Dall'Italsider alle condanne dei fratelli Riva e di Vendola: storia dell'ex Ilva

Economia
Lo stabilimento dell'Ilva di Taranto (Archivio Getty Images)

Fondata a Taranto, acquistata nel 1995 dalla famiglia Riva, l'azienda colosso della siderurgia italiana finisce sotto inchiesta nel 2012 per disastro ambientale. Poi il commissariamento e l’assegnazione ad ArcelorMittal nel 2017. Nel 2021 le condanne dei fratelli Riva e dell'ex presidente della Regione Vendola

La convivenza tra la città di Taranto e l’ex Ilva, il colosso siderurgico dell'acciaio più grande d'Europa, è segnata dal dualismo tra tutela dell'ambiente, ma anche della salute e salvaguardia dei posti di lavoro. Ecco le principali tappe di una storia tormentata dalla nascita dello stabilimento, negli anni Sessanta, fino alle condanne del 31 maggio 2021, nei confronti dei fratelli Riva, dell’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e dell’ex presidente della provincia di Taranto Gianni Florido.

Dall'Italsider alla nascita dell’Ilva a Taranto

L’Italsider di Taranto di proprietà pubblica nasce nel luglio del 1960. Lo stabilimento viene costruito nel quartiere Tamburi, per una superficie complessiva di oltre 15 milioni di metri quadrati. Segnata da una grave crisi negli anni Ottanta, l’acciaieria viene acquisita nel maggio del 1995 dal gruppo Riva, fondato nel 1954 da Emilio con il fratello Adriano e assume il nome attuale di Ilva (dal nome latino dell'isola d'Elba, dove veniva estratto il ferro che alimentava gli altiforni soprattutto a inizio Ottocento). La privatizzazione dell'Italsider inizia con il governo Dini e viene perfezionata dal primo governo Prodi, provocando non poche polemiche per il prezzo pagato dai Riva: la vendita dell'Ilva Laminati Piani (Ilp) dall'Iri al gruppo di Emilio Riva avviene a un prezzo di 2.500 miliardi di lire, per una valutazione complessiva della società di circa 4.000 miliardi di lire, secondo quanto rende noto l'Iri.

Le inchieste del 2012 e il sequestro dell’impianto

I Riva sono chiamati a rilanciare l’azienda, ma emergono i primi problemi seri di inquinamento della città collegati alla sua area industriale e il numero dei decessi per tumore registrati nella zona comincia a destare sospetti. Nel 2012 la magistratura tarantina dispone il sequestro dell’acciaieria per gravi violazioni ambientali. Vengono disposte le misure cautelari per alcuni indagati nell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici aziendali: tra questi anche Emilio Riva, presidente dell’Ilva Spa fino al maggio 2010 e il figlio e suo successore Nicola Riva. Il gip scrive che l’impianto è stato causa - e continua a esserlo - di "malattia e morte" perché "chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". Per sbloccare dai sequestri gli impianti sottoposti a lavori di risanamento e garantire così la tutela dei posti di lavoro degli operai, il governo Monti emana un decreto che autorizza la prosecuzione della produzione dell’azienda. Nel gennaio 2013 viene arrestato anche Fabio Riva, fratello di Nicola e figlio di Emilio.

2013, l'arresto di Florido e i commissariamenti

A maggio 2013,  il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, viene arrestato dai militari della Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta su presunti favori all'Ilva denominata 'Ambiente svenduto'. Sempre a maggio 2013 il gip Patrizia Todisco dispone un maxi-sequestro da 8 miliardi di euro sui beni e sui conti del gruppo Riva. Da ottobre 2013 sul registro degli indagati figura anche Nichi Vendola, in quel momento presidente della Regione Puglia. Alla fine dello stesso anno il maxi-sequestro viene annullato dalla Corte di Cassazione su ricorso dei Riva, ma già pochi giorni dopo il provvedimento del gip, i Riva lasciano il consiglio di amministrazione dell’azienda. Ai primi di giugno interviene il governo e, con un decreto, commissaria l’Ilva: arriva Enrico Bondi, poi affiancato da Edo Ronchi. Un anno dopo i due vengono sostituiti da Piero Gnudi e Corrado Carrubba.  Ad aprile 2014 muore Emilio Riva. A gennaio 2015 l’azienda, con un’altra legge, passa in amministrazione straordinaria e i commissari diventano tre: a Gnudi e Carrubba si affianca Enrico Laghi.

