
Incendi, cosa sono le diossine e perché sono pericolose per la salute
Per lo più derivano da processi naturali di combustione (come appunto i roghi) e riescono a rimanere per tempi piuttosto lunghi sia nell'ambiente che all'interno degli organismi, compreso il corpo umano, dove si localizzano principalmente nel tessuto grasso. Per eliminare il 50% di una dose di diossine ci vogliono più di 10 anni

L’Italia meridionale da giorni è colpita da incendi che stanno provocando numerosi danni al territorio. Fra questi, c’è anche la diffusione di diossine nell’aria, un pericolo anche per salute: fra i casi più recenti quello di Palermo, il cui sindaco Roberto Lagalla ha emesso un'ordinanza (appunto) anti diossina
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Con il termine diossine, spiega l’Istituto superiore di sanità, si indica un gruppo di sostanze (le policlorodibenzodiossine, i policlorodibenzofurani, e alcuni policlorobifenili anche conosciuti con le rispettive sigle: PCDD, PCDF e DL-PCB) che hanno caratteristiche chimiche, fisiche e tossicologiche tra loro molto simili. Per lo più derivano da processi naturali di combustione (come appunto gli incendi di foreste o le emissioni di gas dei vulcani) oppure da specifiche attività umane quali l’incenerimento di rifiuti o i processi di produzione industriale
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Le diossine, appartenenti alla classe degli inquinanti organici persistenti (noti come Pop dall'inglese persistent organic pollutants), hanno un’elevata stabilità chimica (vale a dire che difficilmente si degradano), poca facilità di sciogliersi nell'acqua e, avendo caratteristiche simili alle sostanze grasse, riescono a rimanere per tempi piuttosto lunghi sia nell'ambiente che all'interno degli organismi, compreso il corpo umano, dove si localizzano principalmente nel tessuto grasso (adiposo)
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Per eliminare il 50% di una dose di diossine ci vogliono più di 10 anni. Queste sostanze chimiche, inoltre, sono in grado di diffondersi facilmente nell'ambiente, raggiungendo distanze anche molto lontane rispetto al luogo di rilascio. Sono quindi presenti ovunque sulla Terra, anche in zone estreme ed isolate del nostro pianeta, come i poli

La loro attuale presenza nell'ambiente deriva, più che da nuove emissioni, da un loro accumulo avvenuto lentamente con il passare degli anni. Dall'ambiente, dove si trovano legate alla parte organica del suolo e dei sedimenti (depositi di materiale solido) marini e lacustri, le diossine entrano nelle catene alimentari, accumulandosi negli organismi più piccoli, poi nei grassi degli animali più grandi che se ne nutrono fino all’uomo che è esposto attraverso l’alimentazione (biomagnificazione)

La principale fonte di esposizione umana alle diossine (pari a circa al 90%) è rappresentata dagli alimenti. I cibi con una maggiore componente grassa (come carni, alcune specie di pesce, formaggi ed altri prodotti caseari) sono quelli con i livelli più elevati di diossine. Altre possibili vie di esposizione, anche se generalmente molto più limitate, sono costituite dall'inalazione e dall'ingestione di polvere o terra, oppure dal contatto con la pelle

Dato che questi inquinanti sono presenti ovunque, sia nell'ambiente che negli alimenti, la popolazione è stata, e continua ad essere, costantemente esposta (anche se a livelli sempre più bassi con il passare degli anni). Di conseguenza, prosegue l'Iss, nell'organismo di ogni individuo le diossine sono presenti in quantità misurabili

A questo proposito si parla di dose interna rilevata in una persona e determinata, oltre che dall'esposizione attuale, da quella avvenuta nel corso degli anni, visti i tempi lunghi di permanenza di questi inquinanti nell'organismo. Attualmente, la dose interna di diossine della popolazione generale, determinata attraverso studi di biomonitoraggio, è mediamente molto bassa e in continua diminuzione

L'esposizione limitata nel tempo ma ad alti livelli di diossine (acuta) può causare anche gravi effetti sulla salute umana, come ad esempio le malattie della pelle, alterazioni delle funzioni del fegato e difficoltà nel metabolismo del glucosio

Nello specifico, spiega Iss, l'esposizione a dosi più basse di diossine, ma per periodi di tempo più lunghi (cronica), può: provocare danni sia al sistema immunitario che a quello endocrino, interferire con l’equilibrio fisiologico degli ormoni tiroidei e steroidei (azione da interferenti endocrini), determinare effetti sullo sviluppo del feto, quando l'esposizione avviene durante la gravidanza (esposizione prenatale) o nelle fasi immediatamente successive alla nascita (esposizione postnatale)

Alcune tra le policlorodibenzodiossine ed i policlorodibenzofurani e tutti i policlorobifenili sono considerati cancerogeni per l'uomo. Possono infatti determinare tumori del tessuto linfatico, tumori del tessuto emopoietico (colpendo, quindi, organi e tessuti responsabili della produzione di globuli rossi, bianchi e piastrine) diverse forme di leucemia, linfomi non-Hodgkin e tumore al seno

A seguito dell’incidente italiano del 1976 a Seveso, la Comunità Europea nel 1982 approvò la cosiddetta "Direttiva Seveso", oggi giunta alla sua terza revisione, che prevedeva tra l’altro la registrazione degli stabilimenti industriali a rischio, l'identificazione delle sostanze pericolose trattate e la preparazione di specifici piani di prevenzione ed emergenza
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