Giornata Memoria del Disastro di Chernobyl: cosa accadde il 26 aprile 1986 e com'è oggi

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Dall’esplosione del reattore numero 4 all’incendio nella centrale, fino alla nube radioattiva sull’Europa. Ecco tutti i dettagli su quello che è successo nel sito in Ucraina, tornato al centro della cronaca nel 2022 durante l'invasione russa

Il 26 aprile si celebra la Giornata Internazionale della Memoria del Disastro di Chernobyl. Istituita nel 2016 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la ricorrenza intende accendere l’attenzione sulle conseguenze a lungo termine provocate dall’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl nel 1986, il peggiore disastro nucleare della storia. L’ex centrale nucleare,  fuori uso dal grave disastro del 1986, nel 2022  è stata per settimane lo sfondo di uno dei più pericolosi e surreali attacchi della Russia. Ma cos’è successo esattamente nella notte del 26 aprile di 38 anni fa e come si presenta oggi il sito di Chernobyl?

Cosa accadde la notte del 26 aprile 1986

Sono le ore 1:23 della notte del 26 aprile 1986 quando la centrale nucleare di Chernobyl è scossa da un'esplosione. Il sito si trova a 18 chilometri dalla città di Chernobyl, a 3 chilometri da Pripyat, nell’area settentrionale di un’Ucraina ancora parte dell’Unione Sovietica. È il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare, anche se il conteggio delle vittime è ancora incerto e largamente dibattuto, con cifre spesso enormemente diverse tra loro (FOTOSTORIA). La scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici dell’Aiea (agenzia internazionale per l'energia atomica) lo ha classificato come evento catastrofico di livello 7: il massimo. Attribuito solo un’altra volta, nel caso dell'incidente avvenuto nella centrale di Fukushima, in Giappone, l’11 marzo 2011. I fatti di quella notte e cosa accadde nei giorni seguenti sono stati lo spunto, nel 2019, per una serie tv di enorme successo.

 

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L'esplosione nella centrale di Chernobyl

Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986, dentro la centrale nucleare V.I. Lenin, sono in corso dei test di sicurezza su uno dei quattro reattori che da soli producono il 10% dell’energia elettrica dell’Ucraina. È il reattore numero 4 quello interessato dalle operazioni, per le quali vengono disabilitati alcuni dispositivi di sicurezza. Durante il test però qualcosa va storto, per quello che forse è un errore umano, unito ad alcune falle tecniche e strutturali. Poco dopo l'1 di notte, il reattore numero 4 esplode come una pentola a pressione: è una violenta spinta di vapore a far saltare in aria il coperchio di oltre mille tonnellate che serviva a chiudere ermeticamente il nocciolo. L’esplosione libera un’enorme quantità di grafite e provoca un incendio che comincia a disperdere nell’aria isotopi radioattivi. Non si tratta di un’esplosione nucleare, come quella di una bomba atomica, bensì di una reazione dovuta all’incontenibile pressione del vapore a causa di un imprevisto innalzamento della temperatura del nocciolo. Ma una volta scoppiato l’incendio, è emergenza radioattività.

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La nube radioattiva

L’incendio sprigiona una grande nuvola, densa di materiale radioattivo, che comincia a contaminare tutta l’area attorno alla centrale. 336mila persone devono essere evacuate. A cominciare da Pripyat, la città più vicina: 47mila abitanti, nel giro di poche ore, devono abbandonare per sempre le loro case. Nei giorni successivi il vento fa percorrere centinaia di chilometri alla nuvola. Prima verso la Bielorussia e i Paesi Baltici, poi Svezia e Finlandia, e ancora Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito. Tra il 29 aprile e il 2 maggio è la volta di Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Austria, Italia settentrionale, Svizzera, Francia sud-orientale, Germania meridionale e ancora Italia, stavolta centrale. Tra il 4 e il 6 maggio la nube torna verso l’Ucraina, poi Russia meridionale, Romania, Moldavia, Balcani, Grecia e Turchia. Tutte le aree dove è piovuto sono da considerarsi a rischio, il suolo potrebbe essere contaminato. L’emissione di vapore radioattivo si interrompe soltanto il 10 maggio. Lo stesso giorno, a Roma, 200mila persone scendono in piazza e si gettano le basi per il referendum che l'anno successivo porterà all'abbandono dell'energia nucleare in Italia.

