The Last of Us, il finale di stagione è un dramma che non cede all'azione. Recensione

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Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

Anche all'ultimo, Mazin e Druckmann non deludono le attese e non tradiscono le loro scelte con un nono episodio che schiva la spettacolarizzazione delle scene più violente per costruire un racconto intenso sotto l'aspetto emotivo. Supportati dalla regia perfetta di Ali Abbasi. Il nono episodio di The Last of Us è andato in onda lunedì 13 marzo alle 3 del mattino, in contemporanea con gli Usa in versione originale sottotitolata, in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW. Disponibile anche on demand

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Il viaggio di Ellie e Joel è giunto alla sua conclusione con la messa in onda dell’ultimo episodio della prima stagione di The Last of Us, serie HBO in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW (LO SPECIALE). La versione originale coi sottotitoli del finale di stagione è andata in onda in contemporanea con gli Usa mentre in Italia era notte inoltrata, alle 3 del mattino, ed è disponibile on demand su Sky e Now.

Look for the light

Look for the light è il titolo dell’episodio, una frase che conosciamo fin dall’inizio della serie e che ci racconta l’ultima parte del viaggio di Pedro Pascal e Bella Ramsey alla ricerca delle Luci e all’inseguimento di una cura per tutta l’umanità. Ma mentre cercano di guarire il mondo, Ellie e Joel devono affrontare il loro personale processo di guarigione, un viaggio interiore che li porti a superare i traumi delle loro vite.

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UN'AZIONE CHE NON SOFFOCA IL DRAMMA

Chi conosce il videogame si aspettava l’azione per il gran finale, ma anche in questo caso la scelta di Craig Mazin e Neil Druckmann va controcorrente, schivando i cliché, tracciando un’altra via, una nuova strada, ribadendo la distanza semantica che c’è tra la serie e il videogioco, tra due modi diversi di raccontare la stessa storia, tra due medium che possono avvicinarsi e sfiorarsi ma hanno caratteristiche differenti e pertanto non possono copiarsi l’un l’altro. L’azione c’è, intendiamoci, in almeno due sequenze, ma continua a essere dosata al millilitro, per evitare di soffocare il dramma, di schiacciare col suo peso e il suo rumore il cuore pulsante di The Last of Us.

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IL PROLOGO

L’episodio si apre con un flashback, l’ennesimo regalo che Mazin e Druckmann fanno ai fan del franchise, l’ennesimo scorcio che aprono su una di quelle tante storie lasciate nel non detto dal videogame realizzato dalla stesso Druckmann. La storia di Anna – interpretata in un gioco di rimandi e omaggio col materiale originario dalla Ashley Johnson che interpreta Ellie nel videogioco – è una fuga nei boschi verso una salvezza impossibile, verso un futuro inesistente, seguita di corsa con una telecamera a mano fino all’ingresso in una capanna. Ci mostra un travaglio in cui il terrore e l’angoscia superano il dolore e ci offre i primi vagiti di Ellie, rivelandoci il modo in cui è entrata a contatto col fungo Cordyceps e come ne ha sviluppato immunità.

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ALI ABBASI ALLA REGIA

Ali Abbasi si conferma anche qui un regista maestro nel gestire suspance e ansia, con inquadrature che esaltano una scenografia carica di elementi capaci di creare una cappa di apprensione sullo spettatore. Ed è un tuffo al cuore fare la conoscenza di quell’esserino che sappiamo destinato a diventare una giovane donna dall’ostinata determinazione e che conosce una sola breve parentesi di amore materno tra il rantolo di uno zombi e lo sparo di una pistola.

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ELLIE, L'ELABORAZIONE DEL TRAUMA E LA MERAVIGLIA DELLA VITA

Il salto in avanti verso il presente ci riporta a una Ellie alle prese col trauma di ciò che è avvenuto nel precedente episodio, innaturalmente silenziosa, persa nei suoi pensieri più oscuri, nell’orrore di quello che ha vissuto. Una Ellie che non ha più voglia di scherzare e che torna a respirare la vita solo grazie a un incontro inaspettato con qualcosa di meraviglioso e mai visto prima, qualcosa per cui vale ancora la pena di vivere, sorridere ed emozionarsi, nell’adattamento perfetto e toccante di quella che forse è la più iconiche delle scene del videogioco del 2013.

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GUARIRSI IN DUE

Ellie e Joel si ritrovano così, con l’uomo che per la prima volta si apre alla ragazza, offrendosi in tutta la sua fragilità e realizza di aver finalmente rimarginato una ferita. Non grazie al tempo, spiega lui, lasciando poi sospesa la frase perché non è necessario dire altro. Il suo percorso di paternità ritrovata è ormai compiuto, Joel lo sa, Ellie pure, non servono altre parole, bastano gli sguardi e la gratitudine espressa per l’essersi incontrati.

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UNA VIOLENZA MAI SPETTACOLARIZZATA

Ciò che accade dopo è una piccola magia di scrittura, messinscena e regia. Arrivati a destinazione, al momento in cui avrebbero dovuto salvare l’umanità, Joel ed Ellie finiscono per essere prede di una trappola. Forse il mondo può guarire, ma per poterlo fare bisogna sacrificare Ellie. Joel è chiamato a una scelta e la compie senza esitazioni: un atto d’amore e dunque una scelta profondamente egoistica. Imbraccia un fucile semiautomatico e uccide chiunque si metta tra lui ed Ellie. Ma il rumore degli spari è coperto e reso sordo da una musica struggente e drammatica, la telecamera si ferma sui volti dei soldati privi di vita, in una sequenza che non cede alla spettacolarizzazione della violenza e alla tentazione di allungarsi per accontentare le esigenze di un fandom abituato al meccanismo da third person shooter del videogioco.

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BUGIE NECESSARIE

È il prodromo di un finale dolce e amaro, pieno di amore e riconciliazione ma anche di menzogne e spergiuri necessari e imprescindibili. Perché non ha senso salvare il mondo se non possiamo salvare le persone che amiamo e perché non si può dire no al destino quando ti offre in maniera del tutto inaspettata una seconda occasione. La chiusura di un viaggio, o almeno della sua prima tappa, che per nove settimane ci ha accompagnato in un vortice d’emozione per cui si può solo provare immensa gratitudine.

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