Rigopiano, fra i resti dell'hotel a quattro anni dalla tragedia

Cronaca
Nella valanga che colpì il resort di Rigopiano il 18 gennaio 2017 morirono 29 persone (archivio Ansa)

Era il 18 gennaio 2017 quando il resort ai piedi del Gran Sasso fu travolto e distrutto da una slavina di neve. Nell'incidente morirono 29 persone. Nel dicembre 2019 le accuse per 22 indagati vengono archiviate, ma restano aperte le ipotesi di depistaggio

A quattro anni di distanza dalla tragedia di Rigopiano rimangono tanti interrogativi e una sola certezza: le 29 vittime della slavina del 18 gennaio 2017.

La slavina sull'Hotel Rigopiano

Rigopiano è una località del comune abruzzese di Farindola (Pescara) che, nel gennaio di quattro anni fa, venne colpita dall'intensa ondata di nevicate abbattutesi su tutta l'Italia. Le strade bloccate dalla neve e l'interruzione dell'energia elettrica avevano isolato la zona, compreso l'albergo Rigopiano-Gran Sasso resort, situato a 1.200 metri d'altezza. Il 18 gennaio, dopo una serie di scosse di terremoto di magnitudo 5.0, una slavina di neve si distaccò dal massiccio orientale del Gran Sasso. Dopo aver raggiunto valle, l'enorme massa da 120 tonnellate si abbattè, tra le 16:30 e le 16:50, sul resort a quattro stelle, sfondandone le pareti e sommergendolo quasi completamente.

L'allarme e il ritardo dei soccorsi

Al momento dei fatti, la struttura alberghiera ospitava 40 persone: 28 clienti, tra cui 4 bambini, e 12 membri dello staff. Già dal giorno prima, isolati dalle nevicate violente che si erano abbattute sull'albergo, molti degli ospiti avevano chiesto di lasciare la struttura. Il proprietario, Roberto Del Rosso, fu il primo a inviare diverse richieste d'aiuto per liberare la strada intorno al resort. Ma gli appelli rimasero senza risposta: lo spazzaneve, che in un primo momento avrebbe dovuto presentarsi alle 15, rinviò fino alle 19. Non arrivò mai, perché dopo le 16:50 la valanga aveva già travolto la struttura. La richiesta d'aiuto venne ripetuta fino alle 13 del 18 gennaio - poche ore prima della tragedia - dall'amministratore dell'hotel, Bruno Di Tommaso, che scrisse una mail alla Provincia, alla prefettura, alla polizia provinciale e al Comune di Farindola per avvisare che "la situazione è davvero preoccupante". "I clienti – scriveva Di Tommaso – sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all'aperto". Anche questo sollecito non riceverà mai risposta. Così come le prime telefonate partite dall'hotel subito dopo la valanga.

Le telefonate ignorate

La ricostruzione delle prime telefonate d'aiuto rivela, fin da subito, una serie di equivoci che, in quei concitati momenti, di fatto portarono la prefettura a ipotizzare un falso allarme. La prima telefonata è delle 17:08: Giampiero Parete, un cuoco ospite della struttura, illeso perché nel parcheggio esterno dell'albergo, lancia l'allarme al 118: dice che c'è stata una valanga e che l'albergo è crollato. Alle 17:10 la prefettura chiama l'hotel, ma nessuno risponde. Alle 17:40 una funzionaria della prefettura contatta il direttore dell'hotel, Bruno Di Tommaso, che però è a Pescara e dice di non sapere nulla, tranquillizzando la donna, spiegando che "l'hotel è a posto (e che) non gli risulta che sia successo niente". Alle 18.03 Parete chiama il suo titolare, Quintino Marcella, e lo informa della situazione. Marcella fa diverse telefonate al 112 e al 113. Alle 18:08 e alle 18:20 Marcella parla per due volte con la prefettura di Pescara, ma in entrambi i casi la funzionaria, che già aveva contattato Di Tommaso, liquida la richiesta d'aiuto come un falso allarme. Solo alle 18:57, quando sono passate più di due ore dal crollo, un volontario della protezione civile crede al racconto di Marcella e la macchina dei soccorsi si attiva.

La macchina dei soccorsi

I soccorsi partono da Pescara (a 32 chilometri di distanza) e da Penne (9 chilometri) tra le 19:30 e le 20, circa due ore e mezza dopo il crollo. Sono una trentina di uomini del soccorso alpino, della Guardia di Finanza, e dei vigili del fuoco. Le vie di comunicazione verso l'hotel sono interrotte e la turbina usata per spazzare la strada impiega più tempo del previsto. I soccorritori decidono di raggiungere il luogo dell'incidente con le ciaspole e arrivano nei pressi dell'hotel alle prime luci del 19 gennaio, mentre gli uomini con i mezzi di soccorso saranno sul posto solamente intorno a mezzogiorno. Due persone, Giampiero Parete e il tuttofare dell'hotel, Fabio Salzetta, che al momento della slavina era all'esterno dell'albergo, vengono recuperate dagli uomini del soccorso alpino. Il resto delle persone verranno tirate fuori dall'hotel nelle ore successive.

