Il G8 di Genova, vent'anni dopo
a cura di Francesca Azzurra Conidi e Andrea Ferrario
Luglio, 2001. A Genova si riuniscono i capi di governo dei maggiori Paesi industrializzati. Sono attese decine di migliaia di persone da tutto il mondo.
Il movimento no-global è al suo apice, chiede la cancellazione del debito dei Paesi poveri e si batte contro la globalizzazione senza regole.
È "il popolo di Seattle", che crede in "un altro mondo possibile" e riunisce persone molto diverse tra loro: pacifisti e associazioni non governative, sindacati e studenti, il mondo del volontariato e i centri sociali.
Da qualche tempo però, le manifestazioni no-global sono spesso caratterizzate da incidenti, vetrine distrutte, assalti a banche e fast food. Accanto ai manifestanti pacifici sfilano infatti i black bloc, frangia violenta che a Genova fomenta un clima già incandescente.
Fanno sapere che vogliono raggiungere i Grandi della Terra, e così a protezione dei leader del G8 viene creata la zona rossa, presidiata centinaia di agenti: poliziotti, carabinieri, finanzieri.
La città è sotto assedio, la tensione è evidente e Genova diventa il terreno di tre giorni di violenze e caos che passeranno alla memoria come una pagina tragica della nostra storia (GLI APPROFONDIMENTI).
Il popolo di Seattle
Sono mesi che la città di Genova si prepara a ospitare il G8. Due anni di lavori, costruzioni, strutture nuove per impressionare gli ospiti del vertice: George W. Bush, Vladimir Putin, Jacques Chirac, Gerhard Schröder ma anche Tony Blair, Jean Chrétien e Junichiro Koizumi. La riunione dei capi di governo si tiene da venerdì 20 luglio a domenica 22 luglio 2001. Nelle piazze e per le strade, si attendono i manifestanti del movimento no-global, chiamato anche il "popolo di Seattle". Un modo per ricordare le prime manifestazioni nel 1999 contro il WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio: il movimento contesta i potenti del mondo, il potere globalizzato e capitalista. Il popolo di Seattle vuole che si discuta di abolizione del debito per i Paesi in via di sviluppo e di lotta all'Aids, dello strapotere delle multinazionali e di parità di genere. Le proteste attraversano il confine degli Stati Uniti per approdare in Europa, a Praga, Nizza e Napoli, il 16 marzo 2001, e non ultima Göteborg, il 15 giugno 2001.
In tutte queste manifestazioni si verificano incidenti, assalti alle vetrine delle banche e dei fast food, scontri con la polizia. I black block impongono con la violenza la loro presenza. A Napoli e Göteborg si respira un clima diverso. Più teso e violento.
Genova blindata
Già all'antivigilia del G8 la città viene blindata, svuotata dei suoi abitanti. I negozi, ristoranti e bar del centro sono chiusi, così come le stazioni ferroviarie, l'aeroporto e il porto.
Nelle strade vengono posizionati severi posti di blocco per identificare chiunque volesse varcare, in entrata, i confini della città. Le misure di sicurezza sono imponenti e si articolano nel presidio di due zone: la gialla, ad accesso limitato, e la zona rossa chiamata anche "Fortezza Genova", severamente riservata e impossibile da superare se non attraverso permessi speciali.
Per evitare incidenti o intrusioni dei manifestanti, vengono montate inferriate per dividere chi è all'interno della zona rossa dal resto della città.
Anche i tombini delle fognature sono sigillati per scongiurare possibili accessi sotterranei.
20 luglio 2001
Il giorno prima, le strade della città sono invase dal corteo dei Migranti, un gruppo di 50mila manifestanti di ogni nazionalità che vuole esprimere solidarietà al popolo degli ultimi. Sfilano da piazza Sarzano a suon di tamburi e musica. Chi con le mani dipinte di bianco, chi portando con sé valigie di cartone per ricordare che anche l'Italia è paese di emigrazione. Tutto si svolge senza grandi tensioni. Eppure, a meno di 24 ore di distanza, quel clima disteso di festa e il sogno di "un altro mondo possibile" diventa già un ricordo.
Il Genoa Social Forum ha dato via a una serie di piazze tematiche di contestazione pacifica del G8, ma i black bloc, che dalla mattina si armano di pietre e pezzi di ferro sradicati dalle aiuole di Genova, cominciano a provocare incidenti.
I primi scontri avvengono alla stazione di Brignole dove, con sassi e molotov, si scagliano contro un cordone di carabinieri, altri ancora a Forte San Giuliano. In piazza Giusti, atti di vandalismo.
