Tregua Gaza, quali Paesi potrebbero entrare nella forza multilaterale di pace? Gli scenari
Dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, nella Striscia di Gaza cresce l’attesa per la riapertura dei valichi di frontiera e l’ingresso degli aiuti umanitari alla popolazione. Nel frattempo, il ritiro dell’Idf pone la questione della sicurezza con diversi Stati che hanno dato la disponibilità a inviare forze di peacekeeping. Di questo si è parlato nella puntata del 10 ottobre di "Numeri", approfondimento di Sky TG24
IDF, RITIRO PARZIALE DA GAZA
- Dopo il via libera da parte di Hamas e di Israele, nella mattina del 10 ottobre è entrato in vigore il cessate il fuoco nella striscia di Gaza. L’esercito israeliano (Idf) ha fatto sapere di aver completato il ritiro parziale, come stabilito dall’accordo che prevede il controllo, in una prima fase, del 53% del territorio. Della stabilizzazione in Medio Oriente ma anche degli aiuti umanitari si è parlato nella puntata del 10 ottobre di “Numeri”, approfondimento di Sky TG24
LA FUGA DA GAZA CITY
- L’annuncio del cessate il fuoco e il ritiro dell’Idf ha innescato l’avvio di un “controesodo” della popolazione con migliaia di sfollati palestinesi che si sono messi in marcia diretti soprattutto verso Gaza City e il nord della Striscia, fino ad oggi occupata per l'invasione di terra lanciata, il 15 settembre scorso, da Israele. Secondo i dati dell’Idf, nell’ultimo mese circa 870mila residenti di Gaza City hanno lasciato la città verso sud mentre solo in 100mila sono rimasti
DOVE POTREBBERO ENTRARE GLI AIUTI
- Stando al piano di pace in 20 punti, promosso dagli Stati Uniti e siglato tra le parti, nella prima fase è previsto un immediato ingresso di aiuti umanitari in favore dei civili. Nelle prossime 72 ore dovrebbero riaprire i valichi di frontiera oltre ai tre già funzionanti (Erez Ovest, Valico 147 e Kerem Shalom). Secondo il ministro della Difesa italiano Crosetto, entro lunedì potrebbe riaprire il valico di Rafah, al confine con l’Egitto. Tra le “porte” dove potrebbero passare gli aiuti c’è poi Erez est, al confine con il Libano
VERSO UNA FORZA INTERNAZIONALE
- Nel frattempo metà della Striscia resta sotto il controllo dell’esercito israeliano che ha già fatto sapere di autorizzare un ritiro completo delle truppe solo con la piena demilitarizzazione di Hamas. Nella delicata fase sul mantenimento della sicurezza a Gaza si inserisce l’impegno degli Usa alla creazione di una forza internazionale di stabilizzazione. Stando al punto 15 del piano Trump, la forza multilaterale dovrà addestrare la polizia palestinese e controllare i confini con l’intento di garantire la sicurezza di lungo termine
IPOTESI COINVOLGIMENTO STATI ARABI
- Tra i primi candidati a far parte della forza multilaterale di peacekeeping nella Striscia ci sono i Paesi arabi. Turchia, Egitto e Giordania ma anche gli Stati nell’area del Golfo come Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita potrebbero inviare contingenti al fianco degli Stati Uniti
LA RETE TRUMP-PAESI ARABI
- Del resto, il rapporto tra il presidente Usa e i leader arabi ha giocato un ruolo fondamentale per la buona riuscita del piano. Durante un bilaterale alla Casa Bianca il 29 settembre scorso, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato all’emiro del Qatar al-Thani per scusarsi del raid condotto venti giorni prima su Doha mentre erano in corso i negoziati con Hamas. Nello stesso giorno, Trump ha offerto al Qatar un elevato ombrello di protezione sulla falsa riga di quanto previsto per la Nato
IL BUSINESS DEL TYCOON TRA GOLFO E MAR ROSSO
- Diplomazia ma non solo. Dopo il ritorno alla Casa Bianca, il 20 gennaio scorso, il tycoon ha annunciato una serie di investimenti privati nei paesi del Golfo, dalla costruzione di tre nuove Trump tower a Dubai, Riad e Gedda al golf resort in Qatar. Doha da parte sua ha offerto in dono a Trump un aereo presidenziale, elementi che secondo i critici hanno indotto il leader Usa ad assumere un atteggiamento più duro nei confronti dell’alleato israeliano
IL POSSIBILE CONTRIBUTO DEI PAESI OCCIDENTALI
- Della possibile forza multilaterale di peacekeeping potrebbero far parte anche alcuni Paesi occidentali che si sono detti interessati a inviare militari per garantire la sicurezza in Medio Oriente. Oltre agli Usa, pronti a stanziare 200 marines in Israele, Italia e Spagna hanno manifestato la disponibilità a partecipare ad una missione sotto l’egida delle Nazioni Unite. Più defilata al momento è la posizione del Regno Unito con il governo Starmer che ha chiarito come “per ora non ci siano piani” di intervento
LE MISSIONI DELL'ITALIA IN MEDIO ORIENTE
- Come evidenziano dati ufficiali del ministero della Difesa, l’Italia ha una presenza militare in Medio Oriente con almeno 4 missioni. Si va dalla Multinational Force and Observers (Mfo) stanziata a Sharm-el-Sheik, nella penisola del Sinai, alla Missione Addestrativa Italiana (Miadit) dei Carabinieri a Gerico, in Cisgiordania, fino alla missione Unifil in Libano
IPOTESI RAFFORZAMENTO EUBAM A RAFAH
- Il piano di pace potrebbe dare nuova linfa all’European Union Border Assistance Mission (Eubam), missione europea che vede impegnati Carabinieri italiani, Gendarmerie francese e Guardia Civil spagnola per garantire un transito ordinato al valico di Rafah. Dall’attuale contingente, che conta al momento 7 Carabinieri, spunta l’ipotesi di un rafforzamento con l'invio di un centinaio di unità