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Martin Scorsese, un viaggio tra i capolavori di un regista nato 80 anni fa

Cinema

Paolo Nizza

Il 17 novembre del 1942 nasceva a New York il grande regista italoamericano. Dai capolavori interpretati da Robert De Niro come “Taxi Driver”, “Toro Scatenato","Quei bravi ragazzi" a “The Wolf of Wall Street” con Leonardo DiCaprio, sino a “The Irishman”, in cui per la prima volta dirige Al Pacino, ecco i più famosi film diretti da Martin Scorsese

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"Quando si è nati a Little Italy, che cosa diventare se non gangster o prete? Ora, io non potevo essere né, l'uno, né l'altro. " Con queste parole Martin Scorsese ironizzava sul perché avesse scelto di fare cinema. Si sa che l'asma gli impediva di vivere la vita di quartiere. A Martin restava solo la possibilità di guardare il mondo dalla finestra della sua camera al terzo piano dell'appartamento dei suoi genitori a Elizabeth Street. E soprattutto gli restavano i  film, l'unica via verso l'esterno. Come racconta nel bellissimo documentario "Martin Scorsese- Viaggio nel cinema americano", a 4 anni vide Duello al sole di King Vidor e ne rimase sconvolto: "Mi coprivo di continuo gli occhi con le mani. Ogni cosa sembrava accadere in modo che i due protagonisti potessero vivere la loro passione solamente dandosi reciprocamente la morte:”

 E in fondo tutta la cinematografia del cineasta americano è intrisa di Eros e di Thanatos. D'altronde sin dagli anni 70, ai tempi della "Nuova Hollywood", Marty era soprattutto "un temperamento", come lo definì Brian De Palma.

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, Scorsese è uno dei più prolifici autori americani con 26 lungometraggi all'attivo e 19 documentari. Titoli con  cui ha segnato per sempre la storia del cinema.  Tra successi al box office e pellicole più  personali e indipendenti, tra il lungo sodalizio con   Robert De Niro, e  la collaborazione virtuosa con Leonardo DiCaprio, sino a “The Irishman” in cui corona il sogno di lavorare con Al Pacino, ecco un viaggio alla scoperta dei suoi capolavori più famosi. Nella speranza che, giunto all'età di 78 anni, a Scorsese venga data la possibilità di offrici ancora altri, meravigliosi film in cui emozionarci e perderci. Come faceva da bambino, quando nella sua cameretta con forbici, carta e colori ricostruiva schermi in miniatura in cui faceva  scorrere fotogrammi disegnati a  mano. Perché anche i grandi registi hanno cominciato da piccoli 

“Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno” (1973)

Ambientata a Little Italy, una dolente autobiografia che ci insegna che i peccati non si scontano in chiesa, si scontano per le strade.  Perché tutto il resto è una balla ma il dolore no. In Mean Streets non conta la storia, ma le situazioni. Abbiamo 4 amici al bar che forse in  fondo non sono così amici. C’è un immenso  Harvey Keitel, alter  ego del regista che scherza col fuoco e che sa che ci sono due inferni: quello che si può toccare con un dito che e quello che si sente nel cuore. E c’è Robert De Niro, Johnny Boy, ribelle antisociale. In un cameo c'è persino la madre di Scorse. E poi Ci sono le canzoni napoletane e "il Grande Caldo" di Fritz Lang. Perché "Mean Streets" è anche una riflessione sul cinema che spazia  dalla "Tomba di Ligeia" a "Sentieri Selvaggi"

 

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“Taxi Driver” (1976)

