Guerra Israele-Iran, quali effetti su aziende e famiglie italiane? I possibili rincari
EconomiaIntroduzione
Il rialzo improvviso del prezzo del gas e del petrolio, legato agli attacchi tra Israele e Iran, conferma quanto le economie siano strettamente dipendenti dalla geopolitica energetica. Come spiega il Centro studi di Unimpresa in un report, le piccole e medie imprese italiane, che già fronteggiano margini ridotti e domanda debole, rischiano di subire un nuovo shock sui costi di produzione, con possibili ricadute sulle famiglie.
Quello che devi sapere
L'aumento dei costi di produzione
L'attacco israeliano in Iran, avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 giugno, ha innescato, come noto, un'immediata reazione sui mercati delle materie prime. Il prezzo del gas naturale alla Borsa di Amsterdam è salito del 4%, toccando quota 37,60 euro al megawattora. Parallelamente, il greggio ha registrato un balzo ancora più pronunciato: il Wti ha guadagnato l'8%, salendo a 73,48 dollari al barile, mentre il Brent si è portato a 74,47 dollari (+7,37%). Secondo Unimpresa, qualora queste dinamiche dovessero consolidarsi nelle prossime settimane, con prezzi dell'energia stabilmente più elevati rispetto al 2024, il sistema produttivo italiano si troverebbe a dover fronteggiare un aumento molto significativo dei costi di produzione, con effetti potenzialmente destabilizzanti per piccole e medie imprese e possibili ricadute sulle famiglie.
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L'impatto sui prezzi dell'elettricità
Come spiega Unimpresa, il quadro italiano appare particolarmente delicato. Il nostro Paese, che importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio consumati, è tra i più esposti in Europa alle fluttuazioni dei prezzi energetici. Gli aumenti di gas e petrolio registrati il 13 giugno, poche ore dopo l'attacco di Israele, si riflettono già sui costi dell'elettricità, dato che circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas. Un incremento del 10-15% dei prezzi del gas potrebbe spingere il costo dell'elettricità da 120-150 euro per megawattora a 140-180 euro, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese. Le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano, sono particolarmente vulnerabili: per un'azienda manifatturiera media, i costi energetici potrebbero crescere del 3-7%, erodendo margini già sottili.
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I comparti italiani più esposti
Stando al report di Unimpresa, l'impatto dei rincari energetici sul settore industriale italiano non sarà uniforme. I comparti maggiormente esposti sono trasporti e logistica (dove l'energia incide per oltre il 30% sui costi totali), industria pesante e manifatturiera (con un'incidenza del 25–35%), agroalimentare (fortemente dipendente sia dal gas sia dai carburanti), chimica e plastica (dove l'effetto moltiplicativo dei prezzi del petrolio rischia di essere devastante). Nello specifico, settori come la ceramica, il vetro e l'acciaio, che consumano grandi quantità di energia, potrebbero vedere un aumento dei costi operativi fino al 20%, con il rischio di ridurre la competitività sui mercati internazionali o di trasferire i rincari ai consumatori, alimentando l'inflazione.
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Il settore dei trasporti
A preoccupare di più è il settore dei trasporti, fondamentale per un'economia orientata all’export. L'aumento dei prezzi dell'energia si traduce in un incremento stimato di 10-15 centesimi al litro per diesel e benzina, un costo significativo per le imprese di autotrasporti: una flotta media di 50 camion potrebbe infatti affrontare un aggravio annuo di 200-300.000 euro, spingendo le aziende a ritoccare le tariffe o comprimere i margini. Secondo l'analisi di Unimpresa, una compressione dei profitti o un aumento dei costi di trasporto appare inevitabile, con effetti a catena su logistica, prezzi al consumo e competitività. Anche la logistica marittima e aerea subisce pressioni, con rincari del 5-10% nei costi di spedizione.
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Rincari per 10,5 miliardi all'anno
Nel 2024, il prezzo medio del gas si è attestato intorno ai 35 euro per megawattora. In caso di tensioni prolungate tra Israele e Iran, il Centro studi di Unimpresa ipotizza un rincaro medio del 20% delle materie prime energetiche rispetto ai valori del 2024. Se così andasse, le quote salirebbero prepontemente verso i 42 euro per megawattora. Applicando questo incremento al consumo annuo dell'industria italiana (circa 15 miliardi di metri cubi), il costo aggiuntivo per le imprese ammonterebbe a circa 10,5 miliardi di euro. Considerando che le piccole e medie imprese rappresentano circa il 60% del fabbisogno energetico industriale, si stima che oltre 6 miliardi di tale incremento graverebbero direttamente su di esse, specie nei comparti energivori come manifattura pesante, chimica e agroalimentare.