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Il controverso conteggio dei morti

Sul disastro di Chernobyl, a distanza di anni, si possono leggere rapporti completamente diversi tra loro che vanno da stime di 30 vittime fino a centinaia di migliaia di morti. Nel 2003 l’Onu ha convocato un incontro istituzionale intitolato Chernobyl Forum, al quale hanno partecipato molti soggetti: come l'Organizzazione mondiale della Sanità, gli Istituti superiori di Sanità di Russia, Bielorussia e Ucraina, l'Unscera (il comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti), la Iaea, la Fao (Food and agriculture organization). Il forum ha stabilito che le morti accertate come conseguenza dell’incidente sono 65. Tra le vittime si contano due lavoratori morti sul colpo, uno per trombosi coronarica, 28 tra quei soccorritori che avevano riscontrato una sindrome da radiazione acuta, altri 19 di loro morti negli anni tra il 1987 e il 2005 e 15 tra quella parte di popolazione che aveva sviluppato un tumore alla tiroide. Secondo il Forum, a queste vittime sarebbero da aggiungere solo i quattro pompieri morti per la caduta dell'elicottero con cui tentavano di domare le fiamme. Tuttavia è lo stesso Chernobyl Forum a dire che potrebbero essere stimate ulteriori 4.000 morti presunte per leucemie e tumori su un arco di 80 anni, ma impossibili da ricondurre con certezza epidemiologica direttamente a quell’esplosione. Il Partito Verde Europeo ha stilato un altro rapporto in cui dice che le morti presunte sono almeno il doppio, fino a quantificare dalle 30 alle 60mila morti in eccesso nella popolazione mondiale a seguito del disastro. Greenpeace invece fornisce stime tra le 100.000 e le 270.000 vittime, toccando addirittura la cifra di 6 milioni di morti per tumore in tutto il mondo imputabili a Chernobyl.

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I processi

Nell’agosto 1986 si è tenuto un processo a porte chiuse che, oltre a 67 licenziamenti e 27 espulsioni dal Partito Comunista, ha portato alla condanna del direttore della centrale Viktor Bryukhanov e dell’ingegnere capo Nikolai Fomin per negligenza criminale (10 anni di lavori forzati), del vice ingegnere capo Anatoly Dyatlov e del capo della vigilanza Boris Rogozhkin per abuso di potere (5 anni), del supervisore Alexander Kovalenko (3 anni) e dell’ispettore Yuri Laushkin (2 anni). Ma nel 1991 la responsabilità è ricaduta sul progettista della centrale Viktor Bukanov e su chi aveva costruito il sito. Nelle cause civili 7 milioni di persone hanno ricevuto un risarcimento.

Dopo il disastro

Nell’immediato, il governo ha dovuto continuare a mantenere attivi gli altri tre reattori, per non interrompere la fornitura di energia elettrica sull’intero Paese. Nel 1991, un incendio nel reattore numero 2 fa temere il peggio e, dichiarato danneggiato, viene dismesso. Nel 1996 cessa l’attività anche del reattore numero 1. E il 15 dicembre del 2000, è lo stesso presidente ucraino Leonid Kučma, a far abbassare, in diretta televisiva, l'interruttore che spegne definitivamente il reattore numero 3, ultimo residuo dell'intero impianto. Oggi il reattore numero 4 è sepolto sotto un imponente sarcofago, una struttura in cemento e acciaio, costruita per limitare la contaminazione radioattiva dell’ambiente.

