
Tax Freedom Day 2023, da oggi gli italiani smettono di lavorare per pagare le tasse
Si tratta di un giorno simbolico che varia di volta in volta ogni anno, nel caso in cui ipoteticamente tutti decidessero di "anticipare al fisco i soldi che lo stesso ci chiede nel corso di questo 2023" a partire dal 1° gennaio, spiega in una nota la Cgia di Mestre. Nel 2022, infatti, solo la Francia e il Belgio hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro: in Italia è pari al 43,5%

Gli italiani festeggiano oggi il Tax Freedom Day, ovvero la giornata in cui i contribuenti dovrebbero finire (almeno virtualmente) di lavorare al solo scopo di pagare le tasse di tutto il 2023. Si tratta ovviamente di un giorno simbolico, nell'ipotesi in cui tutti decidessero di "anticipare al fisco i soldi che lo stesso ci chiede nel corso di questo 2023", spiega in una nota la Cgia di Mestre.
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Secondo la Cgia di Mestre, "dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno, nei quali in linea teorica abbiamo lavorato per adempiere alle scadenze di pagamento previste dal fisco, i restanti 207 giorni che ci separano dal 31 dicembre lavoreremo per noi stessi".
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Come si è giunti a stabilire che l’8 giugno è il “giorno di liberazione fiscale” del 2023? La stima del Pil nazionale prevista quest’anno (2.018.045 milioni di euro) è stata suddivisa per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero (5.528,9 milioni di euro).Poi sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno (874.132 milioni di euro) e sono state rapportate al Pil giornaliero.
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Il risultato di queste valutazioni in merito alle tasse versate dai contribuenti allo Stato nel corso di tutto l'anno ha consentito all’Ufficio studi della Cgia di calcolare il tax freedom day del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno, ovvero l’8 giugno.

Il “giorno di liberazione fiscale” non costituisce un principio assoluto, ma un esercizio teorico che dimostra empiricamente, osserva la Cgia, quanto sia eccessivo il carico fiscale che grava sugli italiani. Una specificità che emerge in misura altrettanto evidente anche quando confrontiamo la nostra pressione fiscale con quella dei paesi UE.

Nel 2022, infatti, solo la Francia e il Belgio hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro. Se a Parigi la pressione fiscale era al 47,7 per cento del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,1 per cento. Da noi, invece, ha toccato la soglia record del 43,5 per cento. Tra i 27 dell’UE, l’Italia si è “piazzata” al terzo posto. La Germania, invece, si è posizionata al 9° posto con una pressione fiscale del 41,9 per cento, mentre la Spagna ha raggiunto il 12° posto con il 38,5 per cento. La media dei Paesi dell’Area dell’Euro è stata del 41,9 per cento.

La Cgia precisa nella nota che "quello messo a punto dall’Ufficio studi altro non è che un puro caso di scuola, tuttavia il risultato che emerge da questa analisi ci permette di confermare, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto il nostro fisco sia eccessivo, ingiusto e farraginoso", anche considerando l'evoluzione della pressione fiscale nel corso degli anni.

Dal 1995 in poi, la data del “giorno di liberazione fiscale” meno in là nel calendario si è verificata nel 2005. In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “bastò” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco.
Osservando sempre il calendario del Tax Freedom Day degli anni scorsi, quello più in “ritardo“ si è registrato nel 2022: in quell'occasione la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è “scoccato” il 9 giugno. Una data distante poche ore da quella del 2023.
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Risulta corretto segnalare che il picco record di pressione fiscale toccato l’anno scorso non è ascrivibile ad un aumento del prelievo imposto a famiglie e imprese, ma va ricondotto a una serie di altri fattori che si sono concentrati nel 2022. In particolar modo hanno inciso l’impennata del costo dei prodotti energetici importati e il deciso aumento dell’inflazione, che hanno spinto all’insù il gettito dell’Iva.
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Oltre ai fattori già citati, nel 2022 ha inciso anche l’incremento dell’occupazione che ha contribuito ad aumentare le imposte dirette e i contributi previdenziali. Allo stesso tempo però va considerato che – nel rispetto dei dettami europei relativi alla contabilità pubblica – le risorse per finanziare i bonus edilizi e i crediti di imposta, questi ultimi introdotti per mitigare il caro bollette, sono state classificate come maggiore spesa pubblica e non come minori entrate.
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