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L'effetto del petrolio
Se i 6 miliardi di aumento appena descritti sono legati al gas, i quasi 5 miliardi restanti dipendono dall'effetto del petrolio. Nel 2024, il Brent si era stabilizzato attorno ai 65 dollari al barile. Un aumento del 20%, in linea con l'andamento attuale post-attacco, porterebbe il prezzo intorno ai 78 dollari. Ciò porterebbe a un rincaro complessivo dei prodotti petroliferi utilizzati in ambito industriale (carburanti, lubrificanti, riscaldamento) di 8,7 miliardi di euro, di cui circa 5 miliardi ricadrebbero sulle piccole e medie imprese. Come già specificato, il settore dei trasporti, già fortemente esposto alla volatilità dei carburanti, sarebbe tra i più colpiti, con l'agricoltura e l'intera logistica.
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Verso un incremento dell'inflazione
Il rischio concreto è che i rincari di cui abbiamo parlato si trasferiscano sui prezzi finali, comprimendo i consumi interni e frenando una crescita economica italiana già debole nel 2025. Secondo il Centro studi di Unimpresa, nel medio periodo l'effetto sui prezzi finali al consumo potrebbe tradursi in un incremento dell'inflazione dello 0,3-0,5%, penalizzando ulteriormente i bilanci delle famiglie italiane già alle prese con un potere d'acquisto eroso. In altre parole, in caso di conflitto prolungato, i consumi delle famiglie italiane potrebbero ridursi, deprimendo la domanda e rallentando ulteriormente la crescita, prevista anemica per quest'anno.
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Come arginare le conseguenze
Nonostante la gravità di questi rischi, esistono fattori che potrebbero mitigare l'impatto. L'Italia ha infatti diversificato le sue fonti di approvvigionamento negli ultimi anni, aumentando le importazioni di gas liquefatto da Stati Uniti e Qatar e rafforzando i flussi attraverso gasdotti come il Tap. Le riserve strategiche di gas, riempite al 90% secondo i dati recenti, offrono un cuscino per affrontare eventuali shock temporanei. Inoltre, il governo potrebbe intervenire con misure di sostegno, come sgravi fiscali sulle bollette o tetti ai prezzi dell'energia, come fatto durante la crisi energetica del 2022. Tuttavia, il rovescio della medaglia è che tali interventi peserebbero sul bilancio pubblico, già gravato da un debito elevato.
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Lo scenario economico globale
Ampliando lo sguardo, per le imprese globali un aumento duraturo dei costi energetici si tradurrebbe in una compressione dei margini di profitto, soprattutto nei settori manifatturiero, chimico e dei trasporti. Le catene di approvvigionamento, già messe alla prova da anni di instabilità, potrebbero subire ulteriori tensioni, con rincari nei costi di spedizione e delle materie prime derivate dal petrolio, come plastiche e fertilizzanti. Le banche centrali, in particolare la Federal Reserve e la Banca centrale europea, si troverebbero di fronte al dilemma di bilanciare il controllo dell'inflazione, potenzialmente riaccesa dai prezzi energetici, con il rischio di soffocare la crescita economica attraverso tassi di interesse elevati. In questo contesto, spiega Unimpresa, la transizione verso le energie rinnovabili potrebbe ricevere un impulso, ma i tempi di implementazione restano troppo lunghi per mitigare gli effetti a breve termine.
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Un conflitto circoscritto?
"L'escalation delle tensioni in Medio Oriente, innescata dall'attacco israeliano all'Iran, proietta un'ombra di incertezza sull'economia globale, pur in un contesto in cui i mercati sembrano scommettere su un conflitto circoscritto. L'ipotesi più probabile, al momento, è che le ostilità restino confinate ai due Paesi coinvolti, con infrastrutture petrolifere risparmiate e senza un'escalation che coinvolga altri grandi produttori della regione, come Arabia Saudita o Emirati Arabi", sottolinea il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora. Lo scenario descritto si inserisce tuttavia "in un quadro economico globale già fragile, segnato da una crescita lenta in Europa, pressioni inflazionistiche persistenti e una transizione energetica ancora incerta", evidenzia Spadafora.
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Le possibili contromisure
"Servono misure tempestive e una strategia europea che rafforzi gli stoccaggi, diversifichi gli approvvigionamenti e metta al riparo il tessuto produttivo da queste fiammate speculative", insiste Spadafora. "Ogni escalation nell'area del Golfo si traduce in una spirale di rincari che colpisce famiglie e imprese. Oggi l'allarme non è solo per i listini alla pompa, ma per l'intero ciclo economico, dal costo dei trasporti alla filiera agroalimentare. L'Europa deve uscire da una posizione attendista e garantire un argine strutturale all'instabilità", conclude il vicepresidente di Unimpresa.
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