Val di Stava, 40 anni fa il disastro che provocò 268 morti: cosa è successo. FOTO
In pochi minuti una frana proveniente dai bacini minerari di Prestavel finì a valle, a circa 90 chilometri orari. Oltre alle vittime, provocò 30 feriti e distrusse alberghi, abitazioni, capannoni, ponti. Nel tempo, si capì che la causa fu l’instabilità dei bacini stessi: non erano stati messi in sicurezza. Seguirono dieci condanne, ma nessuno scontò la pena detentiva
IL DISASTRO DELLA VAL DI STAVA DEL 19 LUGLIO 1985 - ORE 12.22
- Il 19 luglio del 1985 avveniva uno fra gli eventi geo-idrologici più catastrofici della storia d’Italia, in Val di Stava (Trentino nord-orientale). Alle 12.22 una massa fangosa composta da circa 180mila metri cubi si staccò dalle discariche minerarie di fluorite della zona (a Prestavel) e si riversò a valle. Il composto scese a una velocità di quasi 90 chilometri orari, e raggiunse la confluenza tra il fiume Stava e il torrente Avisio
EROSIONE E SRADICAMENTO
- Si aggiunsero anche 40-50mila metri cubi provenienti da processi erosivi, dalla distruzione degli edifici e dallo sradicamento di centinaia di alberi
268 VITTIME
- Nel suo tragitto, la frana provocò la morte di 268 persone, il ferimento di altre 30 e la completa distruzione di 3 alberghi, 53 case, 6 capannoni. Impiegò pochi minuti. Otto ponti furono inoltre demoliti e nove edifici ampiamente danneggiati. Lo ricorda la Fondazione Stava 1985. Un’area di 435mila metri quadri fu ricoperta da uno strato di fango spesso fra i 20 e i 40 centimetri
28 BAMBINI, 31 RAGAZZI
- Fra le persone che persero la vita si contarono 28 bambini con meno di 10 anni, 31 ragazzi con meno di 18 anni, 89 uomini e 120 donne. Morirono quasi tutti sul colpo
QUASI 20MILA SOCCORRITORI
- Oltre 18.000 uomini si occuparono delle operazioni di soccorso. Di questi, circa 8.000 erano Vigili del fuoco volontari del Trentino e 4.000 erano militari del 4° Corpo d’Armata Alpino. Circa mille i volontari della Croce Rossa. Furono necessari 19 elicotteri, 774 automezzi, 137 mezzi speciali, 16 gru a braccio lungo, 72 fotoelettriche, 5 battelli, 26 ambulanze, 27 cucine da campo, 144 radio portatili e 4 ponti radio
A MANI NUDE
- Il sito dei Vigili del Fuoco ricorda che vennero impiegati cani da ricerca, ruspe, pompe idrovore e attrezzature specialistiche. Tuttavia, spesso fu inevitabile lavorare a mani nude tra le macerie per cercare i superstiti
LA CAUSA: INSTABILITÀ DI ENTRAMBI I BACINI
- Fondazione Stava 1985 spiega che la causa del crollo è stata ritrovata “nella cronica instabilità di entrambi i bacini di decantazione, che non possedevano coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento”. Risultava compromesso soprattutto quello superiore
DIECI CONDANNE
- Successivamente iniziò un iter processuale che si concluse dopo alcuni anni. La sentenza di primo grado stabilì, nel 1988, la condanna di 10 imputati giudicati colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo
I RESPONSABILI
- Si trattava, prima di tutto, dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore, che crollò per primo. Quindi i direttori della miniera e alcune persone delle società coinvolte in merito alla costruzione e all'ampliamento del bacino superiore dal 1969 al 1985. A questi si aggiunsero i responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento, che omisero del tutto i controlli sulla discarica (in foto, i due bacini minerari)
NESSUNO SCONTÒ LA PENA DETENTIVA
- L’iter processuale si concluse nel 1992. La Corte di Cassazione il 22 giugno di quell’anno confermò le condanne pronunciate in primo grado. Nessuno fra i condannati però scontò la detenzione: le pene di reclusione furono ridotte e condonate nel corso dei vari gradi di giudizio
IMPIANTO PROGETTATO SENZA I MARGINI DI SICUREZZA
- “Tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata. L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane”. Lo scrissero la Commissione ministeriale d’inchiesta e i periti nominati dal Tribunale di Trento dopo la catastrofe, nel luglio 1985
“UBICAZIONE MENO ADATTA NON POTEVA ESSERE TROVATA”
- E proseguirono: “Una sommaria osservazione della morfologia della località su cui sorgevano i bacini di decantazione della miniera di Prestavèl, indipendentemente da ogni considerazione attinente l’impatto ambientale di tali strutture, dà l’immediata convinzione che ubicazione meno adatta per i bacini in questione non poteva essere trovata”