Dal 19 al 21 luglio del 2001 migliaia di giovani si raccolsero a Genova per manifestare contro i Grandi della Terra. La risposta delle autorità fu un giro di vite che blindò la città. La morte di Giuliani e gli orrori della Diaz e di Bolzaneto
Tutto il mondo guarda a Genova nel luglio del 2001. Nel capoluogo ligure, che dovrà ospitare la riunione dei "Grandi della Terra", convergono tutte le istanze di cambiamento che in quel periodo hanno trovato un palcoscenico nelle piazze globali. E, per certi versi, è quasi un paradosso che il movimento che - proprio grazie anche alle nuove tecnologie - sta trascinando centinaia di migliaia di ragazzi, si chiami "No Global" (LO SPECIALE SUL G8 DI GENOVA - IL LONGFORM).
Le premesse
Perché l'unico collante che unisce realtà lontanissime tra loro come lo scoutismo, l'ambientalismo, i movimenti solidaristici cattolici ai centri sociali, il sindacalismo di base alla multiforme galassia degli anarco-insurrezionalisti è la critica radicale al neo-liberismo. Eguaglianza sociale, ambiente, diritti civili, critica economica e politica trovano spazio e visibilità durante i summit internazionali (MUSICA RIBELLE, IL PODCAST).
C'è però una deriva violenta. Prima di Genova ci sono stati già scontri in altre occasioni. Il caso più clamoroso è quello di Seattle, il 30 novembre del '99, alla conferenza dell'OMC. Per questo i No Global sono anche chiamati "Popolo di Seattle". Si ripetono violenze e incidenti a Davos, il 27 gennaio del 2001, durante il Global Forum a Napoli il 17 marzo e, ultimo in ordine di tempo, il 15 giugno a Göteborg in occasione del vertice Europeo. Queste le premesse.
Sul fronte politico, l'11 giugno, si è da poco insediato il governo Berlusconi. Il presidente del Consiglio, e il suo vice, Gianfranco Fini, rappresentano uno dei bersagli principali delle critiche del movimento. Non c'è alcun dialogo tra le parti. Alcuni tentativi di mediazione tra manifestanti e istituzioni, promossi dal ministro degli Esteri Renato Ruggiero, finiscono in un nulla di fatto. L'impressione è che nessuna delle due parti voglia davvero trovare un accordo.
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Genova, un inferno per la sicurezza
E poi c'è Genova. Il capoluogo ligure è un inferno per la sicurezza. I carrugi stretti che dal porto si arrampicano verso il centro della città sono una zona incontrollabile, se conquistata dai manifestanti. I viali che costeggiano il mare sono stretti e senza vie d'uscita. Il neogoverno italiano critica aspramente la scelta della città, ma ormai il treno dell'organizzazione è partito. Vengono dunque cambiati i piani di sicurezza: nessuna zona cuscinetto. Solo una zona rossa, invalicabile, protetta da cancellate e accessi presidiati da cavalli di frisia e blindati. Batterie antimissili all'aeroporto, bloccato l'accesso al porto, container lungo i percorsi delle manifestazioni per impedire che i dimostranti si disperdano nel dedalo di vie della città, accessi limitati alle zone interdette.
La Galassia dei manifestanti risponde che violerà comunque la zona rossa, che non accetta limitazioni e tutto il movimento No Global si prepara a sbarcare in forze nel capoluogo ligure. È con queste premesse che, tra il 19 e il 21 luglio del 2001, Genova si prepara a quelli che saranno tra i giorni più difficili della città e dell'intera nazione.
Quella che si respira è tensione allo stato puro. Informative dei servizi, indiscrezioni stampa che descrivono fantasiosi - e falsi - piani di attacco dei manifestanti alimentano un clima di paura e rabbia (LE PAROLE CHIAVE DI QUEL G8).
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Il primo giorno nessuno scontro, poi il caos
Nonostante ciò, il 19 luglio, durante la manifestazione per i diritti dei migranti e degli extracomunitari, non si registrano episodi di particolare violenza. Il corteo vede la partecipazione di 50mila persone. Ma all'altezza della Questura, un gruppo di ragazzi vestiti di nero lancia bottiglie contro le forze dell'ordine. Sono gli stessi manifestanti a bloccare questo tentativo di attacco.
Il caos si scatena il giorno successivo, il 20 luglio, quando è prevista una lunga serie di cortei e iniziative organizzate da gran parte della galassia No Global. Si va dalla marcia dei lavoratori in sciopero, a un altro della rete Lilliput, all'iniziativa dei Cobas cui aderisce parte delle cosiddette "tute bianche" che sono intenzionate a violare la zona rossa. Ci sono poi i cortei di Arci, Rifondazione Comunista, Fiom-Cgil, Attac France, Greenpeace.
