Storia di Stefano Cucchi, dall'arresto e la morte fino alle condanne dei carabinieri

Cronaca
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, mostra le foto choc dell'autopsia del fratello (Ansa)

Il 15 ottobre 2009 il geometra 31enne viene arrestato perché in possesso di droga. Sette giorni dopo muore all'ospedale Pertini di Roma. Da quel giorno parte una complessa vicenda giudiziaria e una lunga ricerca della verità da parte di sua sorella Ilaria

La vicenda di Stefano Cucchi inizia nella serata del 15 ottobre 2009, dieci anni fa, quando viene arrestato perché trovato in possesso di droga. Stefano è un geometra 31enne di Roma e viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti: viene trovato in possesso di 20 grammi di hashish, di cocaina e di alcune pastiglie per l'epilessia di cui soffriva. Viene portato in caserma e viene disposta per lui la custodia cautelare in carcere. Sette giorni dopo muore all’ospedale Pertini. È l’inizio di una complessa vicenda giudiziaria e di una lunga ricerca della verità, portata avanti soprattutto dalla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi. Il 14 novembre 2019, la Corte d'Assise d'Appello di Roma ha condannato a 12 anni per omicidio preterintenzionale due carabinieri. Nello stesso giorno, è arrivata la sentenza che ha visto quattro medici prescritti e uno assolto.

I fatti: così è morto Stefano Cucchi

Il giorno dopo il fermo di Stefano Cucchi, viene convalidato l’arresto e il 31enne viene processato per direttissima. Il giudice dispone che Cucchi rimanga in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli, in attesa di un’udienza che si sarebbe dovuta tenere il mese successivo, a novembre 2009. Già alla fine dell’udienza per la convalida dell’arresto le condizioni di salute di Cucchi sono abbastanza preoccupanti e per questo viene fatto visitare dal medico del tribunale. Dopo l’ingresso in carcere viene visitato nell’infermeria di Regina Coeli, che dispone un immediato trasferimento al pronto soccorso del Fatebenefratelli per degli accertamenti. Cucchi rifiuta però il ricovero e torna in carcere. Il giorno dopo, le sue condizioni di salute sono sempre più preoccupanti e viene sottoposto ad altre visite, fino al ricovero nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove Stefano muore il 22 ottobre. Al momento del decesso pesa 37 chili. In sei giorni la famiglia non riesce mai a vederlo.

Le foto choc

Il 29 ottobre 2009 viene convocata una conferenza stampa dall’associazione “A Buon Diritto”. Ai presenti viene distribuita una cartella contenente alcune foto scattate prima dell'autopsia di Stefano, che erano state inviate dai familiari del ragazzo all’associazione. Le foto sono diventate tristemente famose: il corpo magrissimo, ematomi sul viso, un occhio aperto e uno chiuso, un livido nero sul coccige e vari segni sul corpo.

Il primo processo: Stefano Cucchi morto per “malnutrizione”

Per la morte di Stefano Cucchi vengono inizialmente rinviati a giudizio sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. Le accuse, contestate a vario titolo e secondo le rispettive posizioni, sono di abbandono d'incapace, abuso d'ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso d'autorità. In questa prima indagine, l'ipotesi dell’accusa è che Cucchi sia stato “pestato” nelle celle del tribunale e in ospedale sia stato abbandonato e lasciato morire di fame e sete. Nel processo di primo grado, però, i giudici arrivano a un'ipotesi diversa: nessun pestaggio, ma morte per "malnutrizione".

Le sentenze del primo processo e l'appello-bis

Nella sentenza di primo grado del giugno 2013 gli unici condannati, per omicidio colposo, sono i medici dell’ospedale Pertini. Assolti invece tre infermieri e tre agenti penitenziari. Davanti ai giudici d'appello, il 31 ottobre 2014, viene ribaltato tutto: assolti tutti gli imputati per insufficienza di prove, senza distinzione di posizioni. Ilaria Cucchi annuncia ricorso in Cassazione. La Suprema corte decide la parziale cancellazione di questa sentenza e ordina un processo di appello-bis per omicidio colposo per i medici. Confermate invece le assoluzioni per i tre agenti di polizia penitenziaria e i tre infermieri del Pertini. L’appello-bis termina con una nuova assoluzione per i dottori. Nel 2017 la Cassazione annulla quest’ultima assoluzione, ma il giorno successivo il reato finisce in prescrizione.

