The Last of Us, un secondo episodio da paura. La recensione

Serie TV sky atlantic

Gabriele Lippi

L'alternarsi sincopato di silenzi e rumori, l'equilibrio perfetto tra i tre protagonisti, luci e inquadrature. La puntata diretta da Neil Druckmann, autore del videogame all'esordio dietro la macchina da presa, fa proseguire il viaggio di Ellie tra gli jump scares. L'episodio in versione originale sottotitolata, andato in onda in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming solo su NOW alle 3 del mattino in contemporanea con gli USA, è disponibile on demand. La puntata doppiata arriverà il 30 gennaio

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I rumori e i silenzi, il loro alternarsi con un ritmo sincopato, in una danza invisibile eppure chiaramente percettibile, costituiscono buona parte del segreto di un buon horror. L’udito arriva prima della vista, lo spavento è una questione di pazienza, lo jump scare si costruisce con l’attesa. Neil Druckmann la teoria la conosce e ne dà dimostrazione pratica nel secondo episodio di The Last of Us, la serie tv HBO ispirata al videogame Naughty Dog per Playstation da lui stesso creato, andato in onda in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW alle 3 del mattino del 23 gennaio in contemporanea con gli Stati Uniti (LO SPECIALE).

Un nuovo flashback

Druckmann ha il grande pregio di non essere morbosamente attaccato alla sua creatura, la capacità di rileggerla a dieci anni di distanza e capire cosa funziona esattamente così come è in originale e cosa invece va cambiato per darle una nuova vita sul piccolo schermo. Ancora una volta la puntata si apre con un flashback, un salto indietro di 20 anni, che colloca l’origine della pandemia in quella Giacarta brevemente citata in un dialogo del primo episodio.

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UN ORIZZONTE GLOBALE

È un eccellente espediente narrativo per poter ampliare l'orizzonte di The Last of Us oltre gli Stati Uniti in cui è confinato il gioco, per comunicarci chiaramente che l’epidemia di cordyceps ha preso tutto il mondo, fin dall’inizio, è che la soluzione non può certo essere la fuga nonostante quello che abbiamo appena intrapreso sia senza dubbio un road trip alla ricerca di una nuova speranza o quantomeno alla scoperta di una nuova ragione per continuare a sopravvivere.

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UN EPISODIO COSTRUITO SU TRE ATTORI

Tolto il prologo, il resto dell’episodio è sostanzialmente un triangolo emotivo tra Pedro Pascal (Joel), Bella Ramsey (Ellie) e Anna Torv (Tess). Sono loro il centro della scena, gli ultimi di noi per tutta la durata dell’episodio, in viaggio per portare Ellie alle Luci. Perché Ellie custodisce, forse, l’ultimo barlume di speranza per l’umanità, la più grande occasione di vittoria che la nostra specie abbia avuto da quando è scoppiata la pandemia.

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SGUARDI E PAROLE: L'EQUILIBRIO TRA I TRE PROTAGONISTI

Il momento che ci rivela questo è costruito su equilibri perfetti tra i tre attori e colorato in una fotografia che con una lama di luce taglia a metà la stanza illuminando Ellie e lasciando nell’ombra Joel e Tess. La tensione emotiva e dialettica è palpabile, il confronto è acceso, e mentre il cinismo e lo scetticismo di Joel appaiono inattaccabili, gli occhi di Tess cominciano da quel momento a illuminarsi di una nuova speranza. La scelta di mettere Ellie al centro di tutto è evidente nelle inquadrature che la ritraggono incorniciata tra i due compagni di viaggio adulti ripresi di spalle.

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L'ARRIVO DEI CLICKER

Druckmann gioca ad autocitarsi con le scene ambientate nell’hotel e al museo, che non sono mai copia cartacarbone del videogame ma riescono a evocarlo mentre se ne distaccano. C’è Ellie che non sa nuotare, che gioca a fare la concierge di un hotel lussuoso di cui ha solo letto sui libri, che inizia a scoprire poco a poco l’orrore della morte. E poi ci sono i clicker, infetti di lunga militanza senza più un volto, magnificamente costruiti con il make up prostetico, concreti e solidi, inquietanti col loro ticchettio ecolocalizzatore, i loro rantoli, le loro urla.

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UN'AZIONE DOSATA CON CURA

L’azione ha il suo spazio, non di più, non di meno. È presente esattamente nella misura in cui è necessaria a costruire un racconto che ha il suo centro da un’altra parte, nei rapporti umani, nella loro sopravvivenza. Ed è propedeutica a un finale di episodio che chiude un capitolo per aprirne un altro, una cesura narrativa importante e traumatica. Per poi far proseguire il viaggio on the road in ciò che resta degli Stati Uniti devastati da un fungo.

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