Nel primo pomeriggio si segnalano i primi scontri. Alla stazione Brignole, poi a Marassi, allo stadio Ferraris, di fronte al carcere. Le scene peggiori però si vedranno poco dopo, tra via Tolemaide e piazza Giusti, dove le forze dell'ordine, nel tentativo di contrastare i manifestanti più violenti, caricano per sbaglio il corteo pacifico. Sono le immagini che faranno il giro del mondo, con polizia e carabinieri che caricano manifestanti inermi e indifesi. Il peggio, però, deve ancora accadere.
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La morte di Carlo Giuliani
Nella confusione che segue alle violenze, un Defender dei carabinieri finisce bloccato di fronte a dei cassonetti disposti dai manifestanti per rendere il percorso dei blindati più difficoltoso. Lo slargo, a metà strada tra via Caffa, è tra via Tolemaide e la vicina piazza Nicolò Tommaseo. Si chiama piazza Alimonda.
Qui un gruppo di manifestanti circonda il mezzo, lo bersaglia di sassi mentre con delle pertiche sfonda i finestrini. Al suo interno il carabiniere Mario Placanica apre il fuoco e colpisce un ragazzo che sta per lanciare un estintore. Il proiettile, che entra all'altezza dello zigomo sinistro, uccide sul colpo Carlo Giuliani. Gli scontri si succedono per tutto il pomeriggio, con i famigerati black bloc che imperversano apparentemente indisturbati per la città, mentre le forze dell'ordine caricano indiscriminatamente - tra gli altri - i manifestanti della rete Lilliput, i Beati Costruttori di Pace, Legambiente. Gli episodi più clamorosi avvengono a piazza Manin e via Assarotti, dove vengono pestati diversi giornalisti e operatori tv.
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Le violenze del 21 luglio
Nonostante gli inviti a disdire le manifestazioni, a seguito della morte di Carlo Giuliani il movimento conferma tutte le iniziative per il giorno successivo, il 21 luglio. Il corteo dovrebbe sfilare lungo corso Italia e concludersi a Marassi. Fin dal mattino viene segnalata la presenza di cosiddetti black bloc, ma le forze dell’ordine non intervengono, nonostante le numerose telefonate dei cittadini. Quando, nel pomeriggio, la manifestazione prende il via ci vuole poco perché la situazione degeneri: alcune frange si staccano e attaccano le forze dell'ordine, il serpente di manifestanti - tra le 250 e le 300mila persone - si divide in due tronconi. Alcuni di loro cercano di respingere i black bloc, ma a quel punto è iniziata la guerriglia urbana. Macchine rovesciate, cassonetti dati alle fiamme, il lancio dei lacrimogeni e le cariche indiscriminate delle forze dell'ordine fanno precipitare la situazione in un caos incontrollabile. Manifestanti pacifici e giornalisti vengono travolti mentre i genovesi aprono i portoni per offrire riparo alle centinaia di persone soffocate dai gas e dal fumo dei roghi.
Dal punto di vista della sicurezza, il G8 si rivela una disfatta. Nessun controllo e contenimento dei più facinorosi, la città è in fiamme, migliaia di manifestanti pacifici subiscono violenze ingiustificate, l'immagine dell'Italia, a livello internazionale, è compromessa. Purtroppo, però, il girone infernale non è finito.
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L'irruzione alla Diaz e Bolzaneto
È sera quando i cellulari dei giornalisti, avvisati dalla stessa polizia, cominciano a squillare: la notizia è che è in corso una perquisizione nella sede del Genoa Social Forum, dove avrebbero trovato riparo i black bloc. Le troupe convergono alla scuola Diaz, dove è stato allestito il media center. Ed è sotto gli occhi sbigottiti e gli obiettivi della stampa internazionale che sfilano decine di barelle, ragazzi dai volti tumefatti, portati a braccio dentro i mezzi delle forze dell'ordine. I 93 arrestati, alcuni con gravi lesioni a seguito delle percosse, vengono tutti rilasciati.
Pochi giorni dopo verranno alla luce gli orrori compiuti alla caserma di Bolzaneto sui fermati di quei giorni. Il 7 aprile del 2015 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato - all'unanimità - che in quei giorni sono state compiute gravi violazioni all'articolo 3 sul divieto di tortura e di atti inumani o degradanti (STRASBURGO: I RICORSI DEI POLIZIOTTI DELLA DIAZ SONO "INAMMISSIBILI")