Un momento del primo presidio e corteo durante l'emergenza Coronavirus degli operai della ArcelorMittal, dopo l'arrivo delle lettere di cassa integrazione da parte dell'azienda, Genova, 18 maggio 2020. ANSA/LUCA ZENNARO

leggi anche

ArcelorMittal, operaio licenziato dopo un post su una fiction

Il bando e l’assegnazione ad ArcelorMittal

Nel gennaio 2016 viene pubblicato il bando di gara con l'invito a manifestare interesse per Ilva. Il termine ultimo è fissato in 30 giorni a partire dal 10 gennaio. I Commissari straordinari scelgono la cordata ArcelorMittal-Marcegaglia riunita nella joint-venture AmInvestCo. Nel Piano di Arcelor sono chiesti 6mila esuberi a fine piano. I sindacati alzano le barricate. Il 5 giugno 2017 l’allora ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda firma il decreto di assegnazione ad ArcelorMittal (nel frattempo si è sfilato il gruppo Marcegaglia).

Le richieste del governo Conte ad Anac e Avvocatura

A luglio 2018 il ministro dello Sviluppo Economico del neonato governo Conte 1 Luigi Di Maio chiede all’Autorità nazionale anti-corruzione di indagare sulle regolarità della procedura di gara. L’autorità guidata da Raffaele Cantone risponde che esistono criticità nell'iter della gara per la cessione dell'Ilva ma che uno stop della procedura può essere valutato solo dal Mise nel caso in cui, come prevede la legge, esista un interesse pubblico specifico all'annullamento. Il governo richiede un parere anche all’Avvocatura dello Stato. Di Maio parla di gara "viziata", ma non annullabile perché "è in corso di verifica la questione dell'interesse pubblico". Il 15 settembre scade il termine del commissariamento dell'Ilva.

arcelormittal_getty

vedi anche

Ilva ad ArcelorMittal: le tappe di una gara lunga 18 mesi

ArcelorMittal annuncia l'addio, poi l'accordo

A inizio novembre 2019 ArcelorMittal, dopo lungo tira e molla con il governo - nel frattempo diventato Conte 2, con Di Maio passato agli Esteri e sostituito allo Sviluppo economico dal ministro Stefano Patuanelli -  annuncia in una lettera la volontà di lasciare lo stabilimento e resistuirlo allo Stato italiano: tra le ragioni della decisione pesano soprattutto il ritiro dello scudo penale (COS'E') e le decisioni dei giudici tarantini che, secondo l'azienda, "renderebbe impossibile attuare il suo piano industriale". Il 4 marzo, dopo mesi di estenuanti trattative, viene firmato l'accordo tra ArcelorMittal e i commissari dell'ex Ilva che prevede la modifica del contratto di affitto e acquisizione per rinnovare il polo siderurgico con base a Taranto e la cancellazione della causa civile avviata a Milano per l'ipotesi di addio della multinazionale franco-indiana. L'intesa però non piace ai sindacati.

Ilva_getty

leggi anche

Ex Ilva, firmato accordo ArcelorMittal e i commissari

Dicembre 2020, l'acciaio torna di Stato

Nel dicembre 2020,  lo Stato torna nella gestione delle acciaierie dell'ex Ilva. ArcelorMittal e Invitalia firmano un accordo che consente all'Agenzia controllata dal ministero dell'Economia di entrare al 50% (per poi salire al 60%) nella compagine azionaria di AmInvestCo Italy, la società veicolo di ArcelorMittal che ha in gestione gli impianti. L'intesa prevede, come riferisce il ministero dell'Economia, guidato in quel momento da Roberto Gualtieri, "un articolato piano di investimenti ambientali e industriali". Sarà "avviato il processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l'attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l'anno". Si è stabilito poi "il completo assorbimento, nell'arco del piano, dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento". L'obiettivo del piano di investimenti nel Mezzogiorno è quello di trasformare l'ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio "green" in Europa.

arcelormittal-ilva-ansa

leggi anche

Ex Ilva, accordo ArcelorMittal-Invitalia: torna l'acciaio di Stato

La condanna dei fratelli Riva e di Vendola

A maggio 2021, a cinque anni dall'inizio si chiude il dibattimento del processo 'Ambiente Svenduto' per il presunto disastro ambiente causato dall'Ilva di Taranto negli anni di gestione della famiglia Riva: 47 gli imputati, di cui 44 persone fisiche (tra dirigenti ed ex dirigenti del siderurgico, politici e imprenditori) e tre società  (Ilva, Riva Fire e Riva Forni elettrici). La pubblica accusa chiede, tra le altre condanne, 28 e 25 anni di carcere per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva; 5 anni per l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (per il quale viene chiesta la condanna a un anno per favoreggiamento), per far ammorbidire la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. Il 31 maggio 2021, la Corte d'Assise di Taranto condanna a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, a tre anni e mezzo Vendola e a tre anni Florido. l’ex presidente della provincia di Taranto.

ex_ilva_GettyImages

leggi anche

Taranto, sentenza ex Ilva, condannati i fratelli Riva e Nichi Vendola

Economia: I più letti