un inno alla vita domestica, fatto di synth gentili e testi che parlano di relazioni imperfette e solitudini condivise. La sua narrazione rinuncia all’euforia del pop globale per abbracciare la dolcezza dell’introspezione. Un po' come Bieber: in Swag ci sono suoni ovattati, atmosfere casalinghe, un linguaggio emotivo che parla a chi vive, ogni giorno, senza filtri.
Kanye West – Donda (2021): la famiglia come struttura narrativa
Con Donda, Kanye West ha riscritto le regole dell’hip hop spirituale. L’intero album ruota attorno alla figura della madre scomparsa, costruendo un affresco sonoro destrutturato, potente, anti-radiofonico. È un lavoro che ha messo al centro il lutto, la fede, la perdita. Come in Swag, dove Bieber compie un gesto analogo: usa la dimensione familiare non solo come tema, ma come impalcatura narrativa. L’essere marito, figlio, e presto padre, diventa materiale sonoro, prima ancora che biografico.
Adele – 30 (2021): la terapia in forma di canzone
Con 30, Adele ha firmato il suo disco più vulnerabile e necessario. Non più la regina intoccabile delle power ballad, ma una donna che si mette in discussione, si analizza, si espone. L’album nasce dal divorzio con Simon Konecki, ma non è un diario amaro: è una seduta di terapia in pubblico. Canzoni come My Little Love – in cui inserisce messaggi vocali al figlio Angelo – mostrano una madre che cerca le parole giuste per spiegare l’imperfezione, il dolore, le scelte. Ma anche una figlia, che affronta la propria infanzia, e una donna, che si confronta con la solitudine dell’autenticità. 30 è costruito come un ciclo emotivo: rabbia, senso di colpa, tenerezza, autoconsapevolezza.
Frank Ocean – Blonde (2016): il capolavoro della sottrazione
Con Blonde, Frank Ocean ha riscritto le regole del pop contemporaneo scegliendo il silenzio, l’assenza e la sottrazione come linguaggi centrali. Nessun singolo da classifica, niente videoclip, nessuna promozione: solo voce, silenzi, synth spogliati, emozione grezza. Un disco liquido, introspettivo, spesso ellittico, che racconta identità queer, traumi e crescita personale con un'intimità mai ostentata, un’opera che ha influenzato un’intera generazione di artisti, aprendo uno spazio per un pop più spirituale, fragile, imperfetto. Justin Bieber non compie lo stesso gesto radicale, ma Swag eredita quella lezione: meno hit, meno immagine, più racconto e un album che, forse, vorrebbe si ascoltasse con attenzione, non per distrazione. In fondo, e questo potrebbe essere il senso, Justin Bieber avrebbe chiamato l’album Swag per riappropriarsi di un termine che ha segnato i suoi esordi, ma dandogli un nuovo significato: non più ostentazione, ma sicurezza interiore e autenticità. È un titolo che probabilmente riflette la sua volontà di mostrarsi senza filtri, libero dalle logiche commerciali. Più vicino alla sua verità personale, più swag.