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Strage di Bologna, 41 anni fa la bomba che causò 85 morti. I mandanti restano ignoti

Cronaca
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Alle 10:25 del 2 agosto 1980 una valigia piena di tritolo squarcia la stazione causando 85 vittime e 200 feriti. In via definitiva vengono condannati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini come esecutori, e Gilberto Cavallini per concorso esterno

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Il 2 agosto 1980 è un caldo sabato di esodo estivo. Le code in autostrada sarebbero, come da copione, l'argomento del giorno per quotidiani e telegiornali. Alle ore 10:25, invece, un'esplosione alla stazione centrale di Bologna spezza la routine del rito delle vacanze, e l'Italia torna nell'incubo del terrorismo: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage più sanguinosa nella storia italiana. L'ora della tragedia rimarrà impressa, come ricordo indelebile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione (LE FOTO DELLA STRAGE). Per la strage sono stati condannati in via definitiva, come esecutori materiali, gli ex militanti 'neri' dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, mentre nel 2020 è stato condannato per concorso esterno l'ex terrorista dei Nar Gilberto Cavallini. Ma dopo 41 anni dai fatti è ancora mistero sui mandanti, anche se le ultime indagini potrebbero far luce sui lati più oscuri della vicenda (LO SPECIALE DI SKY TG24 - STORIA DI UNA STRAGE).

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Il boato alle 10:25

Alle 10:25 un boato squarcia l'ala sinistra della stazione: la sala d'aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano si trasformano in un cumulo di macerie e polvere. Rimane colpito anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. Nel ristorante-bar self service perdono la vita sei lavoratrici. La polvere ricopre totalmente i passeggeri. Comincia un'opera interminabile per i tantissimi soccorritori, si forma una catena spontanea di aiuti. Inizia anche la conta della vittime: la più piccola è Angela Fresu, appena tre anni, poi Luca Mauri di sei, Sonia Burri di sette, e via via fino a Maria Idria Avati, di 80 anni, e Antonio Montanari, di 86. Interviene anche l'esercito, mentre il silenzio irreale nel centro città è squarciato dalle sirene di ambulanze, vigili del fuoco, forze dell'ordine.

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Il bus 37, simbolo dei soccorsi

Un bus Atc della linea 37 diventa simbolo di quel 2 agosto perché si trasforma in un improvvisato carro funebre che fa la spola con l'obitorio di via Irnerio, a poca distanza, per trasportare le salme. Le ambulanze servono invece per i feriti che vengono smistati in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri. L'autobus 37 è sempre più protagonista delle commemorazioni: nel 2017 è stato riportato in piazza Medaglie d'Oro, e sia nel 2018 che nel 2019 ha guidato il tradizionale corteo per le celebrazioni del 39esimo anniversario.

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La commozione di Pertini e i funerali

In stazione dopo l'esplosione arriva il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, commosso e angosciato, mentre tutt'intorno una catena umana continua a spostare detriti nella speranza di trovare qualcuno ancora in vita. Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie per una manifestazione, la prima risposta di mobilitazione politica per chiedere giustizia e verità, mentre all'obitorio si continua a tentare di dare un nome alle salme. Un'identità a cui si risale a volte solo grazie a brandelli di indumenti o di documenti, a un anello, ai resti di una catenina. Il giorno dei funerali, il sindaco Renato Zangheri ricorda come lo stesso copione fosse stato già vissuto sei anni prima, il 4 agosto 1974, sull'Italicus a San Benedetto Val di Sambro, con 12 morti e 44 feriti. Le prime ipotesi investigative parlano dello scoppio di una caldaia, ma nel punto dell'esplosione non ci sono caldaie. La fuga di gas viene presto scartata per lasciare spazio alla vera causa della strage: una bomba ad alto potenziale.