C’è tanto cinema anche in Taxi Driver Soprattutto cinema porno. Il protagonista è Travis, (uno straordinario Robert De Niro) il tassista  ex marine reduce del Vietnam, che non dorme mai nella città che non dorme mai. Come nella canzone di Kris Kristofferson Travis "è profeta e spacciatore. Un po’ falso un po’ sincero Tutto contraddizioni ”. Sceneggiato da Paul Schrader che si ispirò a un periodo oscuro della propria vita, Taxi Driver ha contagiato l’immaginario collettivo. Dalla copertina dei Clash a Jerry Cala con la cresta in un "Una Vacanza Bestiale," passando per l’imperatore Palpaltine di Star Wars che ricorda tanto il  senatore Palantine. Taxi Driver, vincitore nel 1976 della Palma d'oro al 29º Festival di Cannes e candidato a quattro Premi Oscar,  trabocca si scene cult. Come l’alkaselzer nel bicchiere che rimanda alla tazzina di caffè del Godard di "Due o tre cose che so di lei". E soprattutto la  famosissima scena di De Niro allo specchio. Una sequenza nata per caso, improvvisata, come spesso è accaduto nei primi film di Scorsese.

 

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“Toro scatenato” (1980)

 Il film che ha salvato la vita a Martin Scorsese. Messo al tappeto dall’insuccesso commerciale di "New York New York" e dall’abuso di Cocaina il regista sta per finire male come tanti suoi amici di Little Italy. La salvezza sarà trasportare sul grande schermo l’autobiografia del pugile Jack LaMotta. Un soggetto di cui Robert De Niro si è innamorato e che Marty finalmente decide di girare dopo innumerevoli rifiuti. Fotografato in un abbacinante bianco e nero, "Toro Scatenato" non è un semplice film sul pugilato, ma la parabola autodistruttiva di un sacerdote del ring in sovrappeso in cerca di redenzione. Un antieroe che sente di non meritarsi niente e che cerca attraverso i colpi del demone nero “Sugar Ray Robinson”, di espiare i propri peccati. De Niro si allena per mesi insieme a Jack LaMotta, poi ingrassa 30 chili per raccontare il declino del campione. Scorsese gira Toro Scatenato come fosse il suo ultimo film, e ci si dedica anima e corpo. Joe Pesci è indimenticabile nei panni del fratello di LaMotta. Cathy Moriarty è una sublime e bionda Venere. Il risultato sono 8 nomination all’Oscar, tra cui miglior film e miglior regia. Ma le statuette vinte saranno solo 2, miglior attore protagonista e miglior montaggio. Si sa: Hollywood non ama Scorsese. Tuttavia "Toro Scatenato" resta un film leggendario, un capolavoro della storia del cinema

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“Re per una notte” (1983)

Forse senza Re per una notte, non ci sarebbe stato il Joker con Joaquin Phoenix. Ispirato a un episodio de David Suskind Show sui cacciatori di autografi e su un articolo di “Esquire" dedicato a uno spettatore appassionato di talk-show televisivi, "Re per una notte" è lo specchio dell’ossessione di Scorsese per il cinema. Martin può identificarsi al tempo stesso con lo stalker Rupert Pumpkin (Robert DeNiro) e con il comico di successo Jerry Langfold, (Jerry Lewis) come dichiara alla rivista Positif: “Potevo vedere Rupert con gli occhi di Jerry e viceversa. Era una sensazione molto strana, talora, terrificante, di potersi dividere tra questi due personaggi. DI vivere quest’ossessione e di osservarla da fuori”.  Per raccontare la persecuzione di un fan nei confronti del proprio idolo del piccolo schermo, Scorsese sceglie di adottare uno stile televisivo, rinunciando ai virtuosismi. E anche se "Re per una notte" resterà il più grosso insuccesso della carriera del regista italoamericano, si tratta di una pellicola da recuperare,

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“Quei bravi ragazzi” (1990)

Ragazzi di Famiglia, tra sangue e spaghetti al pomodoro. La storia vera del malavitoso Henry Hill (documentata da Nicolas Pileggi) si trasfigura nell'ascesa e caduta di un gangster che non voleva essere una normale nullità. "Ci trattavano come delle stelle del cinema, ma eravamo più potenti, noi avevamo tutto. Le nostre mogli, le madri, i figli campavano bene con noi. Io avevo dei sacchetti pieni di gioielli nella credenza di cucina, avevo una zuccheriera piena di cocaina sul comodino accanto al letto. Mi bastava una telefonata per avere tutto quello che volevo: macchine gratis... le chiavi di una dozzina di appartamentini in città... scommettevo 30 mila dollari ai cavalli di domenica e sperperavo le vincite la settimana dopo, oppure ricorrevo agli strozzini per pagare gli allibratori. Non aveva importanza, non succedeva niente. Quando eri in bolletta, andavo a rubare un altro po' di grana. "

