Nuova variante Covid: l'isola carcere del Kent un possibile catalizzatore

Salute e Benessere

La tesi è stata avanzata da un’esclusiva del “Daily Telegraph” dell’11 dicembre, tre giorni prima dell’annuncio del ministro della Salute britannico, Matt Hancock, a proposito del nuovo ceppo di coronavirus. A fungere da “catalizzatore”, secondo i dati, potrebbero essere state proprio le tre prigioni dell'isola di Sheppey

Il nuovo ceppo di coronavirus che si sta diffondendo nel Regno Unito potrebbe aver avuto come “catalizzatore” le tre prigioni dell'isola di Sheppey, un'isola di 91 km quadrati della contea inglese del Kent, situata lungo l'estuario sul Mare del Nord del fiume Tamigi. E' l’ipotesi che è emersa dopo un'esclusiva pubblicata dal “Daily Telegraph” l'11 dicembre scorso, tre giorni prima che il ministro della Salute britannico, Matt Hancock, desse comunicazione dell'identificazione di una variante mutata del virus, molto più contagiosa di quanto si sapesse.

La relazione tra i contagi nelle carceri e quelli londinesi

A sostegno di questa tesi, anche Patrick Vallance, consigliere scientifico capo del governo britannico, secondo il quale la diffusione della variante in questione potrebbe essere partita dal Kent, dove è stata riscontrata per la prima volta il 20 settembre scorso, per poi diffondersi nella capitale. L’esclusiva pubblicata dal Telegraph, prima ancora che la notizia della mutazione diventasse ufficiale e di dominio pubblico, aveva ipotizzato la relazione tra la forte diffusione del virus nelle carceri dell'isola, Swaleside, Elmley e Standford Hill, con la diffusione importante dei contagi verificatasi proprio a Londra nelle ultime settimane.

L’analisi dei dati

A indurre il quotidiano conservatore a propendere per questa ipotesi è stata l’analisi sui dati relativi ai contagi. Infatti, tra le cinque zone che hanno manifestato il maggior tasso di infezione nel Regno Unito, addirittura quattro erano riferibili ad aree nei pressi del distretto di Swale e dell'Isola di Sheppey. Proprio Swale, lo scorso 20 novembre, aveva fatto registrare agli esperti la più significativa crescita settimanale del tasso di infezione dell’intera Gran Bretagna, passando da 296,5 a 637,7 casi ogni 100 mila abitanti in soli sette giorni. Si tratterebbe, in sostanza, di dati ompatibili con quelli legati alla nuova mutazione del coronavirus, che lo rende capace di diffondersi ad una velocità del 70% superiore a quella già conosciuta. Velocità simile, tra l’altro, a quella registrata tra gli ospiti dei penitenziari, dove la percentuale di detenuti risultati positivi era arrivata al 40% in un'ala del carcere di Elmley, poi chiusa: proprio qui potrebbe esserci stato il cuore del focolaio. Un altro dato ha fatto riflettere; su oltre 100 nuovi casi di coronavirus registrati nella terza settimana di novembre, come sottolineato da “Kent Live”, 90 sono arrivati in questa struttura, che può contenere in tutto 985 detenuti. Senza contare le 50 guardie carcerarie che hanno contratto il virus, come raccontato al Telegraph da Mike Rolfe, capo del sindacato che rappresenta i dipendenti delle tre prigioni, dove è presente un totale di tre mila detenuti. "E’ probabile che il focolaio nella prigione sia esploso perchè i dipendenti lo hanno portato dall'esterno", ha detto, "poi, ovviamente, i dipendenti che lo hanno contratto a lavoro lo hanno portato a casa, trasmettendolo a famiglia e amici e aumentando la diffusione nella comunità".

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Le tesi degli esperti locali

Potrebbe essere partito tutto, dunque, da un luogo come le carceri, specie se sovraffollate, che rappresentano un contesto favorevole alla diffusione del contagio, visto l’importante numero di persone concentrate in spazi chiusi, tanto che le guardie "ormai ritengono inevitabile contrarre il Covid, il problema è solo quando", ha aggiunto Rolfe. "Gli addetti pensano che i dispositivi di protezione e le aree per la sanificazione fornite sono inadeguate e che la natura del lavoro rende impossibile un distanziamento sociale sicuro o evitare di passare il tempo vicino ai prigionieri o ai colleghi", ha continuato. "Questo rende lo staff ancora meno sensibile alla minaccia che il virus pone". In particolare, lo Swale rappresenta una sorta di corridoio per pendolari, area in cui i flussi di lavoratori che si muovono verso Londra sono ingenti, spiega proprio il Telegraph. Per Rolfe, però, il virus non è arrivato alla capitale dall'isola ma ha fatto il percorso inverso, dal momento che questo distretto è considerato una popolare zona turistica che attrae molti londinesi, specie nel fine settimana. Ma al di là di quale sia il “paziente zero” di questa nuova variante, lo Swale, come sostenuto da Jackie Cassell, esperta di sanità pubblica presso la Brighton and Sussex Medical School, manifesta caratteristiche piuttosto favorevoli per la diffusione di un agente patogeno, come ad esempio case sovraffollate, un elevato numero di persone vulnerabili, numerosi lavoratori che non hanno potuto sceglie l’opzione lo smartworking e, per l’appunto, la prigione, che avrebbe agito da "catalizzatore".

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