Giornata solidarietà con il popolo palestinese, da risoluzione Onu 1947 a oggi: le tappe

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Introduzione

Nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 29 novembre Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese. La data è stata scelta per il suo significato per il popolo palestinese: il 29 novembre del 1947, infatti, fu approvata dall’Assemblea generale la risoluzione 181 che definiva l’istituzione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo in Palestina, con Gerusalemme come corpus separatum sotto un regime internazionale speciale.

 

Dei due Stati previsti, solamente quello di Israele è stato creato. Il popolo palestinese, ad oggi, vive principalmente nei territori palestinesi (occupato da Israele dal 1967), inclusa Gerusalemme Est, e in forma minoritaria, in Israele, nei vicini Stati arabi e nei campi profughi della regione.

 

Oggi la questione palestinese è centralissima, dopo lo scoppio, il 7 ottobre 2023, del conflitto tra Israele e Hamas, e dopo che, in questi oltre due anni di guerra, la striscia di Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie, con oltre 69mila morti.

Quello che devi sapere

Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese

Come spiega anche il sito Onuitalia.it, nella giornata del 29 novembre ogni anno “si vuole ricordare alla comunità internazionale che la questione della Palestina è ancora irrisolta e che il popolo palestinese deve poter godere di quei diritti inalienabili che l’Assemblea Generale ha definito: il diritto all’autodeterminazione senza interferenze esterne, il diritto all’indipendenza e alla sovranità nazionale, e il diritto a fare ritorno alle case e proprietà che i palestinesi hanno dovuto abbandonare”. 

 

Per approfondire:

La questione israelo-palestinese, cos'è e come è nata

Il Mandato britannico in Palestina

Ma facciamo un passo indietro. Nel 1920, finita la Prima guerra mondiale, fu firmato a San Remo l'accordo che riconfigurò la geografia del Medio Oriente. Si decise che la Francia avrebbe ottenuto il Mandato per Siria e Libano, mentre la Gran Bretagna di Iraq e Palestina. Nel 1917, poco prima del conferimento del Mandato, il ministro degli Esteri Balfour aveva dichiarato che il Regno Unito guardava con favore alla nascita di una "dimora nazionale" per il popolo ebraico in Palestina. E, durante gli anni di controllo britannico, emigrarono nella regione circa 500mila ebrei e le tensioni crebbero.

 

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Guerra Israele-Hamas, la storia del conflitto in breve. MAPPE

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Lo Stato di Israele e la Nakbah palestinese

Gli arabi rifiutarono il piano delle Nazioni Unite di spartizione in due Stati e, all'indomani della Dichiarazione di indipendenza di Israele (14 maggio 1948), gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano attaccarono. Il neonato Stato ebraico respinse gli eserciti, conquistando la Galilea orientale, il Negev e una striscia di territorio fino a Gerusalemme, di cui occupò la metà Ovest. Parliamo di circa il 78% del territorio della Palestina mandataria. Restavano, sotto il controllo rispettivamente della Giordania e dell'Egitto, la Cisgiordania, area a Ovest del fiume Giordano, e la Striscia di Gaza. Una delle conseguenze fu l'esodo di 700mila palestinesi, chiamato in arabo Al-Nakbah, la catastrofe, che cade il 15 maggio.

 

Le guerre dei sei giorni e dello Yom Kippur

Nel 1967 scoppiò la Guerra dei sei giorni, chiamata così perché in soli sei giorni l’esercito israeliano annientò i nemici, impadronendosi del Sinai, della riva Est del Canale di Suez, fino alle alture del Golan e alla riva occidentale del Giordano. Fu il momento di massima espansione di Israele che occupò anche Gaza. L'ultimo contingente fu ritirato solo nel 2005. Nel 1973, mentre si celebrava la festività ebraica di Yom Kippur, gli eserciti di Siria e Egitto attaccarono a sorpresa. Israele, dopo una fase di smarrimento iniziale, riuscì a resistere e la guerra non portò a grandi stravolgimenti territoriali.

 

Negli anni successivi, le rivendicazioni palestinesi furono molte e vennero portate avanti anche da nuove realtà, come Hamas, cioè l’acronimo di Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya, che significa Movimento di Resistenza Islamicae. La tensione tornò ad alzarsi nel dicembre del 1987, quando il malcontento fece esplodere la prima “intifada delle pietre” e i manifestanti iniziarono a lanciare sassi e molotov contro le forze dell’ordine israeliane. Dietro la sommossa, si nascondeva un crescente malcontento dovuto anche all’occupazione da parte di Israele dei territori conquistati con la guerra del 1967.