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I "liquidatori" impegnati per sigillare il nocciolo radioattivo

Negli anni successivi al disastro, circa 600mila persone si occuparono della rimozione dei detriti, della decontaminazione del sito e delle strade intorno. Furono i cosiddetti "liquidatori", reclutati in Bielorussia, Russia e Ucraina tra militari e civili, a cui vennero consegnati speciali certificati e una medaglia al valore. Furono loro a occuparsi anche della costruzione del "sarcofago" per sigillare il nocciolo radioattivo. Buona parte di loro (si stima 240mila persone) lavorarono a stretto contatto con il luogo dell'esplosione, esponendosi a radiazioni molto alte: alcuni liquidatori rimossero personalmente blocchi di grafite dal tetto per gettarli a braccia nel punto dove sarebbe stato seppellito il reattore. Il sarcofago venne costruito in pochi mesi, per l'urgenza di coprire 180 tonnellate di combustibile, pulviscolo radioattivo e 740mila metri cubi di macerie contaminate. Ma ogni anno, a causa della povertà dei materiali usati, nuove falle si aprivano nella struttura. Nel febbraio 2013, sotto il peso della neve, è crollata una parte del tetto del locale turbine adiacente al reattore numero 4, provocando un'immediata evacuazione degli operai. Nel 2016, scaduti i termini di sicurezza, è stata costruita una nuova struttura più sicura che ha sostituito il vecchio sarcofago.

Le conseguenze su flora e fauna

Oggi Pripyat, il centro abitato allora più vicino al luogo dell'incidente, resta una città fantasma. La flora e la fauna della zona manifestano ancora i segni delle radiazioni. Un intero bosco di pini, a causa delle radiazioni, assunse un colore rossiccio e morì, prendendo il nome di Foresta Rossa. Ma le radiazioni hanno colpito anche gli animali, causando malformazioni genetiche alle prime generazioni, ed effetti a lungo termine che si riscontrano ancora adesso: su un campione di oltre 40 specie di uccelli dell'area è stata notata una riduzione delle dimensioni dell'encefalo, verosimilmente legata a una riduzione della capacità cognitive e delle prospettive di sopravvivenza.

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Chernobyl nel conflitto del 2022

Il sito di Chernobyl è tornato al centro della cronaca nel 2022, con l’invasione russa in Ucraina. Le truppe di Mosca hanno conquistato la zona il 24 febbraio. Si è temuto per possibili nuovi incidenti a causa dell’interruzione di energia. I soldati avrebbero scavato trincee in aree a rischio e sarebbero passati dalla zona proibita della Foresta Rossa. Lì, sarebbero stati contaminati dalle polveri radioattive sollevate dal terreno. Secondo alcune fonti, "i russi toccavano scorie nucleari a mani nude” e avrebbero rubato sostanze radioattive dai laboratori di ricerca che potrebbero potenzialmente ucciderli.

 

Oggi a preoccupare è la centrale di Zaporizhzhia in Ucraina

 

Oggi a preoccupare è la centrale nucleare più grande d’Europa, quella di Zaporizhzhia, sotto il controllo della Russia, a Energodar in Ucraina, finita nelle ultime settimane ancora una volta sotto il fuoco del conflitto tra russi e ucraini. Gli ultimi attacchi sono avvenuti l’8 e il 18 aprile 2024, quando sono stati abbattuti due droni: il primo è stato annientato quando era sopra il tetto del reattore numero sei; l’altro nei pressi dell'edificio che ospita un simulatore di reattore. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha ricordato, in una nota, che qualsiasi operazione militare nei pressi di una centrale nucleare può causare una grave fuga radioattiva. Tuttavia, secondo gli esperti, i rischi di gravi incidenti in una centrale come quella di Zaporizhzhia sono estremamente limitati. Ma non si possono escludere incidenti minori. La centrale da un anno e mezzo non produce più energia per alimentare la rete elettrica dell'Ucraina, ma resta parzialmente attiva solo per gestire i dispositivi di sicurezza. 

 

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