Leone d'argento alla Mostra di Venezia “Quei bravi ragazzi” ottiene 6 candidature all’Oscar e una strameritata statuetta come miglior attore non protagonista vinta da Joe Pesci che veste i panni del folle e sadico Tommy. a cui nessuno può dire di essere buffo

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"Cape Fear- Il promontorio della paura" (1991)

“Io la ritengo colpevole, avvocato! Colpevole di tradimento verso il prossimo! Colpevole di tradimento verso la patria! Colpevole di aver mancato al suo giuramento! Colpevole di avermi giudicato e condannato ingiustamente! E in virtù dei poteri conferitimi dal regno di Dio, io la condanno al nono cerchio dell'Inferno! Dove conoscerà il dolore di una perdita: la perdita della libertà, la perdita dell'umanità! Adesso, lei e io saremo veramente uguali!”

È difficile non avere paura dell’uomo che pronuncia queste parole, ovvero Max Cady ex galeotto, feroce e psicotico, nonché amante delle camicie sgargianti e dei sigari. Anche quando si tratta di un remake, Martin Scorsese lascia il segno. Nel riportare al cinema "Cape Fear", il romanzo di MacDonald, già adattato da Jack Lee Thompson in un noir del 1961, il regista spariglia le carte, Il confine tra bene e male si assottiglia, La famiglia formata da Nick Nolte, Jessica Lange e Juliette Lewsis non è più  un amorevole nucleo wasp. Tant'è che Scorsese, richiama per un cameo, i protagonisti del primo Cape Fear, ovvero Gregory Peck e Robert Mitchum, ma li usa in maniera antitetica rispetto al prototipo.

Marthy rende omaggio a Hitchcock a partire dalle musiche di Bernard Herrmann. Robert DeNiro è, al solito un titano.  Dal corpo illustrato da tatuaggi biblici agli adesivi appiccicati sulla sua auto sportiva, l’attore ci offre un indimenticabile e terrificante ritratto di uno dei cattivi più spaventosi mai apparsi sullo schermo

 

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"L'età dell'Innocenza" (1993)

Ancora una volta all’origine del film c’è un libro. Questa volta si tratta di “The Age of Innocence” scritto da Edith Warthon nel 1920. Il romanzo viene consigliato a Martin Scorsese dal critico cinematografico e amico Jay Cocks. Parimenti a Luchino Visconti, Marty alla sua prima pellicola in costume, pone un’attenzione maniacale ai dettagli.  Ispirandosi al cinema degli amatissimi Powell e Pressburger, Scorsese opta per le dissolvenze colorate. E già dai superbi titoli di testa si palesa il ritratto di una società ipocrita  e perbenista, tuttavia scalfita dalla sincera innocenza di alcuni soggetti. E la ferocia del romanzo che narra l’impossibilità di essere se stessi e di amare chi davvero amiamo si stempera nelle acque di una delle più dolenti affascinanti scene di rinuncia, mai apparse nella storia del cinema. Cast in stato di grazia formato da Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer e Winona Ryder. Oscar per i migliori costumi a Gabriella Pescucci

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"Casinò" (1995)

100 giorni di riprese per raccontare l'evoluzione di Las Vegas. Per usare le parole dice il protagonista del film Sam "Asso" Rothstein: "Oggi la città assomiglia a Disneyland. E mentre i bambini giocano ai pirati, mamma e papà lasciano le rate della casa e i soldi per l'università del piccolo nelle slot machine." Il terzo e ultimo capitolo della trilogia mafiosa di Martin Scorsese finisce come gli "Uomini vuoti" di Eliot, non già con uno schianto, ma con un lamento. I completi eleganti sgargianti di Robert De Niro, la violenta follia di Joe Pesci, il delirio tossicofilo di Sharon Stone, cedono il passo al deserto miserabile della quotidianità

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“Gangs of New York” (2002)

Ambientato durante  Guerra Civile Americana, “Gangs of New York” si ispira al trattato del 1928 “The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld” sulle gang armate che - nel XIX secolo - abitavano il quartiere newyorchese di Five Points. Scorsese scrive ben 9  versioni della prima sceneggiatura e New York viene ricostruita negli studi di Cinecittà Al produttore Weinstein non piace il look del  gangster William Cutting detto "il Macellaio" (Daniel Day-Lewis) dell'irlandese Amsterdam Vallon (Leonardo DiCaprio) in cerca di vendetta.  Dieci le candidature all’Oscar.

