Segna poco, tira piano, salta l'uomo solo per conservare il possesso del pallone. Il regista nato in Brasile ha affrontato gli scetticismi degli inizi e si è regalato un rarissimo momento di popolarità col rigore che ha eliminato la Spagna. E se la finale dovesse finire nel miglior modo possibile, diventerebbe un serio candidato al Pallone d'Oro
Un calcio di rigore che può valere una carriera, per il peso specifico e per il modo in cui è stato calciato. Perché quella rincorsa lenta, quegli occhi puntati sul portiere avversario, la finta a incrociare per poi aprire all’ultimo il piatto e poggiarla piano piano nell’angolo opposto rispetto a quello verso cui si era mosso Unai Simon sono il manifesto del calcio di Jorginho, centrocampista con gli occhi sulle tempie che sembra viaggiare costantemente a risparmio energetico, preferendo far muovere il pallone (e gli occhi) piuttosto che le gambe. Brasiliano di nascita, italiano d’adozione, spagnolo per vocazione a un calcio di posizione che lo ha reso uno dei registi più preziosi al mondo (LO SPECIALE EURO 2020 - IL SONDAGGIO DI SKY TG24 SULLA NAZIONALE).
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Essenzialità ed eleganza
Invisibile agli occhi, come l’essenziale, Jorginho si nasconde in quei dettagli che messi tutti insieme fanno una partita intera. Gioca a uno o due tocchi, non tiene la palla, non va via in progressione, non salta l’uomo se non per evitarne la pressione e conservare il possesso di una palla che tratta come fosse la cosa più preziosa che abbia mai incontrato nella sua vita. Forse è per questo che non ha mai sviluppato un tiro da fuori veramente pericoloso: lui non picchia il pallone con violenza, lo accarezza, membro di una specie che dal rischio estinzione vissuto negli anni di un calcio fisico e duro è tornata più che mai preziosa nell’era del tiqui taca e dei Busquets.
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Un esordio azzurro da incubo
Jorginho è roba per pochi. Criticato e considerato inutile se non dannoso, messo alla sbarra dopo aver avuto dalla sorte l’esordio più sventurato che un oriundo potesse avere, battezzato azzurro in uno spareggio da incubo, quello contro la Svezia che ci è costato il primo Mondiale in poltrona in sessant’anni. Il karma però sorride a chi non molla e il destino gli ha dato una seconda chance, mandandolo a calciare l’ultimo e decisivo rigore di una semifinale sentitissima e soffertissima, vissuta per la prima volta nell’era Mancini a rincorrere gli avversari senza riuscire a far correre il pallone, l’anti-Jorginho, insomma, la kryptonite preparata da Luis Enrique, ma sconfitta con il più freddo ed elegante dei tiri dagli 11 metri (LA FOTOGALLERY DELLA PARTITA).
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Direttore di un'orchestra senza solisti
L’Italia è un gruppo senza stelle. Non abbiamo Cristiano Ronaldo o Mbappè (ma chi li aveva è tornato a casa prima di noi), nemmeno Kane e Sterling, siamo squadra, però, un’orchestra senza solisti che suona una splendida sinfonia. E se Roberto Mancini è il compositore, non c’è dubbio che Jorginho sia il direttore che con bacchetta in mano detta i tempi del gioco seguendo il metronomo nella sua testa, perfettamente sincronizzato coi movimenti dei compagni.
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Finale con vista sul Pallone d'Oro
Sarà così anche nella finale a Wembley. Mentre milioni di italiani aspetteranno le cavalcate selvagge di Chiesa e il tiro a giro di Insigne, lui starà lì, al centro del campo, a muovere i fili invisibili della Nazionale. Solo i più attenti se ne accorgeranno, ma se dovesse finire come nessuno ha il coraggio di dire, a rendersi conto di lui potrebbero essere i giornalisti internazionali che su France Football assegnano il Pallone d’Oro. Nella notte italiana si è assegnato un altro trofeo continentale. Brasile e Argentina si sono giocate la Copa America con l’Albiceleste che l'ha spuntata grazie a un gol di Di Maria (GUARDA GLI HIGHLIGHT). Messi, portato in trionfo dai compagni, ha sconfitto la sorte vincendo la sua prima finale con la Selección dopo averne perse quattro su quattro. Jorginho avrà una concorrenza terribile e un solo superpotere per provare a sconfiggerla: l’invisibilità.