Il 14 ottobre 2007 oltre 3 milioni e mezzo di cittadini sono andati al voto per le primarie che sanciscono la nascita, dalle ceneri di Ds e Margherita, del Pd. Da allora si sono alternati otto segretari e ci sono stati trionfi e sconfitte
È il 14 ottobre 2007 quando oltre 3 milioni e mezzo di cittadini si recano al voto per le primarie che sanciscono la nascita, dalle ceneri di Ds e Margherita, del Partito Democratico (LA STORIA DELLE PRIMARIE). Una storia fatta di alleanze e scissioni, trionfi e sconfitte, che in dodici anni, con otto segretari diversi (CHI SONO), ha rivoluzionato il mondo del centrosinistra italiano. Dal primo segretario Walter Veltroni fino ad arrivare a Nicola Zingaretti e alla scissione di Renzi, il partito ha cambiato volti e forme molte volte, ciclicamente raccogliendo e perdendo consensi. (TUTTE LE SCISSIONI DELLA SINISTRA)
Walter Veltroni è il primo segretario
Le primarie del Pd vedono l'elezione a segretario di Veltroni, che ottiene il 78,8% delle preferenze. Sfidanti, Rosy Bindi, Enrico Letta, Mario Adinolfi e Pier Giorgio Gawronsky. Tre mesi più tardi, nel gennaio 2008, arriva però una crisi nel centrosinistra e nel neonato partito. Un voto di sfiducia al Senato porta alla caduta del governo Prodi. Veltroni diventa il candidato premier, la sfida è con il Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi. Alle elezioni del 13 e 14 aprile 2008, il Pd corre con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Raccolgono complessivamente il 37,5% dei consensi alla Camera e il 38% al Senato. Il 33% dei voti solo per il Partito democratico, ma non basta: Silvio Berlusconi, alleato con Lega e Mpa, vince e il centrodestra torna al comando. Dieci mesi più tardi Veltroni si dimette, assumendosi la responsabilità della disfatta sarda di Renato Soru, candidato del Pd alle Regionali. Nel febbraio 2009, convocata l'Assemblea nazionale, l'incarico di segretario passa al già vice Dario Franceschini.
Bersani e i primi addii politici
A due anni dalla sua fondazione, l'11 ottobre 2009, il Partito democratico affronta il suo nuovo Congresso, che vede sfidarsi per il ruolo di segretario lo stesso Franceschini, il futuro sindaco di Roma Ignazio Marino e l'ex Ds Pierluigi Bersani, che vince con oltre il 55% delle preferenze nelle primarie del 25 ottobre. La vittoria di Bersani coincide con l'addio di uno dei fondatori, Francesco Rutelli. Dopo le amministrative di maggio 2011 e i referendum abrogativi del mese successivo, arriva la caduta del governo Berlusconi nel novembre dello stesso anno. Gli succede il governo tecnico di Mario Monti, cui il Pd di Bersani garantisce la fiducia. Nel partito nascono malumori e Stefano Fassina, Cesare Damiano e Matteo Orfini contestano la scelta del segretario, pur rimettendosi alle volontà del partito.
La "non vittoria" del 2013
Nel novembre 2012 nuove primarie, si deve individuare il leader di "Italia. Bene Comune" che guiderà la coalizione formata da Pd, Psi e Sel al voto del 24 e 25 febbraio 2013. Sfidanti dell'uscente Bersani sono Laura Puppato, Nichi Vendola, Bruno Tabacci e il giovane sindaco di Firenze, Matteo Renzi. A vincere è Bersani con il 44,9% dei consensi, che gli consentono di diventare il candidato premier. Al termine delle elezioni politiche del 2013 il Pd, che risulta primo partito nonostante i 4 milioni di voti persi, non raggiunge insieme ai suoi alleati una maggioranza sufficiente ad assicurare stabilità al Senato e il segretario si dimette dal suo ruolo lasciando temporaneamente la guida all'ex sindacalista Guglielmo Epifani. Una nuova frattura avviene quando 101 parlamentari del Pd, i cosiddetti franchi tiratori (la cui identità è ancora oggi misteriosa) negano l'elezione di Romano Prodi al Quirinale. Intanto Enrico Letta viene nominato alla guida di un governo di larghe intese.