L’indagine-bis e le accuse ai carabinieri che hanno arrestato Cucchi

La vicenda giudiziaria però non finisce qui. La tenacia di Ilaria Cucchi e della sua famiglia portano, alla fine del 2015, all'avvio di un’inchiesta-bis. Nel gennaio 2017 la procura di Roma conclude le indagini e chiede il rinvio a giudizio nei confronti dei tre carabinieri che hanno arrestato Stefano Cucchi, per omicidio preterintenzionale, e di altri due militari, per calunnia e falso. Secondo le accuse, i tre hanno colpito Cucchi “con schiaffi, pugni e calci, provocando una rovinosa caduta, che unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.

Il processo ai carabinieri

Il 10 luglio 2017 i gup accolgono la richiesta della Procura e rinviano a giudizio i carabinieri. Con questo nuovo processo si torna a discutere di un “pestaggio” come causa principale e scatenante della morte di Stefano Cucchi. Nella richiesta di rinvio a giudizio i pm elencano infatti tutte le lesioni riportate da Cucchi: tumefazioni ed ecchimosi al viso, due fratture alle vertebre, diverse escoriazioni. In particolare la rottura della vertebra s4 che ha portato alla lesione del nervo sacrale. Un quadro clinico che secondo i pm “accentuava la bradicardia” di Cucchi “con conseguente aritmia mortale". Durante il processo l’appuntato scelto dei carabinieri Riccardo Casamassima, confermando le dichiarazioni rese ai pm nel corso delle indagini, accusa in aula i colleghi. "Mi confidò che c'era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi. Quando si riferì ai ‘ragazzi', l'idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all'arresto", dice Casamassima ai giudici riferendosi al maresciallo Roberto Mandolini.

La svolta: carabiniere accusa due colleghi di pestaggio

L'11 ottobre 2018 arriva una svolta nel processo-bis. Per la prima volta c'è l'ammissione di un pestaggio: Francesco Tedesco, uno dei tre carabinieri a processo per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità, chiama in causa due colleghi e li accusa di aver picchiato Cucchi provocando quella "rovinosa caduta" e quelle numerose lesioni che secondo i pm lo portarono alla morte. Il militare presenta una denuncia dove ricostruisce i fatti della notte dell'arresto di Cucchi. Tedesco dice di aver presentato una nota di servizio su quanto avvenuto, che però è stata sottratta. Anche il comandante sapeva, accusa Tedesco. "Il muro è stato abbattuto", commenta Ilaria Cucchi dopo questa svolta.

“Sulla mia pelle”, il film sugli ultimi giorni di Stefano Cucchi

Nel 2018 si parla della vicenda di Stefano Cucchi non solo per il nuovo processo ai carabinieri ma anche per l’uscita del film “Sulla mia pelle”. Presentato alla 75esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, racconta gli ultimi giorni di vita del giovane. A interpretarlo è Alessandro Borghi (“Non essere cattivo”). La sceneggiatura si basa sui racconti dei familiari e sugli atti dell’inchiesta. Ilaria Cucchi si dice “profondamente commossa” per gli applausi ricevuti dal film a Venezia e lancia un messaggio sulla mancanza di una legge contro la tortura.

Il nuovo filone d'indagine sulla falsificazione degli atti

Tornando alle vicende giudiziarie, dopo la denuncia di Tedesco si apre un nuovo filone di indagine per la falsificazione degli atti sul pestaggio di Cucchi. Il reato contestato è di falso ideologico. Vengono iscritti nel registro degli indagati altri tre carabinieri: il maggiore Luciano Soligo, allora comandante della compagnia Talenti Montesacro, il luogotenente Massimiliano Colombo (comandante della Stazione Tor Sapienza) e il carabiniere scelto Francesco Di Sano. Quest'ultimo aveva già dichiarato di aver dovuto modificare, dopo un ordine gerarchico, il verbale sullo stato di salute di Cucchi. I tre si aggiungono agli altri cinque carabinieri già a processo (i tre che arrestarono Cucchi per omicidio preterintenzionale e altri due per calunnia e falso). In un'intercettazione resa nota nel novembre 2018, si sente una conversazione che proverebbe i depistaggi dei carabinieri. La telefonata "ricostruisce la genesi di alcuni dei falsi disposti dalla catena di comando dell'Arma di Roma", spiega il quotidiano La Repubblica, che pubblica l'intercettazione.

