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Elezioni Europee, in Italia torna il bipolarismo. Rebus in Ue per conferma Von der Leyen

Politica
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Il voto ha portato Fratelli d’Italia a sfiorare il 29% e il Pd a salire al 24,08%, mentre il M5S si è fermato sotto il 10% e i riformisti centristi - Azione e Stati Uniti d’Europa - hanno pagato le loro divisioni e non hanno superato la soglia di sbarramento. E l’attenzione è già alle trattative di Bruxelles, dove Ursula von der Leyen dovrebbe rimanere il nome che il Ppe proporrà per un bis alla guida della Commissione, ma la partita e le trattative non sono affatto chiuse

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"È tornato il bipolarismo". Così Giorgia Meloni ha commentato l’esito delle elezioni Europee che hanno visto Fratelli d’Italia sfiorare il 29 per cento (28,8%) e il Pd salire al 24,08%: risultati che secondo la presidente del Consiglio riportano in Italia la logica dei due schieramenti (LA MAPPA DEI RISULTATI COMUNE PER COMUNE). E in Ue intanto si apre il rebus della guida della Commissione europea, con Ursula von der Leyen che dovrebbe rimanere il nome che il Ppe proporrà al Consiglio europeo per un bis. La partita però non è chiusa, va formata quella maggioranza che possa blindare non solo l'ex ministra tedesca ma l'intero pacchetto dei top job.

Il bipolarismo Meloni-Schlein

Nelle elezioni che hanno segnato il record negativo di votanti, Meloni non nasconde la soddisfazione per l'altissimo numero di preferenze ottenute che le permetterà di presentarsi al G7 "con il governo più forte di tutti in Europa". Anche il buon risultato di Forza Italia, che si colloca seppur di poco davanti alla Lega (9,6% contro 9%) conferma un quadro di stabilità all'interno del quale la forza di Fratelli d'Italia sarà ancora più dominante. Dall'altra parte Elly Schlein, che riporta il Pd all'interno di un trend di crescita e dice: "Il messaggio è chiaro, Giorgia Meloni stiamo arrivando". La segretaria dem si trova in una situazione simile a quella di Meloni: il crollo del Movimento 5 stelle (fermo sotto al 10%) conferma che l'ossatura dell'alternativa è chiaramente in mano ai dem e che la "testardaggine" con la quale Schlein ricerca l'unità dei progressisti viene capita dagli elettori e potrebbe costringere Giuseppe Conte a un dialogo non di facciata. Complice di questa analisi è il boom dello schieramento più a sinistra, Avs, che ha prodotto un inaspettato 6,7%. La lettura della presidente del Consiglio sul ritorno del bipolarismo sembra confermata anche dalla debacle dei riformisti centristi che pagano le loro divisioni e non superano la soglia di sbarramento del 4 per cento: Azione di Carlo Calenda si ferma al 3,3% mentre Stati Uniti d'Europa, con la coppia Emma Bonino e Matteo Renzi, sfiora la soglia ma non la supera con il 3,7%.

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Meloni fra Ecr e Von der Leyen

Per Meloni ora serve trovare il modo di fare pesare anche a Bruxelles la "forza" del governo italiano, unico tra i grandi Paesi Ue che esce "solido" dall'esito del voto. La tre giorni del G7 che si aprirà giovedì a Borgo Egnazia, in Puglia, sarà anche l'occasione per primi confronti informali con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, oltre che con la stessa Ursula von der Leyen, sullo schema da proporre per i nuovi eurovertici. "Quando la proposta sarà formalizzata la valuteremo", dice Meloni parlando del nome di Von der Leyen, mentre si fa largo l’ipotesi di lasciar decantare il negoziato in attesa del voto francese di fine giugno e inizio luglio. E nel frattempo, magari, vedere se può emergere qualche altro nome su cui trovare una convergenza. D'altronde anche Antonio Tajani, che rappresenta il Ppe in Italia, ha sottolineato come quella di Von der Leyen sia per ora "una indicazione politica, non un vincolo giuridico" e che è "ancora troppo presto" per parlare di un bis. Sarebbe complicato per Meloni restare fuori dall'accordo per la nuova presidenza della Commissione, ma altrettanto lo sarebbe dare un sostegno pieno a Von der Leyen, al Consiglio e al Pe, senza scoprirsi troppo a destra. Tra i conservatori di Ecr, Fratelli d'Italia è l'unico grande partito che si ritrova al governo, mentre gli alleati di Vox e del Pis (che nel 2019 sostenne Von der Leyen) dall'opposizione si possono smarcare. Così come Marine Le Pen, che ora punta a vincere le elezioni legislative in Francia e farà, con ogni probabilità una campagna elettorale tutta contro Macron, che siede invece con Meloni al Consiglio Ue come al G7. Del posizionamento Ue come delle questioni interne ai conservatori, dall'allargamento di Ecr (ai romeni di Aura o agli ungheresi di Fidesz) alle ipotesi di formare un gruppo unico con Id (la famiglia di Le Pen e Matteo Salvini) si è già iniziato a riflettere dentro FdI e la discussione sarà avviata anche a Bruxelles già mercoledì, quando è prevista una prima riunione informale del gruppo. Nel frattempo Meloni inizierà a sondare i suoi omologhi, per capire quali margini ci siano per evitare di rimanere fuori dai giochi europei.

