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Creed III, il sequel di Michael B. Jordan colpisce nel segno. La recensione del film

Cinema

Paolo Nizza

Arriva al cinema dal 2 marzo il terzo lungometraggio dell’acclamato spin-off  e nono capitolo della saga di Rocky Balboa. Il primo lungometraggio, senza la presenza di Sylvester Stallone, è una sfida sul ring tra passato e presente con un monumentale Jonathan Majors

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“La vita è come la boxe in molti particolari inquietanti. Ma la boxe è soltanto come la boxe”, scriveva Joyce Carol Oates. Sicché, dai  due atleti con guantoni presenti nell'affresco di epoca minoica ritrovato nella città Akrotiri e risalente al 1650 a.C., a Creed III, nelle sale cinematografiche da giovedì  2  marzo, la raffigurazione di un incontro di pugilato racconta, ripresa dopo ripresa, la perpetua sfida tra due esseri umani in un'arena.  Al suo debutto come regista Michael B. Jordan (Black Panther)  firma un robusto e riuscito sequel. Nel tornare per la terza volta sul ring, con l’accappatoio e i calzoncini di Adonis Creed, il figlio di Apollo, l’attore vince e convince. E l’assenza di Sylvester Stallone nel cast (la star italoamericana figura solo come produttore) non inficia il risultato. Dopo oltre 40 anni, una schidionata di premi Oscar e 8 lungometraggi, il personaggio di Rocky Balboa si è ritirato dal grande schermo. Il suo ricordo si manifesta  qualche cartolina o battuta pronunciata nel film, ma il sua leggenda riecheggia in una sceneggiatura che ancora una volta ci insegna “Forte non è colui che non va al tappeto, ma è colui che una volta andato al tappeto ha la forza di rialzarsi”.

Creed III, la trama del film

In Creed 3, Il detentore del titolo dei pesi massimi Adonis Creed ha appeso i guantoni al chiodo. Ora possiede una palestra e allena i campioni di domani. A tempo perso fa pure il modello per Ralph Lauren. Il danaro non manca e il mondo gli sorride. Ha una moglie (Tessa Thompson, la Valkyria della  saga cinematografica  di Thor e della serie tv Westworld ), un tempo artista e ora producer musicale di successo che lo ama moltissimo, una madre (Phylicia Rashād) affettuosa e saggia, nonostante la salute precaria, e un figlia (Mila Davis-Kent) non udente dalla nascita a cui insegnare qualche colpo, senza dimenticare che la violenza non è mai la risposta giusta. Tuttavia, come sovente accade nei drammi sportivi, il passato viene a bussare alla lussuosa porta dell’atleta che non gareggia più. E in questo caso il fantasma di un tempo dimenticato picchia talmente forte da sfondare l’uscio. Si tratta infatti di  Damian "Dame" Anderson (Jonathan Majors), amico d’infanzia di Adonis nocnché giovane promessa non mantenuta del pugilato, che riappare, dopo 18 di anni di carcere. L’ex enfant prodige della “Nobile Arte” è in libertà vigilata, come si evince dalla cavigliera elettronica, e muore dalla voglia di tornare sul quadrato e conquistare un titolo per il quale si è sempre sentito un predestinato. E l’amicizia di un tempo si trasfigura in uno scontro in 12 riprese. Damien non ha niente da perdere, Creed, invece, può perdere tutto.

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In un florilegio di diretti, ganci montanti, Creed 3 mette in scena il duello sino all’ultimo pugno di due titani d’ebano dagli addominali scolpiti e i bicipiti vigorosi. Un combattimento che ha il sapore del mito. D’altronde il protagonista del film si chiama Adonis, suo padre Apollo e nel 668 avanti Cristo l’antica Grecia introdusse la boxe nei giochi Olimpici. Con sagacia e stile,  Michael B. Jordan (appassionato di anime giapponesi) si ispira a Naruto e Dragon Ball per la sua opera prima (senza contare che dalla cameretta del giovanissimo Creed campeggia un poster di Lupin III), Ma dalla saga di Rocky a Toro scatenato, da Stasera ho vinto anch’io a Cinderella Man, la scelta del villain nei film incentrati  boxe è fondamentale per incantare e mandare lo spettatore al tappeto. Jonathan Majors si rivela un antagonista con i fiocchi. Dopo  l'interpretazione di Kang il Conquistatore in Ant-Man an The Wasp: Quantumania., l’attore dimostra il suo immenso talento nel portare sullo schermo un underdog livoroso e feroce, un reietto dall’uppercut mortale che sogna il suo posto al sole. E forse aveva ragione Jack La Motta, “non puoi salire sul ring ed essere una brava persona”, O per citare le parole  Sugar Ray  Robinson: “Il mio lavoro è far male alla gente”. Quella cintura vale più della vita, per chi come Tantalo, ha solo osservato la tavola imbandita dei vincenti e non ha mai assaggiato manco le briciole. E tra The Watcher di Dr. Dre  e Lay Low di Snoop Dogg, i boxeur volteggiano come farfalle e pungono quanto le vespe. Sangue  e sudore mettono le emozioni dello spettatore alle corde. Creed 3 lavora il pubblico ai fianchi e non importa se persino il più sprovveduto conosce già il verdetto finale del match. L’importante è rialzarsi e combattere. E magari chiedere scusa. Perché solo chi cade può risorgere.

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