Un cc a un collega testimone al processo: "Aiutare colleghi in difficoltà"

Il 21 gennaio 2019 spunta un'altra intercettazione tra due carabinieri. A parlare al telefono è un vicebrigadiere che riferisce a un suo collega maresciallo, testimone del processo Cucchi che all'epoca dei fatti era in servizio presso la stazione Casilina di Roma, le parole del comandante del gruppo Napoli. Quest'ultimo avrebbe detto: "Bisogna avere spirito di corpo, se c'è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare". La telefonata si svolge prima che il maresciallo testimoni al processo Cucchi. Si tratterebbe, quindi, di un tentativo di fare pressione nei suoi confronti.

Nistri scrive a famiglia Cucchi: noi parte civile contro i militari

A marzo il comandante generale dell'Arma, Giovanni Nistri, in una lettera alla famiglia di Stefano Cucchi indirizzata a Ilaria, scrive: "Crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di una giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un'aula giudiziaria". La sorella del geometra risponde: "Sono meno sola. La lettera di Nistri è tornata a scaldarmi il cuore". Qualche mese dopo, anche l'Arma dei carabinieri, la presidenza del Consiglio dei ministri e i ministeri della Difesa e dell'Interno - oltre ai familiari di Cucchi, al carabiniere Riccardo Casamassima e ad altri - vengono ammessi come parte civile nel procedimento che riguarda i depistaggi.

Il carabiniere superteste chiede scusa

L'8 aprile 2019, al processo Cucchi-bis, Francesco Tedesco - il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale che accusa di pestaggio gli altri due militari coimputati - chiede "scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria imputati al primo processo". "Per me questi anni sono stati un muro insormontabile", dice.

Falso, favoreggiamento e calunnia: 8 carabinieri rinviati a giudizio

Il 17 aprile, la Procura di Roma chiede il rinvio a giudizio per otto carabinieri nell'inchiesta sui depistaggi successivi alla morte di Stefano Cucchi. Per gli inquirenti i militari sono tutti coinvolti nella catena di falsi basati sulle note di servizio "taroccate" sullo stato di salute del ragazzo. Per questa ragione viene chiesto il processo, tra gli altri, per il generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti capo del Gruppo Roma, e per il colonnello Lorenzo Sabatino, già capo del Nucleo operativo di Roma. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono di falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. Il 16 luglio 2019, il Gup dispone il rinvio a processo per gli otto carabinieri. Si apre così un altro processo la cui prima udienza è fissata per il 12 novembre. Oltre a Casarsa e Sabatino, gli imputati sono Luciano Soligo, già comandante della Compagnia Montesacro; Francesco Cavallo, all'epoca dei fatti tenente colonnello capoufficio del comando del Gruppo Roma; Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all'epoca in servizio a Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, già comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo; il carabiniere Luca De Cianni. Ilaria Cucchi parla di "momento storico estremamente significativo".

Chiesti 18 anni di carcere per i due carabinieri

Il 20 settembre 2019, nell'aula bunker di Rebibbia, c'è la requisitoria del processo bis. "Le lesioni più gravi sono state prodotte dalla caduta di Cucchi, dopo un violentissimo pestaggio. Quella caduta è costata la vita a Stefano Cucchi, che si è fratturato due vertebre. Lui stesso, a chi gli chiese cosa fosse successo, disse: 'Sono caduto'", dice il pm Giovanni Musarò. Sottolinea poi il ruolo di Tedesco. "In questo processo l'unico che ci ha messo la faccia è Francesco Tedesco e lo ha fatto nei confronti di tutti. Nessuno ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee, nessuno ha chiesto un confronto con lui", dice Musarò sul carabiniere imputato che ha ammesso il pestaggio commesso dai due colleghi e al quale aveva assistito. "Oggi comunque vada sto facendo pace con quest'aula - commenta Ilaria Cucchi -. Sono commossa. Mi piacerebbe tanto che Stefano potesse aver sentito le parole del pm Musarò". Il 3 ottobre 2019, il pm Musarò chiede condanne a 18 anni di carcere per i due carabinieri della Stazione Roma Appia accusati di omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. Sentenza attesa il 14 novembre.

Omicidio preterintenzionale, 12 anni ai due carabinieri

Di Bernardo e D'Alessandro, il 14 novembre, vengono condannati a 12 anni dalla Corte d'Assise d'Appello di Roma per omicidio preterintenzionale. Due anni e sei mesi per falso all'imputato-teste Francesco Tedesco, che viene assolto dall'accusa di omicidio preterintenzionale. Nello stesso giorno, arriva la sentenza per i cinque medici coinvolti nella vicenda e accusati di omicidio colposo: assolta Stefania Corbi, accuse prescritte per Aldo Fierro, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo.

Cronaca: i più letti