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I negoziati in Ue

Nel fronte europeista intanto la valanga sovranista ha innescato un riflesso incondizionato: compattarsi per mantenere intatti gli equilibri. Von der Leyen e Manfred Weber hanno scandito che nei negoziati partiranno da Socialisti e Liberali, ricevendo un'immediata apertura. Ma a una condizione: Giorgia Meloni non deve far parte della coalizione. Nel bene e nel male tuttavia tutti dovranno tenere conto di Meloni e Le Pen in Ue. Il dialogo tra il Ppe e la leader del Rassemblement non è mai stato ipotizzabile. Quello con Meloni, invece, è stato una possibilità concreta fino a una manciata di giorni fa. Ora Von der Leyen deve muoversi con maggiore prudenza. Aprire esplicitamente a Meloni significherebbe perdere i voti di S&D e Renew, o almeno di una loro parte. Entrambi i partner del Ppe hanno il miglior jolly da giocarsi con i Popolari: sono indispensabili per riformare la maggioranza Ursula. Il Ppe, avvezzo da decenni a trattative complesse e levantine, ne è perfettamente consapevole. Allo stesso tempo ha tutta l'intenzione di mettere sul tavolo un punto: sono loro i vincitori delle Europee di fronte a un asse franco-tedesco uscito quasi a pezzi dalla tornata elettorale. Il Ppe lo dirà chiaramente nelle trattative tra i gruppi parlamentari e in quelle tra i leader europei, chiedendo il rispetto dell'esito del voto. Si comincerà il 17 giugno con la cena informale dei 27. I negoziatori saranno Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, Pedro Sanchez e Olaf Scholz per i Socialisti.

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Il ruolo dei Verdi

Von der Leyen ha chiarito che nei negoziati partirà dal Pse e "dalle grandi famiglie europee che hanno ben collaborato" ma lascerà "le porte aperte" ad altri. A chi? I leader del Ppe - inclusi i capi di Stato e di governo - ne hanno parlato in una prima riunione in videocall. Il primo indizio porta ai Verdi, anche se nessuno al momento può escludere nulla. Una parte del Ppe ad esempio farebbe comodamente a meno dell'apertura agli ambientalisti. Ma i Verdi sono filo-Ucraina e sono una garanzia per la tutela di quel Green Deal che le destre e i sovranisti hanno come primo bersaglio. La maggioranza Ursula, senza i Greens, è di 400 seggi, 40 in più dei 360 richiesti. Con i 53 membri dei Verdi anche il pericolo dei franchi tiratori sarebbe marginale.

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Le mosse delle destre

E le destre non stanno certo a guardare. Mercoledì Le Pen e Matteo Salvini, a Bruxelles, decideranno se riaprire la porta ad AfD e faranno il punto sulla prospettiva del gruppo Id, uscito più forte, così come Ecr. L'ipotesi del gruppo unico non è esclusa. Viktor Orban è tornato a caldeggiarla. Ma a quel punto il posizionamento di Meloni sarebbe sul fronte opposto a quello di Von der Leyen e difficilmente potrebbe trovare alchimie politiche per avvicinarsi. A tutto ciò va aggiunto l'ultimo rebus, quello dei quasi cento non iscritti. Spesso si tratta di partiti ex novo, che potrebbero ulteriormente rafforzare i sovranisti. Alcune delegazioni, però, andranno al Ppe, altre ancora si distribuiranno tra i Liberali, S&D e The Left.

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