Dal "popolo di Seattle" al G8 di Genova: no-global, metamorfosi di un movimento. VIDEO
CronacaIl 30 novembre 1999, nella città americana, in occasione della Terza sessione ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, migliaia di persone si sono riversate nelle piazze contro il potere globalizzato e capitalista. La straripante protesta ha impedito lo svolgimento dei negoziati. Ma cosa è rimasto oggi di questo fenomeno sociale e politico che ha segnato gli ultimi 20 anni di storia?
Siamo a Seattle. È il 30 novembre 1999. La città ospita i lavori della Terza sessione ministeriale del WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio. In agenda, l'abbattimento delle barriere doganali per le merci provenienti dai Paesi ricchi. Migliaia di persone si riversano nelle piazze contro il potere globalizzato e capitalista: la protesta è possente, straripante e impedisce lo svolgimento dei negoziati. Nasce in quel giorno un movimento internazionale composto da organizzazioni non governative, gruppi pacifisti, sindacati, associazioni di consumatori, gente comune. L'obiettivo è chiaro: contrastare la mondializzazione senza regole. Più in là: chiedere la remissione del debito dei Paesi poveri, controlli sullo strapotere delle multinazionali, opposizione al transgenico (LO SPECIALE SUL G8 DI GENOVA).
Il "popolo di Seattle"
Nasce il "popolo di Seattle", espressione usata negli anni successivi per analoghe manifestazioni contro il potere e i suoi simboli: di città in città, in mezzo mondo, le saracinesche delle banche divelte, le vetrine dei fast food in frantumi. Accade a Washington, un anno dopo, aprile 2000, in occasione del G7. A settembre stessa musica a Praga per l'incontro del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Il mese dopo c'è il G20 a Montreal: ancora proteste, scontri con la polizia, così come per il Consiglio europeo del dicembre 2000 a Nizza. Lo stesso accade a Davos, nel gennaio 2001, al Forum dell'economia mondiale. Insomma, un bastone di ferro inserito negli ingranaggi della globalizzazione economico-finanziaria e della liberalizzazione commerciale (MUSICA RIBELLE, IL PODCAST).
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Il 2001, l'anno spartiacque
Ma il 2001 è anche l'anno spartiacque. Perché è l'anno di Genova. Il movimento no-global è al suo apice. La sua forza indiscussa, limpida la sua capacità di contaminare e contagiare, di essere mina vagante nell'ordine sociale e politico nato dalle ceneri del Muro di Berlino e della Guerra Fredda. Per questa ragione Genova segna un cambio di paradigma. Quello che cambia, nel luglio del 2001, è il soggetto che rappresenta il comando, il potere, la sovranità: che non è più solamente lo Stato, ma è la governance globale che non tollera più pericolose interferenze e si traduce nell'azione della polizia. Azione certamente favorita dalla presenza virulenta dei black bloc, frangia feroce e senza scrupoli che a Genova fomentò un clima già torrido (IL RACCONTO - LE PAROLE CHIAVE DI QUEL G8). Le violenze nella scuola Diaz e la morte di Carlo Giuliani fanno calare il sipario sulla lunga stagione no-global (IL LONGFORM).
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Il tramonto del movimento
Al suo tramonto contribuiscono in modo netto gli attentati alle Torri Gemelle e la decisione dell'amministrazione Bush di rispondere con la guerra alla profanazione del Grande Paese. Un fatto storico che spinge i movimenti a convogliare l'esperienza di piazza e di protesta accumulata negli anni precedenti nella costruzione di una solida mobilitazione per la pace. Vengono così ridisegnati gli schemi interpretativi di quella protesta. E la forma stessa del movimento no-global. Ed è proprio la pace, due anni dopo, il 15 febbraio 2003, a portare in ogni angolo del pianeta 110 milioni di persone a manifestare "Contro la guerra, senza se e senza ma". Un movimento così possente che spinge il New York Times a definirlo "la seconda potenza mondiale". Ma negli anni la speranza coltivata dai no-global ha perso forza, è diventata residuale, imprecisa, lontana. Un ricordo o quasi. Ne restano idee bellissime e cicatrici. E il sogno di un mondo semplicemente migliore.