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Rabin e Arafat

I momenti di tensione negli anni sono stati tantissimi, ma ci sono stati anche dei frangenti in cui un accordo è sembrato più vicino. Un caso fu quello del 13 settembre del 1993 quando Ytzhak Rabin, primo ministro israeliano, e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), firmarono nel cortile della Casa Bianca gli accordi di Oslo. La data fu storica perché, per la prima volta, Israele riconobbe all’Olp il diritto di governare su alcuni dei territori che aveva occupato e quest’ultima riconobbe a sua volta il diritto di Israele a esistere e promise di rinunciare all’uso della violenza per creare uno Stato palestinese. Nel 1995, i due leader firmarono un’altra serie di accordi, noti come Oslo II, ma il processo di pace si interruppe. Nello stesso anno, Rabin venne ucciso da un fanatico religioso, l'Olp venne accusata di essere complice della lotta armata e l’anno dopo, in Israele, divenne premier un politico che aveva più volte definito quei compromessi un errore: si trattava di Benjamin Netanyahu.

 

Seconda e terza intifada, poi le tensioni sulle colonie israeliane

Nel 2000 la tensione tornò ad alzarsi. A luglio fallì un nuovo round di negoziati a Camp David e circa tre mesi dopo il leader israeliano Ariel Sharon si recò alla spianata delle Moschee, luogo storicamente rivendicato dagli arabi e considerato sacro. La sua presenza fu interpretata come una provocazione e il 28 settembre ci fu una nuova protesta che diede il via alla seconda intifada. Poi, nel 2014 esplose un vero e proprio conflitto, che causò tra l’altro 100mila sfollati, mentre di una nuova intifada si tornò a parlare nel 2015 a causa di un’altra serie di scontri, che si intensificarono a causa del fallimento di nuovi colloqui di pace e causarono altre vittime.

 

Le tensioni tornarono poi ad alzarsi nel giugno del 2020, quando il premier Benjamin Netanyahu annunciò un piano per annettere le colonie israeliane in Cisgiordania che andava nella direzione contraria a quella intrapresa con gli accordi di Oslo e ostacolava la “soluzione dei due Stati”. Nel 2021 si tornò invece a combattere. Questa volta, la scintilla fu il rischio che alcune famiglie palestinesi fossero sfrattate da Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est. La guerra che ne seguì durò 11 giorni, ma provocò più di 200 morti.

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Il 7 ottobre 2023

E poi c'è stato l'attacco del 7 ottobre 2023, giorno che ha segnato una svolta nel conflitto. Quella mattina, Hamas lancia l’Operazione al-Aqsa, per “mettere fine ai crimini” di Israele. Terroristi del gruppo sfondano le barriere fisiche che separano la Striscia dal territorio di Israele, entrano nei kibbutz e a un festival musicale e sparano ai presenti. Alcuni israeliani vengono rapiti e portati a Gaza. Le vittime degli attacchi sono stimate in circa 1.400. Dopo l'attacco, il governo israeliano risponde con una massicca operazione militare che si protrarrà nei mesi, e negli anni. 

Un futuro molto incerto

Fino ad arrivare a oggi: ad ottobre 2025 è stato firmato un accordo di pace per Gaza, proposto dal presidente Usa Donald Trump. Ma lo scenario rimane molto incerto e fragile. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, il 16 novembre ha dichiarato che Israele non accetterà la creazione di uno Stato palestinese e che le Forze di Difesa israeliane manterranno la loro presenza nelle zone strategiche a Gaza ma anche altrove. "Gaza sarà smilitarizzata fino all'ultimo tunnel e Hamas sarà disarmata nell'area gialla dalle forze di difesa israeliane" e, nel resto della Striscia, "dalla forza internazionale o dall'Idf", ha chiarito Katz.

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Il riconoscimento dello Stato di Palestina

Va ricordato però che, soprattutto negli ultimi mesi, molti Paesi hanno annunciato il riconoscimento formale dello Stato di Palestina (come ad esempio Australia, Canada, Regno Unito). Questi attestati ufficiali sono arrivati in concomitanza di numerose manifestazioni in tutto il mondo a sostegno di Gaza. Secondo un recente conteggio, almeno 145 Paesi su 193 membri delle Nazioni Unite riconoscono lo Stato palestinese. La mossa del riconoscimento della Palestina ha un peso prevalentemente politico e simbolico, ma difficilmente modificherà nell’immediato la posizione israeliana o la drammatica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.

 

Per approfondire:

Cosa significa riconoscere lo Stato palestinese e quali Paesi lo hanno fatto. LA MAPPA

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