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Impianti sci, scontro su stop riapertura. Garavaglia: Mancanza di rispetto per lavoratori

Politica
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La mancata ripartenza - prevista per lunedì ma prorogata almeno fino al 5 marzo - ha creato tensione all’interno della nuova maggioranza, con il ministro del Turismo che attacca l’ordinanza del collega alla Salute Speranza e promette: "C'è stato un danno per una scelta del governo e i danni vanno indennizzati". Critiche anche dai presidenti di Regione e dai lavoratori del settore, con proteste e flash mob. La Coldiretti stima una perdita di 10 miliardi per tutto l'indotto

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Scontro politico, proteste e flash mob, oltre 10 miliardi in fumo per tutto l'indotto. Continua a far discutere la decisione del governo uscente di prorogare almeno fino al 5 marzo la chiusura degli impianti da sci, con un annuncio arrivato a circa 12 ore dalla data prevista per la ripartenza. Duro il neoministro del Turismo, Massimo Garavaglia, che ha attaccato l’ordinanza firmata dal collega della Salute Roberto Speranza parlando di "mancato rispetto per i lavoratori della montagna". Insorgono i presidenti delle Regioni, che chiedono senza mezzi termini “ristori subito”, e le polemiche all'interno della nuova maggioranza di Governo arrivano fino alla Lega: Matteo Salvini, pur sottolineando che i ministri hanno la fiducia del Carroccio, chiede di "cambiare qualche tecnico. La comunità scientifica è piena di persone in gamba".

Le tensioni nella maggioranza

Garavaglia, criticando l’ordinanza di Speranza, parla di "stagione finita" e - sentiti gli operatori - spiega che "pensare di mettersi in campo dopo il 5 marzo senza certezze oggettivamente non ha senso". Il nuovo titolare del dicastero del Turismo, incontrando enti e Regioni, aggiunge: "C'è stato un danno per una scelta del governo e i danni vanno indennizzati". Secca la replica del ministro della Salute: "Mai fatto polemiche in questi mesi. E non ne faccio ora. Dico solo che la difesa del diritto alla salute viene prima di tutto". "Nel prossimo decreto, una quota dei 32 miliardi andrà alla montagna - ha detto poi Garavaglia - Alla luce di quello che è successo, credo che sarà una quota importante. L'entità del danno è ancora da quantificare, ma secondo le stime fatte dalle Regioni, per il sistema montagna, tolto gli impianti, parlano già di 4,5 miliardi, a questi vanno aggiunte le risorse per gli impianti di risalita”.

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La rabbia dei governatori

Ma contro la decisione ministero della Sanità non si ferma neppure la rabbia dei territori. Con le piste battute e pronte ad accogliere gli sciatori, le proteste sulla mancata ripartenza sono proseguite: c'è chi come il Piemonte, oltre a chiedere "ristori subito", valuta di costituirsi parte civile, al fianco dei gestori, per chiedere indennizzi proporzionati alla quantificazione dei danni. "Non è più tollerabile. Apprenderlo poche ore prima, oltre al danno c'è la beffa. È inaccettabile", commenta invece il presidente dell'Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Il presidente del Friuli, Massimiliano Fedriga, si scaglia contro il Comitato Tecnico Scientifico, che domenica nel fornire il suo parere a Speranza aveva spiegato che alla luce delle "mutate condizioni epidemiologiche", "allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni" per la riapertura. Per il governatore friulano, "se è pur vero che il nuovo Governo si è appena insediato, è altrettanto vero che il Cts c'è dai mesi precedenti. Nella scorsa settimana si era deciso di prorogare il divieto di spostamento tra regioni fino al 5 marzo: mi domando perché in quell'occasione non è stato fatto presente dal Cts di chiudere gli impianti sciistici se ne ravvisava la necessità". Il presidente del Valle d'Aosta Erik Lavevaz aggiunge: "Una chiusura comunicata alle 19 della vigilia dell'apertura, prevista da settimane, dopo mesi di lavoro su protocolli, assunzioni, preparazione delle società, è sinceramente inconcepibile". Il governatore lombardo Attilio Fontana denuncia un “colpo gravissimo al settore”, e il collega veneto Luca Zaia parla di una decisione arrivata “troppo tardi”.

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Le proteste dei lavoratori

Insieme ai governatori arriva anche la rabbia degli operatori del settore, alcuni dei quali hanno deciso di riaprire lo stesso gli impianti come segno di protesta. Alla Piana di Vigezzo, 1.720 metri nel Comune di Craveggia, in alta Ossola, si è deciso di non cambiare i piani. "Abbiamo predisposto tutto, in sicurezza, per riaprire. E così abbiamo fatto", spiega Luca Mantovani, uno dei titolari della società che gestisce gli impianti nella valle piemontese a ridosso del Canton Ticino. A Bardonecchia, in Alta Valle di Susa, la scelta è stata di tenere i negozi con le serrande abbassate, con il suono delle campane della chiesa parrocchiale ad accompagnare la protesta di maestri di sci, operatori del turismo, impiantisti e commercianti.

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Le ricadute economiche

La chiusura degli impianti anche nell'ultima parte della stagione è destinata ad avere effetti sull'intera economia che ruota intorno al turismo invernale che, secondo la Coldiretti, ha un valore stimato prima dell'emergenza Covid tra i 10 e i 12 miliardi di euro all'anno tra diretto, indotto e filiera. Nel settore lavorano 120mila persone, 400mila se si considera l'indotto: di questi, 15mila lavorano nei circa 2.000 impianti di risalita e altrettanti sono i maestri di sci. Ma poi ci sono i negozi che noleggiano le attrezzature, le guide, gli addetti alla manutenzione delle piste, e tutto quello che ruota intorno al turismo della neve: dall'ospitalità in alberghi e B&B ai negozi, dalle baite, ai bar, ai ristoranti, alle discoteche. Il calo di fatturato arriva fino al 90%. "Dopo la zona rossa decretata per sbaglio in Lombardia adesso subiamo il caos generato dagli annunci sulla stagione sciistica, prima aperta e poi chiusa. Questo significa altri pesantissimi danni per le imprese. Una situazione inaccettabile", spiega anche il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.

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