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Le condanne degli esecutori

Quarantuno anni dopo, la memoria della strage è tenuta viva dalla cittadinanza e dalle associazioni dei familiari delle vittime, che chiedono di conoscere tutta la verità, soprattutto sui suoi mandanti. Alla fine di un lunga serie di processi, sono definitive dal 1995 le condanne all'ergastolo, come esecutori della strage, di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, dei Nar, gruppo terroristico di estrema destra attivo tra fine anni '70 e primi '80. Nel 2007 la Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni anche per un altro ex Nar, Luigi Ciavardini, minorenne all'epoca della strage. Sempre la Cassazione, nel novembre 1995, ha confermato le condanne per Licio Gelli (10 anni), Francesco Pazienza (10) e degli ex ufficiali del Sismi Pietro Musumeci (8 e 5 mesi) e Giuseppe Belmonte (7 e 11 mesi) per i depistaggi alle indagini.   

Cavallini condannato per concorso

Alla fine del 2017, davanti alla corte di Assise di Bologna, ha preso il via un nuovo processo sull'attentato per accertare le responsabilità di un eventuale 'quarto uomo'. Si tratta di Gilberto Cavallini, 67 anni, ex Nar, ergastolano in semilibertà. Il 9 gennaio 2020 è stato condannato per concorso esterno alla strage, con l'accusa di aver aiutato e supportato Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini: Cavallini li ha aiutati con l'alloggio in Veneto, fornendo documenti falsi e poi anche la vettura per il viaggio da Padova a Bologna. A questa condanna si è arrivati sulla base di una rilettura aggiornata degli atti e su impulso degli esposti dell'Associazione dei familiari delle vittime, che da tempo chiede alla magistratura di approfondire tanti aspetti della strage rimasti oscuri.

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Trovata la levetta che potrebbe essere stata l'interruttore della bomba

Nell'ambito del processo a Gilberto Cavallini, una perizia chimico-esplosivistica ha rinvenuto tra le macerie della strage una levetta che potrebbe essere il dispositivo che ha fatto esplodere l'ordigno. Nello specifico, secondo il geominerario esplosivista Danilo Coppe e il tenente colonnello Adolfo Gregori del Ris di Roma, si tratterebbe di una levetta simile a quelle usate nell'industria automobilistica. L'oggetto, per Coppe, è paragonabile a quello trovato nell'ordigno destinato a Tina Anselmi, allora presidente della commissione P2, e a quello trasportato da Margot Christa Frohlich quando venne arrestata a Fiumicino nel 1982. Quest’ultima è la terrorista tedesca che era stata coinvolta in un'indagine poi archiviata insieme a Thomas Kram nella cosiddetta "pista palestinese", ipotesi alternativa a quella accertata. Inoltre, secondo il geominerario esplosivista, considerato uno dei massimi esperti nel settore, un oggetto del genere non aveva ragione di essere presente nella sala d'aspetto di una stazione. Ciononostante, ha dichiarato Coppi a Repubblica, "la certezza assoluta che sia l'interruttore che ha innescato la bomba non può essere data". "Normalmente – ha spiegato nell’intervista – uno strumento del genere non dovrebbe stare in una stazione, ma potrebbe essere stato usato sull’impianto elettrico per una riparazione temporanea o di fortuna in qualche ufficio, da parte del personale delle ferrovie. Sarebbe strano, ma non è impossibile". Se dovesse essere accertato l'utilizzo della levetta per far detonare l’ordigno, "la sua deformità – si legge nella perizia – fa ritenere l'interruttore molto vicino all'esplosione". Inoltre, il documento non esclude, in via ipotetica, "che l'interruttore di trasporto fosse difettoso o danneggiato tanto da determinare un'esplosione prematura-accidentale dell'ordigno".

