Nicolas Maduro, chi è il delfino di Chavez alla guida del Venezuela dal 2013

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Designato dallo stesso ex presidente come suo successore, è al secondo mandato come presidente del Paese. Sotto di lui il Venezuela ha attraversato una grave crisi economica e profonde divisioni politiche, fino all'autoproclamazione dell'oppositore Juan Guaidò

Ha 56 anni, è l’erede di Hugo Chavez e dal 2013 ha preso il suo posto alla guida del Venezuela. Nicolas Maduro ha giurato per un altro mandato alla guida del Paese il 9 gennaio 2019, pronto a restare al potere per altri sei anni - fino al 2025 - nonostante il gran numero di critiche che hanno bollato il suo nuovo mandato come “illegittimo”. Ma poche settimane dopo, il 23 gennaio, è arrivata la svolta: il leader dell'opposizione venezuelana, Juan Guaidò, si è autoproclamato presidente del Paese. Una mossa, questa, che ha innalzato la tensione nel Paese, già provato da scontri interni e da una lunga crisi economica. Lo scorso febbraio Maduro, in un'intervista esclusiva a Sky tg24, ha annunciato di aver inviato una lettera a Papa Francesco invitandolo a mediare, mentre diversi Paesi europei - eccetto l'Italia - hanno riconosciuto Guaidò come nuovo presidente e Maduro si è rifiutato di far entrare aiuti umanitari statunitensi nel Paese. La tensione resta quindi alta, con diversi blackout che hanno bloccato il Paese per giorni, manifestazioni da entrambi gli schieramenti e la crisi economica che avanza.

Dagli autobus al chavismo

Maduro è nato a Caracas nel 1962, da madre colombiana e padre venezuelano. Ex autista di autobus, Maduro non è mai andato all'università e fin dal liceo ha militato negli organismi di sinistra di Caracas. È poi diventato un dirigente sindacale di rilievo. Maduro si avvicina al Chavismo come militante alla Liga Socialista. Conosce Chavez negli anni ’90 attraverso la moglie, Cilia Flores, che era stata uno degli avvocati che ottenne nel 1994 la sua liberazione due anni dopo il fallito golpe militare al quale prese parte nel 1992.

Erede designato di Chavez

Maduro sostiene la candidatura di Chavez quando diventa presidente del Venezuela nel 1998. Membro dell’Assemblea Costituente dal 1999, nel 2000 viene eletto deputato all’Assemblea Nazionale. Passano cinque anni e ne diventa il presidente. Dopo appena un anno, però, nel 2006, lascia l’incarico per mettersi alla guida del ministero degli Affari esteri. Nell’ottobre del 2012, dopo essere stato eletto per un quarto mandato, Chávez nomina Maduro vicepresidente esecutivo, indicandolo nel dicembre dello stesso anno suo successore designato. Nel marzo 2013, dopo la morte di Chávez, Maduro gli subentra ed è eletto nuovo presidente del Paese con il 50,66% delle preferenze alle consultazioni dell'aprile successivo.

La prima vittoria dell’opposizione

Quella che segue è per il Venezuela una fase di instabilità e di violenze, sia a causa dell’inasprimento delle misure repressive attuate dal governo contro le opposizioni antichaviste, sia per il peggioramento delle condizioni economiche del Paese. Maduro realizza alcuni rimpasti di governo, mirati soprattutto a consolidare il suo potere eliminando le fronde interne ed esterne al partito. Per lui però l’erosione dei consensi è stata inarrestabile. Alle elezioni legislative del dicembre 2015, l’opposizione vince per la prima volta dopo 17 anni di “chavismo”.

Lo stato di emergenza

Il Venezuela è stremato dall'aggravarsi della crisi economica ed energetica. Nel gennaio 2016 Maduro proclama lo stato di emergenza: entrano in vigore misure come blackout programmati, settimane lavorative di due giorni per i dipendenti pubblici, modifiche dell'ora legale per il risparmio di elettricità. Intanto violente manifestazioni di piazza chiedono che venga indetto un referendum per porre fine al mandato del presidente.

La crisi con il Parlamento

Nel marzo 2017 la crisi politica si aggrava. La maggioranza dei deputati vota la messa in stato d'accusa di Maduro, ritenuto responsabile della gravissima crisi umanitaria e della carestia che attraversa il Paese, e assegnando di fatto tutti i poteri al capo di Stato. Il Tribunale supremo di giustizia decide quindi di esautorare da ogni funzione il Parlamento, per gran parte in mano all'opposizione, accusando l'Assemblea nazionale di oltraggio e ribellione contro il presidente. Pochi giorni dopo, a seguito delle massicce manifestazioni di protesta e della condanna della comunità internazionale, la sentenza viene revocata e i poteri costituzionali restituiti al Parlamento.

La svolta autoritaria, la rielezione e l’attentato

Nei mesi successivi gli scontri tra popolazione civile e forze dell'ordine proseguono e provocano decine di morti, trascinando il Paese sull'orlo di una guerra civile. Nell'agosto 2017 si insedia la nuova Assemblea costituente, composta solo da rappresentanti vicini al governo: è la svolta autoritaria. La mossa viene duramente contestata dall'opposizione e dalla comunità internazionale. Nel maggio 2018, in un Paese stremato dalla crisi economica e lacerato da insanabili contrasti politici, Maduro viene rieletto con il 67,7% dei voti contro il 21,2% del chavista dissidente Henri Falcón. Ad agosto il presidente è l’obiettivo di un attentato eseguito con droni esplosivi, durante il suo discorso durante la parata militare per l'81esimo anniversario della creazione della Guardia nazionale: Maduro resta illeso, 7 i feriti. Il presidente incolpa dell’attacco l'estrema destra in collaborazione con i governi di Colombia e Stati Uniti facendo il nome del presidente colombiano Juan Manuel Santos, tra i mandanti dell'attentato, il quale ha subito definito l’accusa infondata.

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