Sono passati 365 giorni dal ritorno dell’Emirato Islamico, e la vita dei cittadini è cambiata drasticamente. A pagare il prezzo più alto sono state le donne, che hanno perso due decenni di diritti e libertà. Intanto l’economia è al collasso e il cibo è sempre più difficile da reperire
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È passato un anno dalla caduta di Kabul: il 15 agosto del 2021 i Talebani, dopo un’offensiva durata mesi durante il ritiro dei contingenti Nato nel Paese, sono entrati nella capitale dell’Afghanistan e hanno restaurato l’Emirato Islamico. Così, a quasi vent’anni dall’inizio della guerra post 11 settembre, il “cimitero degli Imperi” è tornato sotto il controllo dello stesso gruppo che aveva già governato il Paese dal 1996 al 2001. E la vita degli oltre 40 milioni di afghani è cambiata drasticamente, dopo oltre 15 anni di governo repubblicano (LO SPECIALE DI SKY TG24 - LA PROGRAMMAZIONE DI SKY).
Il ritorno dell’Emirato e l’isolamento internazionale
I Talebani erano già stati al governo dell’Afghanistan dal 1996 al 2001: salirono al potere dopo il ritiro delle truppe sovietiche dal Paese - avvenuto nel 1989 - sfruttando l’instabilità politica e il conflitto civile che ne seguì. Imposero una versione estremista della legge islamica, che però ebbe vita breve: nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle e la guerra in Afghanistan, l’Emirato fu sostituto da una Repubblica. Il ritiro del contingente Nato, avvenuto a quasi vent’anni dall’invasione, ha però permesso ai Talebani di tornare al potere. E gli effetti sono stati dirompenti: la democrazia, sotto le cui insegne è cresciuta un’intera generazione di afghani, è finita. Al suo posto è rinato l’Emirato islamico. Un evento che non ha solo portato la lancetta della storia indietro di vent’anni, ma trasformato l’Afghanistan in uno stato-parìa. Nessun altro Paese riconosce infatti il governo di Kabul, mentre i legami con gli antichi alleati sono stati esposti dall’uccisione per mano americana a Kabul di Ayman Al-Zawahiri, leader di Al-Qaeda
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I diritti negati alle donne
E a pagarne il prezzo più alto sono state le donne, che hanno perso quasi tutti i diritti civili conquistati nei due decenni precedenti: le ragazze al di sopra dei 12 anni non possono andare a scuola, mentre le rigide restrizioni alla segregazione di genere nelle università hanno gravemente ridotto le possibilità per molte giovani donne di perseguire un’istruzione universitaria significativa. Molti lavori al di fuori della sanità e dell’istruzione sono proibiti, sono obbligate a coprire il volto in pubblico e devono essere accompagnate da un guardiano - uomo - per fare viaggi. Lo scorso settembre, infine, il governo talebano ha abolito il Ministero per le Donne, sostituendolo con il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio. Per raccontare questo quadro Gianluca Ales ha parlato con alcune di loro, nel servizio che potete vedere qui sotto.
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Una generazione in fuga
La perdita dei diritti civili garantiti dalla democrazia ha colpito non solo le donne, ma tutta la popolazione afghana. E tra i giovani educati, cresciuti in un Paese profondamente diverso da quello di oggi, sono tanti quelli che hanno scelto di fuggire dall’Afghanistan. Non solo attraverso il ponte aereo statunitense, che ha permesso l’evacuazione da Kabul fino alla fine di agosto dello scorso anno, ma sfruttando ogni mezzo per uscire dal Paese. Una disperazione mossa anche dalla decisione dei Talebani di prendere di mira e uccidere in anni di guerriglia i professionisti dei media, della società civile e del governo. E nonostante la “caccia alle streghe” temuta a Kabul non si sia verificata, molte persone che avevano lavorato per le forze d’occupazione e impossibilitate a lasciare l’Afghanistan hanno pagato il prezzo del loro lavoro con la vita.
Carola Dinisio ha parlato con tre afghani che sono riusciti a fuggire verso l’Italia, nel servizio che potete vedere qui sotto.
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Chiara Piotto ha invece intervistato alcune persone fuggite dall’Afghanistan verso la Francia: potete ascoltare le loro parole nel servizio qui sotto.
La crisi economica e umanitaria
Non è però solo la perdita dei diritti civili a flagellare l’Afghanistan: il ritorno al potere dei Talebani ha portato con sé anche una gravissima crisi economica. Il prodotto interno lordo del Paese è crollato di almeno un terzo, a seguito dell’isolamento internazionale dai commerci. Gli aiuti occidentali forniti al precedente regime si sono poi esauriti, mentre i Talebani faticano a trasformarsi da una forza armata di ribelli in un governo efficiente. “Stanno perdendo il supporto interno, e ne sono consapevoli”, ha detto un analista afghano al Guardian. E alla crisi economica se ne aggiunge una umanitaria: milioni di cittadini sono alle prese con la mancanza di cibo, alimentata dalla perdita di potere d’acquisto, la mancanza di denaro e l’aumento del costo degli alimenti. E la perdita della libertà di stampa - con molti media chiusi e giornalisti che hanno lasciato il Paese - ha privato gli afghani anche del diritto all’informazione.
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Un Paese affamato
Delle crisi sopra citate, tuttavia, quella che più duramente sta colpendo la cittadinanza è l’assenza di cibo. Dalla presa del potere da parte dei Talebani il costo del grano è aumentato di quasi il 50%. L’Afghanistan è alle prese con una crisi alimentare di dimensioni gigantesche: 23 milioni di persone hanno avuto problemi negli ultimi mesi a reperire il cibo, e tra questi ci sono 14 milioni di bambini. E a rendere ancora più difficile uno scenario già estremo, c’è anche la siccità: è la peggiore che abbia mai colpito il Paese, una crisi climatica che sta rendendo ancora più grave quella alimentare.
Gianluca Ales ha raccontato cosa sta accadendo in Afghanistan, nel servizio che potete vedere qui sotto.
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Tra le fonti di questo articolo ci sono:
Human Rights Watch - Amnesty International - Save The Children - The Guardian