L’era Renzi
Dicembre 2013 segna l'inizio dell'era Renzi. Con il 67,55% dei voti, l'8 dicembre Matteo Renzi vince infatti le primarie, sconfiggendo Gianni Cuperlo e Pippo Civati. A soli due mesi dalla sua elezione, nel febbraio 2014, con la regia dello stesso segretario, il Pd sfiducia il compagno di partito e premier Enrico Letta con una mozione. Renzi, incaricato dal presidente Giorgio Napolitano, diventa così presidente del Consiglio. Tre mesi più tardi, nel maggio 2014, consegna al partito una storica vittoria alle elezioni europee, ottenendo il 40% dei consensi e il risultato migliore mai raggiunto dal Pd. Ma nel partito dissidi interni per la sua Segreteria si fanno sempre più evidenti: lo contestano soprattutto gli ex Ds, D'Alema e Bersani in testa. L'occasione di rottura arriva nel dicembre 2016, con il referendum costituzionale promosso dall'esecutivo. Per il Partito democratico e per il governo è una vera debacle: il 4 dicembre il 59% dei votanti boccia la proposta di Renzi che, sconfitto, si dimette dall'incarico.
La sconfitta alle elezioni e il mandato a Martina
A prendere il suo posto è l'ex premier Paolo Gentiloni. Il 19 febbraio 2017 Renzi rassegna anche le dimissioni da segretario, aprendo così la fase congressuale. Il giorno successivo si consuma lo strappo più clamoroso: dirigenti e parlamentari guidati da Bersani, Rossi e Speranza escono dal Pd e fondano Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista. Il 30 aprile 2017, sorpassando gli sfidanti Andrea Orlando e Michele Emiliano, Renzi vince ancora una volta le primarie, ottenendo il 69,17% dei voti. Alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 si assiste però a una nuova disfatta per il Partito Democratico, che ottiene il peggior risultato della sua storia attestandosi su un consenso di circa il 18% sia per la Camera sia per il Senato. A seguito dell'esito deludente, il segretario Matteo Renzi annuncia per la seconda volta le proprie dimissioni, formalizzate il 12 marzo 2018 davanti alla Direzione Nazionale del partito, che nomina Maurizio Martina segretario ad interim. Il Pd, dopo una breve trattativa con il Movimento 5 Stelle a seguito del voto, decide di stare all’opposizione. Il 7 luglio 2018 Martina viene ufficialmente eletto segretario, con il compito di guidare la fase congressuale straordinaria.
La sfida di Zingaretti
Il dibattito interno al partito si concentra, dopo la sconfitta elettorale del marzo 2018, su quando programmare il congresso – che molti esponenti chiedono di fare il prima possibile – e soprattutto su chi correrà per le primarie del 3 marzo 2019 e la conquista della leadership. Matteo Renzi annuncia che non si candiderà. Una proposta di cambiamento radicale arriva a settembre dal presidente del Pd Matteo Orfini: “Stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo”, dice alla festa di Left Wing a Roma. Scende in campo il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che annuncia la sua candidatura e lancia la sua "Piazza Grande". Seguono Francesco Boccia, Cesare Damiano e Dario Corallo (I CANDIDATI). Dopo un periodo di riflessione, decide di correre anche l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti. Anche Maurizio Martina, che il 17 novembre, in apertura dei lavori dell'Assemblea Nazionale, ratifica le sue dimissioni da segretario reggente, scioglie le sue riserve e annuncia la sua candidatura. Il 3 marzo 2019 Zingaretti diventa il nuovo segretario del Pd, con il 66% delle preferenze. Il 17 marzo 2019 viene ufficialmente proclamato segretario. Alle elezioni europee del 26 maggio il Pd risulta il secondo partito più votato, con il 22% dei voti.
Il sostegno al Conte-bis e l'addio di Calenda
Dopo che Salvini, ad agosto 2019, decide di staccare la spina al governo giallo-verde sostenuto dall'alleanza Lega-M5S, i dem iniziano a dialogare con i pentastellati per cercare di costruire una maggioranza alternativa. A spingere per l'avvio delle trattative sono in primis Matteo Renzi e il fondatore del M5S Beppe Grillo. Dopo giorni di tensione e spaccature, viene trovato un accordo e nasce il secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Il 28 agosto, in polemica con la decisione del partito di allearsi con i pentastellati, l'ex ministro nonché eurodeputato Carlo Calenda lascia il Pd.
La scissione di Renzi
Il 16 settembre 2019 è la volta di Matteo Renzi, che annuncia la scissione della sua corrente dal partito. La decisione, nell'aria da giorni, viene motivata dall'ex segretario con il fatto che il Pd “è diventato un insieme di correnti, manca una visione sul futuro, e che vuole passare i prossimi mesi a combattere Salvini, non a difendersi dal fuoco amico". Renzi spiega che i nuovi gruppi parlamentari sosterranno il governo Conte.