Il bilancio: 11 sopravvissuti e 29 vittime

Dopo ore di lavoro ininterrotto, le ricerche dei soccorritori iniziano a dare i primi risultati. Il 20 gennaio, i vigili del fuoco, estraggono vive nove persone: la moglie e il figlio di Parete, Adriana Vranceanu e il piccolo Gianfilippo, oltre che tre bambini, fra cui l'altra figlia di Parete, Ludovica, e poi Edoardo Di Carlo e Samuel Di Michelangelo. Vengono poi ritrovate vive anche altre quattro persone. Si tratta di Vincenzo Forti, Francesca Bronzi, Giorgia Galassi e Giampaolo Matrone, quest'ultimo rimasto intrappolato sotto la neve per 62 ore. Insieme a loro vengono trovati anche i cadaveri. Le operazioni di recupero terminano il 25 gennaio, cioè sette giorni dopo la slavina. Il bilancio ufficiale è di 29 morti e 11 sopravvissuti. Lo stesso 25 gennaio il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, riferisce in Senato sull'emergenza terremoto, dichiarandosi "orgoglioso dell'opera degli 11mila soccorritori impegnati nel Centro Italia". Sulla vicenda Rigopiano, il premier esprime cordoglio per le vittime e chiede che venga fatta luce su eventuali ritardi, precisando la necessità di cercare la verità e non capri espiatori.

L'inchiesta sulla tragedia

Il 23 gennaio 2017, a operazioni di soccorso ancora in corso, la Procura di Pescara comunica l'apertura di un'inchiesta sulla vicenda. Si tratta di un fascicolo unico contro ignoti per disastro colposo e omicidio plurimo. Titolari dell'indagine sono il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e il pm Andrea Papalia, che fanno rientrare nell'incartamento tutti gli aspetti relativi alla vicenda compresa la costruzione dell’albergo e le vie di accesso. Tedeschini precisa anche quelli che saranno altri temi dell'indagine: le comunicazioni telefoniche, via Whatsapp e scritte, nonché la vicenda delle mail inviate da De Tommaso, i ritardi dei soccorsi e il Piano Valanghe. Due giorni dopo, con i risultati delle autopsie effettuate sui primi sei corpi ritrovati, la Procura fa il primo punto sulle indagini. "Molti sono morti per schiacciamento – rivela Tedeschini - altri per varie concause: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Ma nessuno è deceduto per solo assideramento". Il 27 gennaio sei persone vengono iscritte nel registro degli indagati dalla Procura di Pescara, per omicidio colposo e lesioni colpose. Tra gli indagati risultano il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e il direttore dell'albergo, Bruno Di Tommaso, quest'ultimo indagato anche per per atti omissivi in ambito di sicurezza sul lavoro. L'inchiesta della Procura pesarese si allarga ulteriormente il 23 novembre 2017 quando le persone iscritte nel registro degli indagati diventano 23. Ai nomi eccellenti della prima tranche d'inchiesta si aggiunge, fra gli altri, quello dell'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, al quale viene imputato un colpevole ritardo nelle operazioni di soccorso. I reati ipotizzati in questa seconda tranche vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all'omicidio e lesioni colpose, all'abuso d'ufficio e al falso ideologico, alla rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. L'indagine, condotta dal procuratore Massimiliano Serpi e dal pm Andrea Papalia, è suddivisa in quattro filoni che riguardano i ritardi nell'attivazione della macchina dei soccorsi, la gestione dell'emergenza, la realizzazione del resort, e la mancata realizzazione della Carta per il pericolo delle valanghe. Un anno dopo, il 26 novembre 2018,  l'inchiesta si conclude con 25 indagati, tra i quali ci sono l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, il presidente della provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e la società che gestiva l’hotel, la Gran Sasso Spa & Beauty. I reati ipotizzati sono disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d’atti d’ufficio, abuso in atti d’ufficio e vari reati ambientali. Nel frattempo, i magistrati Massimiliano Serpi e Andrea Papalia si dedicano a un secondo filone d'inchiesta su un presunto tentativo di depistaggio da parte dell'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo e di sei funzionari della prefettura.

Gli sviluppi più recenti

Il 6 febbraio 2019 la Procura di Pescara ha chiesto il rinvio a giudizio, e il 3 dicembre dello stesso anno il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pescara ha disposto l’archiviazione delle accuse nei confronti di 22 persone indagate. Le archiviazioni riguardano soprattutto i principali politici coinvolti nell’inchiesta, gli ex presidenti dell’Abruzzo Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi, e l’ex sottosegretaria alla Giustizia, Federica Chiavaroli. Nell’ordinanza del giudice, riportata dal Messaggero, si legge che ai politici non fu indicata dai responsabili tecnici della regione "la necessità di procedere nel più breve tempo possibile alla formazione di una Carta di localizzazione probabile delle valanghe estesa anche all’area del comprensorio di Farindola/Rigopiano" e perciò i presidente di Regione e l’assessore delegato alla Protezione civile che si sono succeduti nel governo dell’Abruzzo "non possono ritenersi responsabili per non aver emanato, in tempo utile, i provvedimenti necessari per la formazione" di una apposita Carta delle valanghe. Rimangono a processo, ma soltanto per alcune ipotesi di reato, l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, Andrea Marrone, consulente incaricato per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni, Bruno Di Tommaso, legale responsabile della Gran Sasso Resort & Spa, e Carlo Giovani, dirigente della protezione civile. È stata archiviata invece la posizione di Daniela Acquaviva, funzionaria della prefettura di Pescara che aveva risposto alla prima telefonata d’allarme del ristoratore Quintino Marcella, la quale però resta imputata nel procedimento bis per depistaggio. Una decisione, quella dell'archiviazione, criticata dagli avvocati dei parenti delle vittime.

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