Dopo gli scontri delle ultime ore, si riaccendono le tensioni da Armenia e Azerbaigian sul territorio a sud del Caucaso, conteso da decenni dalle ex repubbliche sovietiche e che interessa anche a Russia e Turchia. Ecco come e perché si è arrivati alla guerra
Nella notte tra lunedì e martedì nuovi scontri armati si sono verificati nel Nagorno-Karabakh, territorio nel sud del Caucaso conteso dal 1991 da Armenia e Azerbaigian. È la prima ripresa delle ostilità dal novembre del 2020, quando i due Paesi siglarono una tregua con la mediazione della Russia, dopo una guerra di sei settimane vinta dall’Azerbaigian e al termine della quale l’Armenia dovette riconoscere concessioni territoriali. Ecco come e perché è iniziato il conflitto.
Il nodo indipendenza
L’enclave del Nagorno-Karabakh è un territorio separatista dell’Azerbaigian che viene sostenuto dall’Armenia in quanto abitato in gran parte da cittadini armeni e da cristiani (il cristianesimo è la religione prevalente in Armenia, mentre la popolazione azera è a maggioranza musulmana). Nel settembre del 1991, dopo la dissoluzione dell’Urss, ha dichiarato la propria indipendenza: fino a quel momento era nell’orbita della Repubblica Socialista Azera, che, come l’Armenia, faceva parte dell’Unione Sovietica. Il suo slancio indipendentista è stato riconosciuto da Erevan ma non da Baku, circostanza che ha innescato tensioni tra le due capitali culminate in un primo conflitto armato tra il 1992 e il 1994. Nei decenni successivi la situazione è rimasta precaria e ci sono stati scontri continui, fino alla ripresa della guerra di due anni fa.
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Mediazione fallita
Nel corso degli anni, molti sono stati i tentativi di evitare il proseguire del conflitto, alcuni guidati anche dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). I due Paesi belligeranti hanno però continuato ad attaccarsi e a lanciarsi provocazioni, tra cui la più eclatante è stata la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Nagorno-Karabakh in Repubblica dell’Artsakh nel 2017. Da allora le tensioni sono culminate in una guerra di sei settimane avvenuta nel 2020, che ha portato alla morte di circa 6.500 persone e si è conclusa solo a seguito di un cessate il fuoco mediato dalla Russia.
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Gli ostacoli alla pace
Nel frattempo, l’Azerbaigian ha ristabilito il pieno controllo sul Nagorno-Karabakh ma le ostilità non sono comunque cessate. Attualmente, le ragioni che ostacolano i negoziati di pace sono infatti ancora molte. Alle rivendicazioni nazionaliste dei Paesi coinvolti si uniscono le aspirazioni della stessa Mosca, che sostiene l’Armenia, ma anche della Turchia, alleata invece dell’Azerbaigian.
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Il ruolo della Russia
Mosca è un alleato storico dell’Armenia, che fa parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’alleanza militare di sei Stati guidata dalla Russia. Mantiene tuttavia anche rapporti buoni con l’Azerbaijan, che le fornisce materie prime. Proprio per questo, il Cremlino è sempre stato un mediatore fondamentale tra le due parti e anche dopo la tregua del 2020 ha inviato nel Nagorno-Karabakh migliaia di soldati per mantenere l'ordine. Dopo i recenti avvenimenti e l’ennesimo scambio di accuse reciproche tra il ministro della Difesa azero e quello armeno, quest’ultimo ha annunciato di aver parlato con il suo omologo russo, Sergei Shoigu, e di aver concordato con lui di “prendere le misure necessarie per stabilizzare la situazione”.