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Hopper-Welles, incontro tra titani nel nome del Cinema

Cinema

Giuseppe Pastore

Fuori concorso a Venezia questo reperto storico del 1970 riportato alla luce e restaurato dal regista polacco: un confronto generazionale tra l'autore di "Easy Rider" e la leggenda di "Quarto Potere"

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Nell'estate del 1970 l'emergente Dennis Hopper, uno dei registi americani più discussi del momento dopo l'exploit di Easy Rider, invita a cena in un ristorante di Beverly Hills il monumento vivente Orson Welles. Questo è il filmato di quella cena (LO SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA - I VIDEO).

Cinquant'anni dopo i fatti, il regista e produttore polacco Filip Jan Rymsza si è incaricato di riportare alla luce e restaurare un documento certamente bizzarro e altrettanto certamente imperdibile per gli appassionati di cinema (e non solo). Si confrontano in bianco e nero due mondi paralleli, due pianeti di due sistemi solari lontanissimi: il nervoso e irregolare Dennis Hopper, portavoce della contestazione e dello scontento generazionale, dalla carriera in rapidissima discesa (ma quella sera lui non può nemmeno sospettarlo), contro la quercia Orson Welles, sardonico, sarcastico, lucidissimo (ancorché presente solo in voce: in viso non lo vedremo mai, né lo sentiremo mai scendere nel dettaglio delle sue opere). L'effetto è straniante, più simile a una seduta di analisi che una chiacchierata tra amici: con il suo profondo vocione, Welles accresce la sensazione di essere una specie di Dio del cinema chiamato a giudicare il 34enne Hopper, svelandone le reticenze, le contraddizioni e anche qualche carenza non solo di memoria (per esempio quando confonde I Vitelloni di Fellini con Umberto D. di De Sica). Hopper non ha la forza e le capacità persuasive di fare lo stesso col suo interlocutore. Si parla molto di cinema, anche italiano (e si scopre per esempio che Orson Welles non amava particolarmente Antonioni), e i dialoghi fluviali trascinano a riva qualche perla memorabile, come per esempio quando Welles tratta con disprezzo la figura del montatore o racconta il rapporto con le sue opere in sala di montaggio: "Sono nemico dei miei film, non provo nessun affetto per loro".

 

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