Guerra Israele-Hamas, i possibili Paesi mediatori del conflitto: Turchia, Egitto e Qatar
Ankara, Il Cairo e Doha mantengono canali aperti con Hamas da un lato, interessi comuni e dialogo con lo Stato ebraico dall'altro. La Turchia per via dell’equilibrismo di Erdogan, l’Egitto per la sua posizione geografica e il Qatar perché ospita sia CentCom statunitense (quindi pro-Israele) sia l'ufficio politico di Hamas
- Il ruolo di possibile mediatore nel conflitto fra Israele e Hamas sembra essere limitato questi tre Stati: Turchia, Egitto e Qatar. Paesi che mantengono canali aperti con Hamas da un lato, interessi comuni e dialogo con lo Stato ebraico dall'altro
- Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è impegnato in un esercizio di equilibrismo diplomatico che però non sembra in grado di produrre i risultati sperati. Erdogan non ha mancato di parlare di "attacchi disumani" e di "reazione sproporzionata di Israele". Al contempo, ha più volte parlato di "massacro che sta diventando genocidio" e rilanciato la soluzione dei due Stati. Rispetto al passato, il presidente turco ha moderato le uscite contro lo stato ebraico concentrandosi sul lato umanitario
- Da sottolineare anche come stavolta non ci sia stata alcuna convocazione per l'ambasciatore israeliano ad Ankara: è passato infatti appena un anno dalla nomina di nuovi ambasciatori, culmine di un processo di normalizzazione durato due anni, dopo una crisi iniziata nel 2010 e sanata in nome di comuni interessi di carattere soprattutto energetico. Questi interessi hanno limitato le uscite del presidente turco, che in passato si era guadagnato il titolo di "re di Gaza"
- Va però ricordato che alcuni leader del movimento islamista si trovano in Turchia: tra questi il capo politico Ismail Haniye e il suo vice Saleh al Arouri. I rapporti con Hamas sono sempre stati buoni, ma qualcosa nelle ultime settimane sembra essersi incrinato. Il ministro degli esteri turco Hakan Fidan ha ribadito che, per Ankara, chi colpisce civili non è mai giustificato. Il presidente turco e il capo della diplomazia hanno avuto diversi colloqui con i capi di Hamas che non hanno prodotto risultati in termini negoziali
- Ankara fra l'altro non ha gradito il video con cui Haniye prega e ringrazia davanti alle immagini tv che mostrano l'attacco del 7 ottobre: si trattava di un video registrato in Turchia. Erdogan non ha preso bene neanche l'intervista rilasciata da Al Arouri ad Al Jazeera in cui, sempre dalla Turchia, il numero due di Hamas ha dichiarato che l'incursione aveva permesso di catturare "un numero di ostaggi sufficiente a chiedere la liberazione dei prigionieri politici palestinesi"
- Ankara ha quindi proposto una road map per la creazione di uno Stato palestinese imperniata sul ruolo di Paesi terzi garanti
- Il presidente egiziano Abdel Fettah Al Sisi è un nemico giurato dei Fratelli Musulmani e non si è mai speso troppo per Hamas. Una circostanza che lo favorisce agli occhi di Israele e lo legittima davanti a molti altri gruppi di resistenza palestinese in eterna polemica con Hamas. Un segnale è arrivato dallo stesso Stato ebraico, che non ha mai ridotto il flusso di gas verso l'Egitto in queste prime settimane di conflitto
- L'Egitto si ritrova coinvolto direttamente perché, oltre ad aver controllato Gaza per due decenni dopo la creazione di Israele, mantiene il controllo del valico di Rafah. Circostanze che ne fanno in termini pratici il principale candidato a sedere al tavolo di una possibile trattativa. Al Sisi vuole evitare le ripercussioni di una crisi umanitaria, circostanza che mette pressione ad Hamas. Allo stesso tempo il leader egiziano vanta rapporti abbastanza buoni con lo stato ebraico per intavolare una trattativa
- Il Qatar, attraverso la tessitura di una fine tela diplomatica, è riuscito a ospitare sul proprio suolo il comando militare americano CentCom ma anche l'ufficio politico di Hamas. Stretto alleato degli Stati Uniti, il Qatar vanta allo stesso tempo ottimi rapporti anche con l'Iran e diversi gruppi islamisti (oltre a una proficua partnership militare con la Turchia)
- Circostanze che ne privilegiano un eventuale ruolo in una mediazione tra Israele e Hamas. Una chiamata cui Doha ha risposto, confermando già nelle scorse settimane che tentativi erano in corso per giungere alla liberazione degli ostaggi israeliani in cambio di 36 palestinesi, donne e minori detenuti nelle carceri israeliane. Un dialogo su basi concrete sia con Hamas che con lo Stato ebraico