La multinazionale dell'acciaio spiega l'impossibilità di attuare il piano industriale per le decisioni dei giudici e dopo l'eliminazione dello scudo penale. Conte convoca vertice per mercoledì. Azienda: in contratto prevista clausola di recesso. Patuanelli: non esiste
ArcelorMittal annuncia che vuole lasciare la ex Ilva. La multinazionale ango-indiana dell'acciaio ha comunicato l'intenzione di rescindere l'accordo per acquisire le acciaierie di Taranto e alcune controllate e ha chiesto ai commissari straordinari di assumere la responsabilità delle attività e dei dipendenti entro 30 giorni. La comunicazione fatta arrivare ai commissari dell'azienda è chiara: è impossibile attuare un piano industriale dopo che il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale penale (COS'È LO SCUDO PENALE). E si accende lo scontro politico tra il governo e l'azienda.
Giudici e stop protezione legale le cause dell'addio
La multinazionale ha scritto nero su bianco che l'eliminazione della "protezione legale" scattata dal 3 novembre "necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustifica la comunicazione di recesso". In aggiunta, prosegue la nota, "i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 pena lo spegnimento dell'altoforno numero 2" che "renderebbe impossibile attuare il suo piano industriale, e, in generale, eseguire il contratto". L'ad e presidente di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, nella mail inviata ai dipendenti sul passo indietro sull'acquisizione della fabbrica di Taranto, scrive: "Non è possibile esporre dipendenti e collaboratori a potenziali azioni penali".
Il vertice a palazzo Chigi
L'addio di ArcelorMittal ha scosso la maggioranza di governo. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha convocato i vertici dell'azienda a palazzo Chigi per mercoledì 6 novembre (e non per martedì, come detto in un primo momento). Poco dopo la nota del gruppo anglo-indiano, c'è stato un vertice tra i ministri Patuanelli, Costa e Provenzano, seguito a stretto giro da una riunione straordinaria a Palazzo Chigi presieduta dal premier Conte. E mentre Italia Viva ha chiesto al presidente della Camera un'informativa urgente dell'esecutivo sulla vicenda, il presidente del Consiglio ha ribadito: "Per questo governo la questione Ilva ha massima priorità. Faremo di tutto per tutelare investimenti produttivi, livelli occupazionali e per proseguire il piano ambientale".
Il braccio di ferro sul recesso
Nel pomeriggio è emerso che nel contratto "di affitto e comodato" tra Arcelor Mittal e gli ex commissari Ilva (nella versione modificata rispetto all'originale 2017 e depositata a settembre 2018 presso la Camera di Commercio di Milano) ci sarebbe una clausola di recesso per "l'affittuario" degli stabilimenti. Nel testo, il diritto è assicurato nel caso in cui un provvedimento legislativo annulli integralmente o in parte il Dpcm del 29 settembre 2017 in modo da "rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto" o "irrealizzabile" il piano industriale. Questa parte dell'addendum firmato al Mise a settembre 2018 conterrebbe l'appiglio legale che consente ad ArcelorMittal di recedere dal contratto riconsegnando l'azienda all'amministrazione straordinaria. Ma il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, al termine del vertice a Palazzo Chigi, ha replicato: "Non esiste un diritto di recesso come strumentalmente Arcelor Mittal ha scritto oggi. Non esiste la questione della tutela legale come elemento contrattuale".
Patuanelli: sorpresi da tenore lettera, evidente governance non funziona
Patuanelli ha anche detto che "il governo non consentirà la chiusura dell'Ilva. È evidente, anche dai cambi di governance, che evidentemente la governance che aveva seguito gli impianti fino a adesso non ha funzionato”. Poi il ministro ha aggiunto: “Ci sorprende il tenore della lettera” di ArcelorMittal. Patuanelli ha ricordato che c'è un contratto sottoscritto, un piano industriale, un piano ambientale e un accordo con i sindacati. "Chiediamo il rispetto degli atti sottoscritti 13-14 mesi fa". Intanto è durissima la reazione dei sindacati. Per il segretario nazionale della Fim/Cisl, Marco Bentivogli, il disimpegno di Arcelor Mittal è una "bomba sociale". E ne ha anche per il Governo: l'addio degli indiani è un "un capolavoro di incompetenza e pavidità politica.
ArcelorMittal un anno dopo
La svolta arriva a un anno esatto dalla chiusura dell'operazione. È infatti il primo novembre 2018 quando la multinazionale anglo-indiana si insedia al comando di quella che resta la più grande acciaieria europea. Arcelor arrivava al termine di un percorso lungo e complicato, durato alcuni anni (il primo approccio risale al 2014), e che ha visto la gara di aggiudicazione a giugno 2017, il via libera dell'Antitrust europeo a maggio 2018 e l'accordo sull'occupazione con i sindacati al Mise a settembre 2018. L'insediamento viene accompagnato da un'apertura di fiducia ampia. Negli ultimi mesi la crisi del mercato ha mandato in soffitta l'obiettivo di produrre a Taranto già in quest'anno 6 milioni di tonnellate (si starà invece ben sotto i 5 milioni). Due cicli di cassa integrazione ordinaria, ciascuno di 13 settimane, uno chiuso il 28 settembre per 1.395 addetti ed un altro in corso, dal 30 settembre, per 1.276 lavoratori. Un incidente mortale sul lavoro, causato da una tromba d'aria il 10 luglio, il sequestro dello sporgente portuale da parte della Magistratura con una serie di difficoltà nei rifornimenti di minerali e carbon coke.
Il nodo dell'immunità penale
E ancora: il conflitto con la Magistratura sull'altoforno 2, inizialmente destinato allo spegnimento ad ottobre causa sequestro, e poi "salvato", sia pure con delle condizioni prescrittivi, dal Tribunale del Riesame. Infine, tutta la vicenda consumatasi attorno all'immunità penale per i gestori della fabbrica relativamente al piano ambientale. Immunità che, introdotta da una legge del 2015, è stata tolta in primavera scorsa col decreto legge Crescita, poi reintrodotta, quindi modificata e circoscritta, col decreto legge Imprese a settembre - perché Mittal aveva minacciato di andarsene -, infine tolta di nuovo dallo stesso 'dl Imprese' su pressione di una pattuglia di parlamentari del M5S.