Kiev, trincea d'Europa. Diario di una guerra che segnerà la storia del Vecchio Continente
MondoDopo i primi dieci giorni di conflitto, ripercorriamo attraverso i reportage degli inviati di Sky TG24 Jacopo Arbarello e Fabrizio Stoppelli l'origine di questa guerra, la sua cronaca, le sue possibili conseguenze
I primi colpi, Vladimir Putin li ha fatti sparare ufficialmente nella notte tra il 23 e il 24 febbraio. Ma la guerra in Ucraina ha radici ben più profonde, e una storia ben più lunga. Perché sono otto anni che il Donbass è terra di combattimenti, e decenni, o meglio secoli, che ucraini e russi condividono storie, confini, contrapposizioni e famiglie (TUTTE LE NEWS LIVE - LO SPECIALE - I VIDEO - IL RACCONTO DEGLI INVIATI).
Prima dei primi colpi, c'era stata la decisione dello Zar del Cremlino di riconoscere le repubbliche indipendentiste di Donetsk e Luhansk.
E con la decisione di riconoscere le due repubbliche, c'era stato il discorso di Vladimir Putin in cui, semplicemente, il presidente russo negava il diritto all'esistenza dell'Ucraina. Un modo per chiarire, senza dichiararlo apertamente, il fine ultimo delle manovre militari.
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La gravità della situazione, a Kiev, era apparsa immediatamente in tutta la sua evidenza. Tanto da decidere, il 23 febbraio, di richiamare i riservisti.
Queste, le premesse. Poi è arrivata la notte tra il 23 e il 24 febbraio. E la prima alba di questa guerra.
Una guerra che Putin pensava di poter condurre come un blitz. Pochi giorni, pochi colpi, poche vittime; grande risultato. Così non è stato, ora lo sappiamo. Ma già all’epoca c’era chi lo diceva chiaramente: questa volta non sarà come otto anni fa, non accadrà quello che è successo in Crimea. Questa volta, dicevano tutti, "combatteremo fino alla fine".
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È il racconto di due Paesi, il racconto di due città. I due volti della capitale.
Una parte che si prepara a combattere, una parte che si organizza per resistere. Coprifuoco, sirene, rifugi. La normalità cambia faccia. Arriva la brigata Azov. Mentre si fa sempre più forte il "fattore Z": il ruolo, e l’importanza, del presidente Zelensky. Dei suoi messaggi alla nazione, all’opinione pubblica, e – soprattutto – all’Occidente: "Non ho bisogno di un passaggio, ho bisogno di munizioni", la sua risposta a chi gli proponeva un "passaggio sicuro" per fuggire dal Paese sotto attacco.
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Nel giro di una settimana, da capitale piena di musica e luci, negozi e vita Kiev diventa una città grigia, bagnata dalla pioggia, che vive al chiuso quando non vive sotto terra. Non si spezza, ma soffre. Non si piega, ma aspetta.
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Aspetta l'attacco, che Putin – per ora – non vuole ancora sferrare del tutto. Nel frattempo, si svuota. La città, e il Paese. Più di un milione di persone ha lasciato l’Ucraina nel giro di 10 giorni; c'è chi fugge all’estero, c'è chi organizza la resistenza a Leopoli: 550 chilometri a ovest, al confine con la Polonia, più di 20 checkpoint, 14 ore di viaggio.
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Leopoli, dove l’intera popolazione si prepara all’arrivo dei russi.
Se l’esercito di Mosca dovesse prendere Kiev, questa sarebbe la capitale della resistenza. Se l’esercito di Mosca dovesse arrivare fino a qui, questa sarebbe l’ultima resistenza.