L'inchiesta sui mandanti

Il livello superiore, cioè quello dei mandanti, è rimasto avvolto nel mistero e la Procura ordinaria, dopo anni di indagini, aveva chiesto l'archiviazione. Il fascicolo è sempre rimasto contro ignoti. La Procura generale però, nell'ottobre 2017, ha avocato a sé il fascicolo e, pur nella difficoltà di svolgere accertamenti a 39 anni dai fatti, ha condotto l'inchiesta, a cui hanno lavorato carabinieri del Ros, Digos e Guardia di Finanza. A opporsi all'archiviazione era stata l'associazione dei familiari delle vittime dell'attentato, fin da subito molto critica con la scelta dei pm. Dal 2017, gli inquirenti hanno sentito alcune persone e inoltrato rogatorie in Svizzera su conti correnti anche riconducibili al venerabile maestro della loggia massonica P2, Licio Gelli, morto nel dicembre 2015. Nella giornata dell'11 febbraio 2020, la Procura generale di Bologna ha notificato quattro avvisi di fine indagine, accusando la P2 e Gelli di essere i mandanti della strage. Tra i destinatari, Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi - questi quattro tutti deceduti e ritenuti mandanti, organizzatori o finanziatori - oltre che in concorso con i Nar già condannati. Secondo le indagini, ammonterebbe a circa cinque milioni di dollari il flusso di denaro proveniente da conti riconducibili a Licio Gelli e Umberto Ortolani e diretto agli organizzatori e ai Nar.

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Ai Nar un milione di dollari da Gelli o i suoi emissari

Gli inquirenti hanno scoperto che nei giorni immediatamente precedenti la strage Licio Gelli, un suo factotum e alcuni degli esecutori si trovavano nella stessa località. Gelli, o un suo emissario secondo i magistrati, avrebbero consegnato il milione di dollari in contanti agli attentatori. Un'altra parte di quei cinque milioni, circa 850mila dollari, finì invece a D'Amato, ex capo dell'Ufficio Affari riservati del ministero dell'Interno, che secondo l'ipotesi investigativa teneva i contatti con la destra eversiva tramite Stefano Delle Chiaie, capo di Avanguardia nazionale. E ancora un'altra fetta di quel denaro sarebbe servita invece a finanziare il depistaggio a mezzo stampa. In particolare, la Procura generale ritiene che una somma andò a Mario Tedeschi, ex senatore del Msi iscritto alla P2 e direttore del settimanale 'Il Borghese', perché portasse avanti una campagna sul suo giornale avallando l'ipotesi della 'pista internazionale' dietro la strage. 

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Le accuse a carico della "Primula nera"

Sugli sviluppi della stessa inchiesta, con l'ipotesi di concorso nella strage, è stato indagato anche Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia Nazionale. L’ex '"Primula nera" era già finito nelle indagini negli anni precedenti ma il tribunale di Bologna nell'aprile 1992 si era pronunciato con una sentenza di non doversi procedere, che è stata revocata dal gip nel maggio 2019. Fondamentale per il nuovo pronunciamento è stato un fotogramma, estrapolato da un filmato amatoriale, in cui si vede vicino a un binario il volto di un uomo negli attimi successivi allo scoppio. Secondo la Procura generale potrebbe trattarsi proprio di Bellini. Inoltre, secondo l'accusa, in un'intercettazione ambientale del 1996 è emerso che Carlo Maria Maggi, ex capo di Ordine Nuovo, condannato per la strage di Brescia e morto nel 2018, parlando con un familiare ha detto di essere a conoscenza della riconducibilità della strage di Bologna alla banda Fioravanti e che all'evento ha partecipato un "aviere". Per la Procura generale bolognese è un altro collegamento con Bellini, conosciuto nell'ambiente della destra per la passione per il volo tanto da aver conseguito il brevetto da pilota. Il 19 maggio 2020 la Procura generale di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio per Bellini, confermato il 2 febbraio 2021. Il 16 aprile 2021 si è aperto a Bologna il nuovo processo con tre imputati: Paolo Bellini, accusato di essere il quinto esecutore materiale dell'attentato - in concorso con i tre Nar già condannati in via definitiva Fioravanti, Ciavardini e Mambro e con Gilberto Cavallini, condannato all'ergastolo un anno fa in primo grado -, Piergiorgio Segatel, ex carabiniere imputato di depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli, a Roma, che risponde di false informazioni al pm.

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La morte di Delle Chiaie

Nel frattempo, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2019, è morto all'ospedale Vannini di Roma Stefano Delle Chiaie, accusato di concorso nella strage e assolto poi nel processo per insufficienza di prove. Neofascista esponente della destra radicale e della destra spiritualista in seno al Movimento Sociale Italiano, è stato fondatore di Avanguardia Nazionale.

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