Tra negozi distrutti e macchine incendiate, i disordini proseguono anche al carcere di Marassi, che alle 14.20 del 20 luglio viene assaltato. Per fermare i black bloc la questura invia circa 300 carabinieri a piedi, che si dirigono verso la casa circondariale.
Genova è ormai teatro di guerriglia.
Nel frattempo, da corso Gastaldi sta scendendo verso via Tolemaide il corteo, pacifico, delle Tute Bianche. Le indossano perché con quel colore vogliono evocare il loro essere trasparenti come fantasmi alle istituzioni. In quella manifestazione, però, hanno deciso di non mettere il loro segno distintivo. Quel giorno sono come gli altri, come la gente comune che cammina con loro.
Piazza Alimonda e la morte di Carlo Giuliani
L'assetto delle forze dell'ordine che si sta dirigendo verso il carcere di Marassi si posiziona sulla strada del corteo autorizzato e lo carica con lacrimogeni e manganelli. Molti manifestanti cercano riparo nelle strade laterali, ma rimangono comunque coinvolti. Altri invece si dirigono verso piazza Alimonda.
Qui Carlo Giuliani, 23 anni, viene ucciso da un colpo di pistola esploso dall'arma del carabiniere Mario Placanica. Accusato poi di omicidio, quest’ultimo verrà prosciolto durante l’udienza preliminare e la sua posizione archiviata come legittima difesa. In quegli stessi giorni saranno più di 300 i manifestanti arrestati per devastazione, saccheggio e resistenza. Di questi, solo 25 andranno a processo e 10 verranno condannati. Gli altri saranno tutti rilasciati a poche ore dal fermo.
La scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto
Una vecchia scuola elementare con un grande giardino intorno e un cancello in ferro a delimitarne il perimetro. L'istituto Armando Diaz è un edificio che il comune di Genova ha dato in gestione al Genoa Social Forum come dormitorio in occasione del G8. Ed è anche uno dei centri del coordinamento del movimento e di Indymedia, da partono le notizie diffuse in rete dagli attivisti.
Dentro è pieno di sacchi a pelo, zaini, qualche provvista per fare colazione prima di ripartire l’indomani. In molti già dormono, in tanti si apprestano a farlo quando, intorno alle 23 del 20 luglio, a summit ormai concluso, le forze dell’ordine fanno irruzione.
Scudi di plexiglass, caschi e manganelli irrompono nella scuola. Mark Covell, un giornalista inglese, la prima persona che i poliziotti incontrano fuori dall'edificio, viene percosso fino a entrare in coma.
Una perquisizione durata due ore, nella quale le forze dell'ordine colpiscono con violenza i manifestanti.
Dalla scuola, alla fine del raid, esce una fila ininterrotta di barelle. Su un totale di 93 arrestati, si contano 61 feriti, tre dei quali in prognosi riservata e uno in coma. Le immagini di quella notte fanno il giro del mondo.
Per la cosiddetta "macelleria messicana" avvenuta all'interno della scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto, il centro di identificazione dove furono poi portati i manifestanti, si celebrano due processi paralleli. Dei 346 poliziotti che quella notte fanno irruzione nell'istituto scolastico, mentre 149 poliziotti circondano la scuola, vanno a giudizio in 28. La maggior parte dei procedimenti vengono infatti archiviati per l'impossibilità di identificare gli agenti responsabili. Il 5 luglio 2012 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva solo la condanna per falso aggravato per 25 poliziotti presenti nel blitz, compresi diversi alti funzionari del Viminale poi decaduti dai loro incarichi a causa dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nessuno viene condannato per lesioni gravi, il reato è ormai prescritto. Non viene contestato a nessuno nemmeno il reato di tortura, perché ai tempi non esisteva. Entrerà nell'ordinamento italiano solo nel 2017.
Per le violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto vanno a processo anche 45 imputati con un totale di 120 capi d’accusa. Il 14 giugno 2013 la Corte di Cassazione emette 7 condanne e 4 assoluzioni, mentre per tutti gli altri imputati i reati vengono dichiarati estinti per prescrizione. Scontate le loro pene molti funzionari hanno poi ripreso le loro carriere raggiungendo livelli apicali. Molti di loro oggi sono questori, capi dipartimento o prefetti. Nel 2017, la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per ben due volte per le azioni messe in atto dalle forze dell'ordine e per non aver condotto un’indagine efficace in merito durante le giornate di Genova.