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“The Departed – Il bene e il male” (2006)

Non voglio essere un prodotto del mio ambiente, voglio che il mio ambiente sia un mio prodotto”. Cosi parlò Frank Costello (un luciferino Jack Nicholson). 4 Premi Oscar (finalmente l'Academy premia Scorsese)  per un adrenalinico remake di Infernal Affairs, gioiellino del cinema di Hong Kong. Bene e male, poliziotti e criminali danzano una ballata macabra. Leonardo DiCaprio e Matt Damon giocano a rimpiattino con l'identità. Due facce della stessa medaglia, forse falsa.

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“THE WOLF OF WALL STREET” (2013)

"Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi" recita il Vangelo secondo Matteo. Al pari dell'apostolo evangelista,  Martin Scorsese con The Wolf of Wall Street trasporta lo spettatore tra i  voraci licantropi in doppio petto del Financial District. Come recita lo spot con cui si apre il film, il mondo degli investimenti può essere una giungla, bazzicata da tori e orsi. Ma è tra le fauci di Wolfy, alias Jordan Belfort che scopriremo cosa si nasconde davvero  dentro la Borsa. 

Basato su una storia veraThe Wolf of Wall Street racconta l'ascesa e la caduta di Jordan Belfort (Un allupato Leonardo DiCaprio da Oscar), il broker di New York divenuto ricco quanto Creso grazie alla sua società, la Stratton Oakmon, che truffò milioni di investitori alla fine degli Ottanta. Con la consueta, vertiginosa abilità, Scorsese procede per accumulo. Sullo schermo scorrono situazioni estreme, grottesche, deliranti- Ma aldilà, degli alcaloidi, dei sedativi, degli ipnotici, dell’alcol, delle puttane, delle truffe, delle scommesse, dei pusher, delle orge, The Wolf of Wall street è la cartina di tornasole di una società in cui il denaro non dorme mai e gli affari sono i soldi degli altri per citare Dumas. 

Come grida Jordan per difendersi dalle accuse: "Stratton Oakmon è l'America". Ma è anche il mondo. L'uomo resta un lupo per l'uomo, a qualsiasi latitudine. 

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The Irishman (2019)

10 nomination all’Oscar e nessuna statuetta vinta. Martin Scorsese si conferma non un regista di Hollywood, ma un regista nonostante Hollywood, Tuttavia, con The Irishman, il regista italoamericano corona un sogno: dirigere Al Pacino. A questo proposito il cineasta ha dichiarato: erano anni che volevo lavorare con Al. Francis Coppola ci ha presentato nel 1970. Poi lo ha diretto ne Il Padrino 1 e 2, e poi Al Pacino è entrato nella stratosfera Per me, Al era sempre irraggiungibile. Abbiamo provato a lavorare insieme negli anni '80, ma non sono riuscito a trovare i finanziamenti. Quando finalmente ha accettato ho chiesto a De Niro 'Com'è lavorare con lui?' Bob ha risposto 'È grandioso, vedrai.” Cosi, grazie l’adattamento cinematografico del saggio del 2004 “L'irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa” scritto da Charles Brandt, basato sulla vita di Frank Sheeran, Scorsese firma il viale del tramonto dell’epopea dei gangster. Una sorta di dolente viaggio nel tempo e nello spazio, per raccontare ancora una volta il vero volto dell’America, Grazie alle magie del digitale, i protagonisti ringiovaniscono, ma il tempo di Mean Streets, dei  bravi ragazzi, dei casinò è finito. Neanche Alice abita più qui.

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