Recep Tayyip Erdogan, da uomo del popolo a sultano della Turchia che guarda a Oriente

Mondo

di Tiziana Prezzo, corrispondente da Londra

©IPA/Fotogramma

A inizio degli anni Duemila aveva sedotto l'Occidente presentandosi come un musulmano moderato capace di modernizzare il Paese della Mezzaluna. Ora è considerato un autocrate che guida il Paese con il pugno di ferro

I dotati di buona memoria ricordano ancora che Recep Tayyip Erdogan, classe 1954, da sindaco di Istanbul e perfino una volta diventato primo ministro aveva continuato a vivere con la sua numerosa famiglia in un'abitazione tutto sommato modesta di Uskudar, quartiere conservatore e tradizionalista sul versante asiatico di Istanbul.  Cosa che, inevitabilmente, aveva contribuito a farlo considerare dalla gente un uomo del popolo, ancor più di quando giocava a calcio nel Kasimpasa Spor. Vent'anni dopo si mormora che la sua attuale abitazione sia collegata attraverso tunnel sotterranei alla più grande moschea di tutta la Turchia, quella che l'attuale presidente ha fatto costruire ad est del ponte di Ataturk e che con i suoi sei minareti domina lo skyline asiatico di Istanbul. Ad Ankara Erdogan ha invece inaugurato nel 2014 un nuovo palazzo presidenziale che causò non poche polemiche: 300 stanze e 60 milioni di euro spesi in un momento in cui la moneta nazionale aveva già ricominciato a svalutarsi e l'economia aveva rallentato la sua crescita. Questa la parabola di un capo di Stato al quale sempre più spesso la stampa (estera, perché quella interna è stata praticamente tutta silenziata) si rivolge con l'appellativo di Sultano.

Il comportamento contraddittorio dell'Europa

E dire che proprio le democrazie occidentali - le stesse che rimasero in un imbarazzato silenzio la notte del tentativo di colpo di Stato del 2016 - a inizio anni Duemila videro nel fondatore del partito Giustizia e Sviluppo (AKP) l'uomo che avrebbe potuto rendere la Turchia davvero democratica e portare il Paese all'interno dell'Unione europea. Inutile gli sforzi dei kemalisti di mostrare le foto di un giovane Erdogan apparecchiato con i talebani o ricordare che era finito in carcere per aver recitato una poesia in cui i minareti erano paragonati a baionette. La Turchia ultralaica perennemente in lutto per la morte del padre della patria Mustafa Kemal aveva messo in guardia sull'"agenda nascosta" di questo musulmano che, prima profanazione della Mezzaluna secolare, si presentava nelle occasioni pubbliche con una moglie velata al fianco. L'Europa, con l'eccezione di Francia e Germania che avevano motivazioni utilitaristiche, preferì non sentire. Fu invece costretta ad ascoltare bene le condizioni che, con lo scoppio della guerra siriana, Erdogan dettò al vecchio continente per farsi carico di circa 4 milioni di profughi siriani che l'Ue non voleva all'interno dei propri confini.

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Silenziata ogni forma di dissenso

In venti anni al potere Erdogan ha spinto ai margini l'anima laica di un Paese spaccato a metà tra due fazioni contrapposte e mai in grado di parlarsi. L'ha picconata prima a piccoli passi consentendo, ad esempio, l'introduzione del velo nelle università e negli uffici pubblici, parificando le scuole confessionali a quelle pubbliche, mettendo tasse elevatissime sugli alcolici; per poi ad arrivare a due riforme costituzionali che di fatto lo rendono il padrone incontrastato della Turchia. In mezzo il drammatico episodio spartiacque del tentato colpo di Stato e il giro di vite senza pari che ne è seguito. Erdogan ha messo in galera, ai margini della società o ha costretto alla fuga decine di migliaia di persone, ree, nella stragrande maggioranza dei casi, solo di aver manifestato il proprio dissenso: insegnanti, docenti universitari, intellettuali. Ha epurato polizia, magistratura, forze armate di tutte quelle persone sospettate di aver simpatie per Fetullah Gulen, predicatore e politologo molto potente - tanto da essere costretto alla fuga negli Usa decenni orsono dalla Turchia utralaica - e fino al 2014 amico fraterno di Erdogan prima di diventarne il più grande e temuto nemico, accusato ora, dopo i fatti del 2016, di terrorismo. Il Paese della Mezzaluna è tra le nazioni al mondo con il più alto numero di giornalisti in prigione.

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